La Cina non vuole un’inchiesta indipendente sul coronavirus
Più di cento paesi la chiederanno oggi in una riunione dell'OMS, ma il governo cinese teme un altro grosso danno d'immagine
Negli ultimi giorni più di 120 paesi hanno appoggiato una risoluzione (PDF) da presentare alla prossima assemblea legislativa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che si terrà fra oggi e domani, per chiedere una «inchiesta indipendente» sulla gestione del coronavirus da parte della comunità internazionale. Gli sforzi dei promotori, fra cui ci sono soprattutto paesi occidentali, hanno fatto arrabbiare il governo cinese, che vede nella risoluzione un tentativo di incolpare la Cina per la diffusione globale della pandemia.
La mozione sarà presentata durante l’annuale Assemblea mondiale della Sanità, l’organo legislativo dell’OMS, che quest’anno si terrà in videoconferenza. Se approvata, potrebbe legittimare la creazione di una commissione di inchiesta indipendente che abbia lo scopo, fra l’altro, di «identificare la fonte zoonotica del virus e il suo percorso di trasmissione all’uomo», come chiesto nella risoluzione. «L’origine del virus è un serio problema scientifico e dovrebbe essere maneggiato da scienziati ed esperti, invece che politicizzato», ha detto al South China Morning Post il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Geng Shuang.
La Cina teme che un’inchiesta del genere possa portare un ulteriore danno di immagine al paese e legittimare alcune teorie complottiste sostenute apertamente da paesi come gli Stati Uniti sull’origine artificiale del virus. Mentre sembra plausibile che la Cina abbia nascosto almeno in parte la portata della pandemia nelle sue fasi iniziali – e un’inchiesta indipendente potrebbe certificarlo – la comunità scientifica ritiene al momento infondata la tesi che il coronavirus sia stato creato in laboratorio, e improbabile che si sia diffuso fra la popolazione civile per un errore; è vero però che il paziente zero non è mai stato trovato, e l’ipotesi che il virus sia nato nel mercato di Wuhan genera ancora qualche perplessità.
La risoluzione è nata da un’intensa attività di pressione del governo australiano, sostenuto da una maggioranza conservatrice sostanzialmente allineata agli Stati Uniti, e dagli sforzi del suo ministro degli Esteri, Marise Payne. La prima bozza nominava esplicitamente la Cina e il suo presunto ruolo nelle prime fasi dell’epidemia, ma il testo è stato ammorbidito soprattutto dopo un passaggio diplomatico con l’Unione Europea, che nelle ultime settimane è stata piuttosto attenta a non complicare la sua già difficile relazione diplomatica e commerciale con la Cina.
Secondo un conteggio del Guardian al momento la risoluzione è appoggiata da 122 paesi. Molti appartengono all’Occidente come Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Nuova Zelanda. Nell’elenco compaiono anche alcuni paesi il cui sostegno non era dato per scontato, come la Russia e il gruppo africano dei paesi che aderiscono all’ONU (alcuni dei quali hanno forti legami economici con la Cina).
Non è la prima volta che la Cina riceve critiche per la scarsa trasparenza del suo regime, guidato da circa sette anni da Xi Jinping. Come in tutti i paesi a guida autoritaria, in Cina non è garantita la libertà di opinione e di stampa, e ottenere informazioni dal governo è spesso estremamente complicato, anche per i membri della comunità internazionale e gli scienziati.
La Cina sta cercando di usare i mezzi a sua disposizione per evitare la risoluzione. A fine aprile ha velatamente minacciato di imporre dazi sui prodotti di importazione australiana come vino e carne di manzo, mentre la settimana scorsa l’ambasciatore cinese nel Regno Unito, Liu Xiaoming, ha spiegato che il suo governo sarebbe disponibile a un’inchiesta internazionale, «che però dev’essere guidata dall’OMS».
Per molti paesi occidentali l’apertura della Cina non è sufficiente. Il presidente americano Donald Trump accusa da settimane l’OMS di essere «filo-cinese», senza fornire particolari prove, ma CNN ha notato come già dalle fasi iniziali dell’epidemia l’OMS abbia lodato la gestione della Cina, risparmiando critiche più estese nonostante siano state indicate da inchieste giornalistiche, pareri di esperti e di politici occidentali.
Per alcuni esperti, comunque, i timori della Cina sono fondati. Sulmaan Khan, che insegna storia delle relazioni internazionali e diplomazia cinese alla Tufts University del Massachusetts, ha detto al South China Morrning Post che difficilmente un’inchiesta internazionale e indipendente potrebbe trovare prove definitive sull’origine del virus, lasciando intendere che potrebbe legittimare le teorie complottiste sull’origine artificiale del coronavirus (escluse con forza dalla comunità scientifica).
A prescindere dall’esito dell’eventuale inchiesta, anche la minima scoperta di insabbiamento potrebbe ulteriormente danneggiare l’immagine della Cina agli occhi della comunità internazionale, già piuttosto provata dopo anni di critiche sul rispetto dei diritti umani di oppositori politici e minoranze etniche, di accuse di concorrenza sleale e furto di proprietà intellettuale, e di eccessiva aggressività in politica estera, specialmente nelle controversie che riguardano il Mar Cinese Meridionale.
«Per la Cina è già abbastanza grave essere stata associata alla pandemia», ha spiegato al South Cina Morning Post Angela Stanzel, che si occupa di questioni asiatiche al German Institute for International and Security Affairs: «ogni prova sarebbe considerata dannosa».