Un ennesimo giro inconcludente di negoziati su Brexit
Mentre il resto del mondo ha ben altre preoccupazioni, Regno Unito e Unione Europea continuano a litigare e il “no deal” è sempre più vicino
Venerdì si è concluso il terzo giro di negoziati su Brexit tra l’Unione Europea e il Regno Unito, ma è servito a poco: mentre la crisi legata al coronavirus dà ben altre preoccupazioni ai paesi europei, le due parti continuano a non mettersi d’accordo su una serie di punti chiave, e in particolare sul cosiddetto level playing field, cioè gli standard che il Regno Unito non potrà abbassare nella speranza di attirare investimenti stranieri e fare concorrenza all’Unione Europea.
David Frost, il capo della delegazione britannica, ha detto che sono stati fatti «molti pochi progressi», e che non riesce a capire «perché l’Unione insista su un approccio ideologico che rende più difficile raggiungere un accordo che giovi a entrambe le parti». Michel Barnier, il negoziatore capo dell’Unione Europea, ha definito invece «deludente» l’ultima sessione di trattative, sostenendo che «non scenderemo a compromessi sui valori europei a beneficio dell’economia britannica».
Barnier ha ribadito una preoccupazione condivisa da molti: e cioè che non si riesca a trovare un accordo e che si arrivi, alla fine del 2020, a una Brexit col famoso “no deal”. Entro la fine di giugno, infatti, il Regno Unito ha teoricamente tempo per chiedere un’ulteriore proroga al periodo di transizione, che dovrebbe concludersi a fine anno. Ma il primo ministro Boris Johnson continua a dire di non volerla chiedere, sia perché ha promesso di portare a termine Brexit nei tempi previsti sia per non complicarsi ulteriormente la vita.
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I problemi nei negoziati sono gli stessi che vanno avanti da mesi, e che avevano fatto fallire il precedente giro di trattative a fine aprile. L’ostacolo principale rimane accordarsi su quali leggi e regolamenti europei debba continuare a seguire il Regno Unito per accedere al mercato unico europeo, principalmente in materia di aiuti di stato, rispetto dell’ambiente e diritti dei lavoratori.
Secondo Barnier, il problema principale è che il Regno Unito pretende di scegliere a cosa adeguarsi e cosa no, con la conseguenza di venire meno a standard seguiti dagli altri stati membri. Il Regno Unito, ha accusato Barnier, dice di volere un accordo tipo quello dell’Unione con il Canada, il CETA, ma in realtà chiede molte concessioni che vanno oltre, come la libertà totale di movimento per i soggiorni brevi negli altri paesi membri, il mantenimento di accordi pregressi sull’elettricità, e accordi per consentire ad avvocati e contabili britannici di lavorare nell’Unione.
Secondo Frost, il Regno Unito si è dimostrato disposto a scendere a qualche compromesso sugli altri punti ancora irrisolti, come quello che riguarda il diritto dei pescatori europei di pescare nelle acque britanniche. In breve, il Regno Unito vorrebbe avere completa sovranità sulle proprie acque, e negoziare annualmente eventuali quote per gli altri paesi europei. L’Unione vorrebbe invece preservare quanti più diritti possibili, dietro la pressione dei paesi come Francia, Belgio, Irlanda e Paesi Bassi, i cui pescatori frequentano spesso le acque britanniche. Una fonte vicina ai negoziati ha detto a Politico che in realtà non ci sono stati veri progressi nemmeno su questo punto, anche se Barnier stesso ha detto che entrambe le parti si sono dimostrate disposte ad allentare le proprie posizioni più massimaliste sulla pesca.
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Un altro punto irrisolto riguarda il ruolo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – il principale tribunale comunitario –, che il Regno Unito vorrebbe fosse il più limitato possibile nella gestione delle eventuali controversie una volta approvato l’accordo.
Senza una proroga del periodo di transizione, rimangono pochi mesi per preparare un accordo che dovrà essere pronto a ottobre per essere approvato entro la fine dell’anno, evitando il “no deal”. Il governo britannico continua a dirsi pronto a questa possibilità, e secondo Politico stanno crescendo le possibilità che anche l’Unione accetti questo scenario, pur di non scendere a compromessi sui punti ancora da risolvere. Barnier ha detto che l’Unione è pronta al “no deal”, e che accelererà i preparativi alla luce dei pochi progressi nei negoziati: «Una volta sembrava il nostro peggiore incubo. Ma con la crisi del coronavirus, non è più in cima all’agenda politica». Il prossimo giro di negoziati comincerà il primo giugno.
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