Chi fa bene e chi meno con le misure contro la crisi
Dai quattromila euro a bar e ristoranti in Belgio, ai prestiti garantiti della Germania: una guida a cosa si fa in Europa e nel mondo per aiutare le imprese
La pandemia da coronavirus sta producendo una recessione più profonda di quella del 2008. In Europa e Stati Uniti decine di milioni di lavoratori sono già senza lavoro e migliaia di imprese rischiano il fallimento. Nel resto del mondo, i paesi emergenti saranno colpiti con ancora più durezza dalla crisi economica. Per cercare di far fronte a questo evento senza precedenti, i governi di tutto il mondo stanno mettendo in campo misure di una portata che fino a poco tempo fa soltanto pochi ritenevano possibile o auspicabile.
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Il primo obiettivo di quasi tutti i governi è proteggere il settore produttivo: le imprese che garantiscono lavoro e producono beni e che sono state obbligate a chiudere o a limitare le loro attività a causa della pandemia. Migliaia di miliardi di dollari ed euro sono stati stanziati in garanzie pubbliche sui prestiti, in sussidi diretti e in altre misure di aiuto. Gli interventi principali portati avanti da vari governi sono piuttosto simili quasi ovunque, almeno tra i paesi industrializzati. Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato un elenco con le principali misure adottate in tutto il mondo, il think tank Bruegel ne ha realizzato uno ancora più dettagliato con gli aiuti decisi dai paesi europei.
Ma se le misure adottate sono simili in gran parte del mondo, e soprattutto in Europa, la loro applicazione e i loro effetti sono stati molto diversi. Nei paesi più ricchi, come quelli del Nord Europa, tutti questi meccanismi hanno funzionato meglio che in quelli dove da anni non solo la pubblica amministrazione, ma anche il settore bancario e le stesse imprese sono in maggiori difficoltà. Consultando i database delle principali misure adottate, le analisi degli esperti e i resoconti dei giornali abbiamo cercato di raccontare, per ogni tipologia di misura, dove questi aiuti stanno funzionando e dove invece incontrano ancora difficoltà.
Le garanzie pubbliche sui prestiti
Sia negli Stati Uniti che in Europa, uno degli strumenti principali con cui i governi hanno deciso di fronteggiare la crisi sono le garanzie pubbliche sui prestiti chiesti dalle aziende al sistema bancario. Praticamente tutti i paesi presenti nell’elenco del Fondo Monetario Internazionale hanno adottato questo tipo di misura. Secondo le stime fatte dall’Eurogruppo, gli stati membri dell’Unione Europea hanno stanziato a questo scopo una cifra pari al 16 per cento del PIL del continente, mentre il governo degli Stati Uniti ha stanziato in prestiti e garanzie alle imprese circa mille miliardi di dollari (meno del 5 per cento del loro PIL), con cui sarà possibile erogare prestiti fino a cinquemila miliardi di dollari.
Grazie a questo tipo di aiuti, le imprese possono richiedere prestiti che, se non saranno restituiti, verranno rimborsati dallo stato, in tutto o in parte. In questo modo, i prestiti sono concessi a tasso di interesse molto conveniente e possono essere ottenuti anche da imprese a cui normalmente le banche non farebbero credito. Le imprese possono così ottenere la liquidità necessaria ad affrontare le spese che non possono rimandare, scongiurando quindi il rischio di fallire durante la crisi.
Il tipo di garanzie offerte e la quantità di denaro che è possibile farsi prestare a queste condizioni vantaggiose varia molto da paese a paese, ma in generale le imprese più piccole hanno diritto a prestiti più rapidi e con garanzie più alte: fino al 100 per cento in paesi come Germania e Italia (ma non, ad esempio, nel Regno Unito, dove l’ipotesi di garanzie al 100 per cento è ancora in discussione).
In Europa, il paese che ha stanziato più denaro in garanzie (ma anche in tutti gli altri tipi di aiuti economici, come vedremo) è la Germania: il totale dei prestiti garantiti nel paese potrebbe arrivare fino a mille miliardi di euro. In Germania le imprese fino a 250 dipendenti possono chiedere garanzie del 100 per cento per prestiti pari al fatturato di un trimestre del 2019, fino a un massimo di 800 mila euro. In Italia, l’equivalente prestito garantito al 100 per cento è molto più basso: appena 25 mila euro, anche se viene distribuito con un interesse più basso, circa l’1 per cento, contro il 3 per cento della Germania. In Italia, circa 116 mila imprese ne hanno già fatto richiesta, per un totale di 2,5 miliardi di euro.
Le imprese più grandi sono, di solito, più solide, hanno maggiori disponibilità di liquidità e corrono meno rischi di fallire a causa dei costi fissi non rimandabili. Per questa ragione i prestiti vengono concessi loro con procedure più complesse, che di solito prevedono un ruolo delle banche d’investimento pubbliche, come la francese BPI, la tedesca KfW e l’italiana Cassa Depositi e Prestiti (CDP). In questi casi la garanzia è più bassa (in genere inferiore al 90 per cento dell’importo del prestito).
La decisione di utilizzare le garanzie come principale forma di aiuto alle imprese è stata in parte obbligata, poiché era necessario distribuire aiuti rapidamente e in maniera capillare. Soprattutto in Europa, le banche sono un elemento centrale nel finanziamento delle imprese. Ma utilizzare le banche come principale strumento per gli aiuti di stato significa che l’efficacia di questi aiuti dipende in buona parte dalla salute dei vari sistemi bancari e dalle capacità di intervento delle grandi banche di investimento pubbliche. Se le banche hanno bilanci in ordine, un personale numeroso e competente, sono nella posizione di erogare prestiti rapidamente e in maniera efficace. In caso contrario, possono essere restie a concedere prestiti e possono mettere ostacoli sulla strada delle imprese, ad esempio richiedendo documentazione aggiuntiva e rallentando le pratica, oppure semplicemente rischiano di essere sommerse dal numero di richieste.
Sia in Italia che in Francia questi problemi hanno spesso fatto inceppare la distribuzione degli aiuti e migliaia di piccole e medie imprese hanno avuto grosse difficoltà a ottenere anche i prestiti garantiti al 100 per cento, quelli che avrebbero dovuto essere concessi rapidamente e in maniera quasi automatica. Lo stesso è accaduto nel Regno Unito, dove i prestiti sono concessi alle imprese soltanto dopo un’attenta valutazione.
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La Francia è invece riuscita a fare meglio con i prestiti per le grandi aziende e a fine aprile guidava la classifica europea con oltre 150 mila richieste di garanzia pre-approvate. Nello stesso periodo in Spagna le richieste prese in considerazione erano già 44 mila, mentre in Germania le richieste erano soltanto 10 mila. Tra i grandi paesi europei l’Italia è quello che ha fatto peggio in questo campo e ha impiegato più di un mese ad elaborare le linee guida per regolare questo tipo di prestiti. Le richieste arrivate a CDP al momento sono circa 250, per un totale di 18,5 miliardi. In Francia la situazione è andata meglio per quanto riguarda le grandi imprese, un settore dove è invece la Germania ad avere incontrato alcune difficoltà.
Gli Stati Uniti sono un caso a parte. Il loro sistema industriale dipende molto meno dalle banche e molto più dai mercati per finanziarsi. Il principale attore nella distribuzione di prestiti è la Federal Reserve, la banca centrale americana, che ha di fatto salvato le grandi industrie americane acquistando centinaia di miliardi di dollari in obbligazioni sui mercati finanziari e fornendo prestiti a condizioni molto vantaggiose. I prestiti alle piccole e medie imprese, invece, hanno funzionato in modo diverso e svolgono una funzione simile alle varie forme di cassa integrazione in Europa. Se le imprese che li ricevono non licenziano più del 10 per cento dei lavoratori che avevano all’inizio della crisi, il prestito viene completamente rimborsato dallo stato.
Imposte, mutui e affitti
Oltre ai prestiti garantiti alle imprese per affrontare le spese indifferibili, un altro modo per aiutarle è cercare di ridurre l’ammontare di queste spese. Ad esempio, rimandando o cancellando le scadenze fiscali e utilizzando garanzie pubbliche per sospendere le rate di mutui e prestiti. Quasi tutti i governi dei paesi più colpiti dalla crisi, e tutti i governi europei, hanno rinviato le scadenze fiscali dei mesi di febbraio, marzo e aprile e molti stanno pianificando di rimandare anche quelle previste per maggio e giugno e di cancellare almeno una parte di quanto le imprese devono allo stato.
Insieme a questo intervento, i governi hanno stanziato quasi ovunque ingenti risorse per permettere alle imprese (e spesso alle famiglie) di rimandare i pagamenti dei mutui e degli altri prestiti contratti.
Mettendo insieme questi due interventi, all’inizio di maggio l’Italia risultava il secondo paese che aveva compiuto gli sforzi maggiori in Europa. Secondo le stime del think tank Bruegel, l’Italia ha stanziato per la sospensione di mutui e imposte un totale di 235 miliardi di euro, cioè il 13,6 per cento del PIL, contro il 14,6 per cento della Germania, il paese che, anche in questo ambito, è riuscito a fare gli sforzi maggiori (il totale italiano crescerà leggermente, visto che il Bruegel non ha ancora considerato gli interventi fiscali del nuovo decreto approvato questa settimana).
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Tra i grandi paesi europei, è sempre la Germania ad aver adottato le procedure più semplici e ampie in materia di rinvio delle scadenze fiscali. Sostanzialmente tutte le imprese e i contribuenti possono richiedere fino al 31 dicembre 2020 un rinvio delle scadenze fiscali, anche senza fornire prove dei danni economici subiti.
Paesi con sistemi fiscali più complessi e con un’evasione fiscale più elevata hanno invece esitato ad adottare misure così ampie. In Francia e in Italia ci sono regole abbastanza stringenti sul tipo di imprese che possono richiedere un rinvio delle scadenze. In Italia, i versamenti IVA e dei contributi sono stati rimandati a settembre per le imprese che hanno subito cali di fatturato, mentre l’IRAP è stata cancellata per quelle con un fatturato fino a 250 milioni di euro. Alberghi e stabilimenti balneari non dovranno pagare l’IMU. Da settimane si parla di un rinvio generale dell’IMU e di altri tributi locali, che solitamente si pagano a giugno, ma per il momento sembra che la decisione sarà lasciata ai comuni, che sono i titolari di questa imposta.
Per quanto riguarda mutui e affitti, in Germania il governo ha adottato poche regole ma molto chiare. Non sarà possibile eseguire sfratti fino al 30 giugno e gli inquilini insolventi avranno tempo fino al 30 giugno 2022 per restituire gli affitti eventualmente non pagati. Le imponenti garanzie pubbliche stanziate dal governo potranno essere utilizzate anche per rinviare le rate dei mutui.
Anche in Italia gli sfratti sono bloccati fino al 30 giugno, mentre famiglie e imprese possono richiedere il rinvio delle rate di prestiti e mutui fino al 30 settembre. Circa 700 mila imprese e 900 mila famiglie lo hanno già fatto. In totale, le rate di 120 miliardi di euro di prestiti alle aziende sono state rinviate insieme a 54 miliardi di prestiti alle famiglie. In molti casi, fonti bancarie hanno spiegato che l’ampio ricorso a questo strumento è una delle ragioni per cui i loro bilanci oggi si trovano in difficoltà ed è quindi complicato accontentare le richieste di prestiti garantiti dallo stato che arrivano dalle imprese.
I trasferimenti diretti
Prestiti garantiti, rinvii e cancellazioni delle scadenze fiscali non sono misure sufficienti a scongiurare gli effetti peggiori della crisi. Alcune piccole imprese non sono in grado di sostenere i costi di un maggiore indebitamento, mentre, come abbiamo visto, non sempre il canale di trasmissione bancario degli aiuti funziona a dovere. Per risolvere questi problemi, numerosi esperti in tutto il mondo hanno raccomandato ai governi di introdurre qualche forma di trasferimento diretto alle imprese, in altre parole: finanziamenti a fondo perduto (lo hanno fatto ad esempio tre economisti della Banca d’Italia in un recente articolo).
Uno dei modi possibili di mettere in campo questa forma di aiuto è consentire allo stato, tramite le sue banche di investimento pubbliche, di entrare direttamente nel capitale delle aziende in difficoltà, acquistandone le azioni ed aiutandole a ricapitalizzarsi. Fin dall’inizio della crisi i governi di Francia e Germania avevano previsto questa possibilità, mentre in Italia l’intervento diretto della Cassa Depositi e Prestiti nel capitale delle aziende in difficoltà è stato previsto soltanto nell’ultimo decreto.
Il problema di questo tipo di interventi è che, una volta acquistate azioni di una società, lo stato si trova a dover entrare nella sua governance, una cosa che imprenditori e alcuni settori dell’opinione pubblica non amano affatto. I primi non vogliono interferenze nella gestione dei loro affari, mentre i secondi chiedono che di fronte all’utilizzo di soldi pubblici le imprese prendano impegni per spenderli solo per attività essenziali, ad esempio mettendo un tetto a stipendi e bonus dei manager e proibendo la distribuzione di utili agli azionisti. Limitazioni di questo tipo sono presenti in quasi tutti i paesi che prevedono questo tipo di interventi. Anche i prestiti garantiti e le altre forme di aiuto hanno spesso vincoli di questo tipo. In Francia, ad esempio, non possono ricevere aiuti le imprese che hanno sedi nei cosiddetti paradisi fiscali.
Un’altra possibilità di aiuto diretto alle imprese è quella di dare semplicemente loro dei soldi, senza chiedere alcuna contropartita in cambio. Tra tutte le tipologie di intervento, questo è il più costoso e non tutti i paesi sono nella posizione di potersi permettere di finanziare direttamente e in misura significativa le proprie imprese. Ad oggi, soltanto gli Stati Uniti hanno fatto un ricorso generalizzato e massiccio a questo tipo di trasferimenti.
La Federal Reserve ha creato migliaia di miliardi di dollari per intervenire massicciamente sui mercati finanziari, acquistando titoli e obbligazioni, compresi i cosidetti “junk bond”, obbligazioni di nessun valore emesse da aziende che appartengono a settori in profonda crisi (come quelle del cosiddetto “shale oil”). L’intervento in Europa della BCE, anche se molto importante per sostenere i debiti pubblici dei paesi periferici dell’eurozona, è stato significativamente inferiore. Mentre il totale delle operazioni dirette eseguite dalla FED si misura infatti già in migliaia di miliardi di dollari, la BCE al momento ha in vigore un programma annuale di acquisto di titoli pubblici e privati da 750 miliardi di euro.
La minore potenza finanziaria dell’Europa si vede soprattutto nel minore ricorso ai finanziamenti a fondo perduto alle imprese, molto più limitato ed utilizzato soprattuto per fornire un aiuto nel breve periodo a piccole e piccolissime imprese, attive nel commercio o nell’artigianato. Si è parlato molto, anche in Italia, del caso del Belgio, dove i vari governi regionali garantiscono tra i 4 e i 5 mila euro al mese di finanziamento a fondo perduto ad attività come bar e ristoranti. In Francia le imprese, anche quelle individuali, con un fatturato annuale inferiore al milione di euro possono richiedere, compilando un modulo online, un aiuto immediato pari a 1.500 euro, a cui i governi regionali possono aggiungerne altri 2 mila, dopo un esame del loro caso.
Anche in questo campo, la Germania è il paese che ha fatto di più. Circa 50 miliardi di euro sono stati stanziati per erogare finanziamenti a fondo perduto che possono arrivare fino a 15 mila euro per le imprese con meno di 10 dipendenti. I singoli stati hanno stabilito varie modalità per incrementare questa somma fino a 60 mila euro.
L’Italia è arrivata molto tardi su questo tipo di aiuto. Soltanto nell’ultimo decreto è stato previsto un meccanismo per fornire sussidi a fondo perduto alle piccole imprese. Il suo funzionamento è abbastanza complesso e bisognerà attendere ancora qualche settimana per vedere come sarà messo in pratica. In teoria si tratta di un aiuto piuttosto generoso: spetta a tutte le imprese con un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro e consentirà di ottenere un aiuto a fondo perduto proporzionale al fatturato perso dall’azienda nel mese di aprile: le imprese con un fatturato fino a 400 mila euro riceveranno un aiuto a fondo perduto pari al 20 per cento della perdita subita, quelle con un fatturato fino a un milione riceveranno un aiuto del 15 per cento della perdita subita e quelle con un fatturato tra uno e cinque milioni riceveranno il 10 per cento delle loro perdite di aprile.
Un caso peculiare, e secondo molti economisti particolarmente virtuoso, è quello della Danimarca, uno dei pochi paesi ad aver stabilito che gli aiuti diretti alle imprese non saranno calcolati sul fatturato, cioè su quanto l’impresa guadagna, ma sui suoi costi. Le imprese danesi ricevono attualmente un sussidio diretto pari all’80 per cento dei loro costi e del 100 per cento se rientrano nelle categorie obbligate a chiudere durante la quarantena. Scegliendo di agire sui costi, invece che sul fatturato, il governo danese può agire in maniera più mirata, aiutando in maniera specifica le imprese che faticano a sopravvivere alla crisi ed evitando invece di finanziare quelle che, grazie a tutte le altre misure di aiuto, possono riuscire a sopravvivere. Ma questo tipo di aiuti è anche molto più complicato da erogare e sono pochi gli stati che hanno deciso di provare a seguire questa strada.