La vittoria dei sindacati francesi contro Amazon
I sei magazzini chiusi da metà aprile riapriranno dopo una battaglia sindacale e giudiziaria legata alla sicurezza e ai diritti dei lavoratori
Oggi riaprono in Francia i magazzini di Amazon, chiusi da metà aprile dopo una battaglia sindacale e giudiziaria legata alla sicurezza e ai diritti dei lavoratori. Dopo settimane di negoziati, pressioni e sentenze, Amazon ha raggiunto un accordo sulla ripresa delle attività che i sindacati considerano una vittoria.
A fine marzo, in piena epidemia da coronavirus, alcuni dipendenti dei sei centri di distribuzione di Amazon in Francia avevano avviato delle proteste, chiedendo maggiori e migliori condizioni di sicurezza sul lavoro. Amazon aveva reagito insistendo nel dire che erano già state adottate sufficienti misure precauzionali, ma alcuni sindacati francesi avevano continuato a denunciare che mentre i quadri dirigenti erano in telelavoro, i magazzinieri preparavano pacchi a distanza troppo ravvicinata, con scarsi dispositivi di protezione e senza un diretto coinvolgimento dei rappresentanti del personale. Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, aveva a sua volta denunciato «pressioni inaccettabili» da parte di Amazon per aumentare i ritmi di lavoro e far fronte all’aumento degli ordini durante la crisi per la COVID-19; la ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, aveva parlato di mancanza di adeguate protezioni e gli ispettori del lavoro avevano richiesto un intervento di miglioramento delle condizioni di sicurezza in cinque degli stabilimenti francesi di Amazon.
A inizio aprile l’Union Syndicale Solidaires – con il sostegno successivo di altri sindacati – aveva presentato una denuncia perché venisse ridotta l’attività dei sei centri di Amazon alla sola distribuzione di merci “essenziali”, e perché venisse ridotto in proporzione il lavoro dei dipendenti, in modo da rispettare e rendere efficaci i protocolli di sicurezza. Il tribunale di Nanterre, vicino a Parigi, aveva dato ragione ai sindacati. La sentenza ordinava ad Amazon di procedere a una valutazione dei rischi, compresi quelli psico-sociali, limitando l’attività dei suoi sei magazzini alle sole merci essenziali (cibo, prodotti per l’igiene e materiale medico-sanitario), così da ridurre il carico di lavoro e facilitare l’adozione di misure come il distanziamento tra lavoratori, pena una multa di un milione di euro al giorno per il mancato rispetto della sentenza.
Amazon aveva presentato ricorso, ma il tribunale di appello di Versailles, lo scorso 24 aprile, aveva confermato la sentenza di Nanterre. Amazon aveva reagito accusando i sindacati di portare avanti una battaglia politica, minacciando di presentare appello presso la Corte suprema francese e prendendo la decisione di chiudere i sei magazzini francesi che impiegano circa 10mila persone con contratti sia a tempo indeterminato che determinato. Amazon aveva poi richiesto per i dipendenti la cassa integrazione pagata dallo Stato, richiesta che era stata però respinta perché la chiusura dei siti era la conseguenza di una sentenza del tribunale e non di un calo delle attività, aveva fatto sapere il ministero del Lavoro francese. Nel frattempo Amazon aveva sfruttato i suoi centri in Germania, Italia e Polonia per riempirli con gli ordini dei consumatori francesi, scegliendo di far lavorare le piccole società di consegna collegate a una filiale che non era coinvolta nelle decisioni dei tribunali.
Nel frattempo tutta la controversia aveva creato una spaccatura tra i sindacati e alcuni dipendenti preoccupati di perdere il lavoro. Circa 15 mila persone avevano firmato una petizione per sollecitare la riapertura dei centri, nella quale si diceva che i sindacati non avevano tenuto conto, dopo le proteste iniziali, dei miglioramenti dei protocolli di sicurezza portati avanti dalla società. «Amazon dice che per prima cosa viene la sicurezza. Ma la loro priorità sono gli affari», avevano replicato altri lavoratori in protesta. «Stiamo lavorando in condizioni che rappresentano un rischio per la nostra sicurezza. Le voci dei lavoratori devono essere ascoltate».
Ora, a circa due mesi dall’inizio della controversia, si è arrivati a un accordo. I sindacati francesi hanno parlato di vittoria dei lavoratori e hanno affermato che la ripresa dell’attività nei sei magazzini Amazon sarebbe stata graduale e volontaria, con metà dei lavoratori che sarebbero rientrati tra il 19 e il 25 maggio e il resto entro il 2 giugno. Nella loro dichiarazione, i sindacati hanno scritto che l’accordo consentirà un ritorno al lavoro “in sicurezza”. I dirigenti di Amazon continueranno a incontrarsi con un comitato dei lavoratori e dei sindacati una volta alla settimana per valutare di volta in volta la situazione, accettando di «non far sentire i dipendenti sotto pressione» sul lavoro.
Amazon ha poi fatto sapere che i turni saranno ridotti di 15 minuti senza modifiche nella retribuzione, per consentire il distanziamento fisico durante i cambi, e ha comunicato che chiamerà un esperto indipendente per rivedere i protocolli di sicurezza. L’aumento salariale di due euro l’ora che Amazon ha dato in Europa ai propri dipendenti a marzo, quando è iniziata la pandemia, sarà infine mantenuto per i dipendenti dei magazzini francesi fino al 31 maggio. A seguito di queste concessioni, i sindacati sembrano essere orientati ad abbandonare la richiesta che l’azienda fornisca solo articoli essenziali.
La battaglia contro Amazon portata avanti in Francia, e la vittoria dei sindacati, è considerata simbolica da diversi osservatori, soprattutto perché la società si è dimostrata, negli anni e in varie parti del mondo, molto poco conciliante con le richieste di lavoratori e lavoratrici. A marzo era circolata molto la notizia del licenziamento di alcuni dipendenti Amazon negli Stati Uniti che avevano organizzato una protesta chiedendo un miglioramento delle misure di sicurezza. Amazon aveva attribuito i licenziamenti ad altre ragioni.