Sette grandi canzoni dei Joy Division
Da riascoltare oggi, a quarant'anni dalla morte di Ian Curtis
Ian Curtis, cantante e autore dei testi dei Joy Division, morì quarant’anni fa, a 23 anni. Queste sono le canzoni dei Joy Division che Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, aveva scelto per il libro Playlist, la musica è cambiata.
Joy Division (1977-1980, Salford, Inghilterra)
La band dark e spettrale per eccellenza, in realtà assomigliavano solo a se stessi: ma tracciarono il solco per parecchi che vennero dopo. Ovvero dopo che Ian Curtis – malato di epilessia, depresso e con traversie coniugali in corso – si uccise, e loro si furono riformati assai meno tenebrosamente come New Order.
Leaders of men
(An ideal for living, 1978)
Locale buio, fumoso, gente che si sposta dal banco del bar ai tavoli. E una band tra l’assonnato e lo strafatto che si esibisce quasi meccanicamente in una declamazione oscura e ipnotica. Colonna sonora della scena, doveste mai girarla, “Leaders of men”, Joy Division.
She’s lost control
(Unknown pleasures, 1979)
Un basso sfinente e Ian Curtis che racconta di un’epilessia. Non la sua, ma come se fosse la sua. Uscì un remix dance l’anno dopo, e poi ne fece una cover Grace Jones.
New dawn fades
(Unknown pleasures, 1979)
Che ci puoi fare con un basso. Che ci puoi fare con un basso e una chitarra. La canzone perfetta per il monologo sulle “lacrime nella pioggia” in Blade Runner, ma nessuno ci pensò.
Transmission
(Transmission, 1979)
«Suonatela forte quando siete tristi, è una specie di esorcismo» dice il critico Gary Mulholland. Una festa di chitarre sensazionale e un accigliato inno alla prevalenza della musica sul linguaggio: “and we could dance, dance, dance, dance, dance to the radio”.
Atmosphere
(Licht und Blindheit, 1980)
Beh. Quando lui dice “walk in silence”, si porta già via tutta la platea. E abbiamo appena cominciato, con tutti i fari di scena sulla batteria, che si spengono all’improvviso mentre una cascata di luce crolla sulle tastiere. Si chiamerà “Atmosfera” per qualcosa. Poi c’è quasi tutta la discografia dei Cure condensata in una canzone.
The eternal
(Closer, 1980)
Una marcia funebre, un pianoforte, e una dritta per Nick Cave su come comportarsi negli anni a venire. “Procession moves on, the shouting is over. Praise to the glory of loved ones now gone. Talking aloud as they sit round their tables. Scattering flowers washed down by the rain”
Love will tear us apart
(Love will tear us apart, 1980)
Pezzo leggendario. Il matrimonio di Ian Curtis si stava spappolando, per via di una sua storia con una ragazza belga. E anche lui si stava spappolando. Si sarebbe ucciso pochi mesi dopo questa canzone. Basso, voce e batteria ancora tetri, ma le tastiere e la melodia la sollevano verso l’eternità pop. Sulla lapide Deborah Curtis volle ci fosse scritto “Love will tear us apart”.