I decreti sicurezza sono ancora lì

Nonostante le promesse di modificarli, i due decreti voluti da Matteo Salvini sono ancora in vigore e con l'emergenza coronavirus la loro applicazione è stata inasprita

(ANSA/INGENITO)
(ANSA/INGENITO)

Lo scorso settembre, durante le trattative per la formazione del secondo governo Conte, uno dei punti centrali su cui l’accordo tra PD e Movimento 5 Stelle rischiò più volte di fallire fu il destino dei cosiddetti “decreti sicurezza“, le due leggi estremamente restrittive sull’immigrazione e nei confronti di varie forme di disagio sociale fortemente volute dal ministro dell’Interno Matteo Salvini durante il governo precedente. Alla fine, venne raggiunto un accordo per modificarli in una forma minima, seguendo in parte le indicazioni e le critiche mosse dal presidente della Repubblica Mattarella.

Otto mesi dopo, nulla è cambiato. I decreti sicurezza non sono stati modificati, nemmeno sulla base dei rilievi del presidente della Repubblica. Ma il problema di come gestire il flusso migratorio non è scomparso. Anche se il numero di persone che cercano di attraversare il Mediterraneo si è ridotto moltissimo rispetto agli anni passati, i dati del ministero dell’Interno indicano che gli arrivi in Italia sono in aumento rispetto al 2019. Con l’arrivo della stagione estiva e con gli effetti devastanti che la pandemia causerà nelle economie dei paesi emergenti, questi numeri potrebbero aumentare.

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Le modifiche ai decreti proposte in questi mesi andavano tutte nella direzione di fornire maggiori strumenti per poter gestire con più umanità questi sbarchi. Tra le richieste c’erano la riduzione delle multe che i decreti prevedono per le navi delle ONG impegnate nei salvataggi in mare (considerate sproporzionate e a rischio di incostituzionalità anche da Mattarella) e il ripristino di alcune forme di protezione internazionale per rendere più semplice il percorso di regolarizzazione delle persone sbarcate. Inoltre, maggiori investimenti nel sistema dell’accoglienza, in particolare di quella diffusa, cioè quella basata sulla distribuzione dei richiedenti asilo in piccoli gruppi sul territorio invece che in grandi strutture, più convenienti dal punto di vista pratico ed economico, ma poco adatte per ospitare percorsi di integrazione.

Quasi nessuno di questi cambiamenti, però, è stato messo in atto. Il PD, il partito che durante le trattative aveva più insistito per ottenere le modifiche ai decreti, ha di fatto ceduto alle pressioni del Movimento 5 Stelle, che dopo aver approvato e difeso i decreti sicurezza nel corso del governo precedente, oggi vorrebbe evitarne qualsiasi modifica. Il PD si è anche adeguato all’atteggiamento prudente del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, ex prefetto senza alcuna precedente esperienza politica, che fin dalla sua nomina aveva dichiarato di non essere favorevole all’introduzione di significative modifiche alle due leggi.

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Le uniche modifiche ai decreti sicurezza realizzate dal secondo governo Conte sono state limitate e introdotte senza grande clamore, e più per ragioni pratiche che per considerazioni umanitarie. Per esempio, una recente circolare ai prefetti ha permesso di aumentare, anche se di poco, i rimborsi previsti per legge alle strutture che ospitano richiedenti asilo, tagliati dal governo precedente da 35 euro a persona fino a un minimo di 19: una decisione che aveva causato un deciso peggioramento delle condizioni di vita degli ospiti delle strutture, oltre che il fallimento di numerosi bandi per individuare strutture di accoglienza.

Alla fine di febbraio, un pacchetto di modifiche ai decreti era stato presentato dal ministro Lamorgese. Si trattava, anche in questo caso, di piccole modifiche, come ad esempio la reintroduzione per un numero limitato di persone della “protezione umanitaria“, la cui cancellazione, voluta dal precedente ministro dell’Interno Matteo Salvini, aveva messo sulla strada migliaia di migranti dotati di regolare permesso di soggiorno.

Con l’inizio dell’emergenza legata al coronavirus, anche queste modifiche sono state dimenticate. Il governo ha continuato a tenere in mare navi cariche di persone salvate dall’annegamento per giorni, a volte settimane, e ha rinnovato gli accordi con la cosiddetta guardia costiera libica, ufficialmente un’organizzazione militare dello stato libico, ma accusata da molti esperti e giornalisti di essere una milizia spesso in combutta con i trafficanti di esseri umani. L’accordo era stato stretto durante un altro governo di centrosinistra, guidato da Paolo Gentiloni, e promosso dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti.

Oltre a bloccare la modifica dei decreti, la pandemia ha prodotto anche l’effetto secondario di inasprire ulteriormente l’applicazione dei decreti sicurezza. All’inizio di aprile, ad esempio, il governo ha stabilito che i porti italiani non possono più essere considerati “porti sicuri” per le persone soccorse in mare da navi di nazionalità diversa da quella italiana fuori dalla zona SAR italiana, di fatto impedendo l’accesso alle navi delle ONG che operano nel Mediterraneo.

Come ha scritto su Repubblica alla fine di aprile il giornalista Francesco Cundari, in nome dell’emergenza coronavirus «il governo ha abbandonato anche quel minimo di ipocrisia che ancora consentiva di accreditare una qualche differenza, almeno di principio, tra le parole d’ordine di Matteo Salvini e la linea della nuova maggioranza in tema di immigrazione, sicurezza e diritti umani».

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Nel frattempo il governo non è intervenuto nemmeno su quello che tutti gli esperti concordano essere il principale problema della gestione dell’immigrazione in Italia: la legge Bossi-Fini del 2002, che rende impossibile trovare un lavoro regolare per quasi tutti gli stranieri extracomunitari.

La sanatoria approvata dal Consiglio dei ministri è uno dei pochissimi atti del governo Conte che sono andati in una direzione diversa rispetto all’atteggiamento del governo precedente. Ma anche questa legge, attesa da tempo da centinaia di migliaia di persone costrette a lavorare in nero, spesso in condizioni molto difficili, è stata il frutto di un difficile compromesso tra PD, Italia Viva e Liberi e Uguali, tutti favorevoli alla sanatoria, e il Movimento 5 Stelle, che ha cercato di ostacolarla fino all’ultimo minuto. Non si conosce ancora il testo completo della legge ed è possibile che il suo funzionamento sarà modificato nel corso dei passaggi parlamentari. Già oggi però, sono in molti gli esperti e gli avvocati che temono che sia un compromesso al ribasso.