Come iniziò la storia della Nazionale italiana di calcio
Il 15 maggio 1910 la prima squadra italiana giocò all’Arena di Milano contro la Francia il suo primo incontro ufficiale, allenata dagli arbitri
di Pietro Cabrio
Il 15 maggio del 1910 la Nazionale maschile di calcio giocò la prima partita della sua storia, all’Arena civica di Milano, contro la Francia. Nel 1910 il Genoa esisteva da diciassette anni, la Juventus da tredici e il Milan da undici. La Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) era stata istituita a Torino nel 1898 con il nome di Federazione Italiana del Football; nello stesso anno si disputò il primo campionato di calcio, vinto dal Genoa fra quattro squadre partecipanti, tutte del Nord, tre delle quali non esistono più.
Nei circa dieci anni passati dall’istituzione della FIGC alla prima partita della sua squadra nazionale, il calcio si diffuse in tutto il paese: vennero fondate fra le altre Lazio, Torino, Palermo, Hellas Verona, Bologna e Inter, che nel 1910 vinse il suo primo Scudetto. Nel gennaio dello stesso anno il presidente federale Luigi Bosisio formò ufficialmente la Nazionale italiana, la cui composizione venne affidata agli arbitri, allora ritenuti i più esperti conoscitori del gioco.
Fu così che nacque la commissione tecnica: un gruppo di esperti nominati di volta in volta dalla federazione per seguire la preparazione della Nazionale in vista dei suoi impegni. Da questa pratica deriva il termine di “commissario tecnico” con cui ancora oggi ci si riferisce all’allenatore della Nazionale, anche se negli anni il ruolo è completamene cambiato.
L’esordio
A capo della prima commissione tecnica della Nazionale fu nominato l’arbitro ed ex calciatore milanese Umberto Meazza, il quale formò una squadra di giocatori provenienti da club milanesi e torinesi, ad eccezione del capitano, Francesco Calì, difensore dell’Andrea Doria (squadra da cui nel dopoguerra nacque la Sampdoria). Per la partita contro la Francia, all’Arena civica di Milano si presentarono circa quattromila spettatori. L’Italia giocò con maglie bianche – le divise più economiche e facili da trovare – e pantaloncini a discrezione dei giocatori, bianchi o neri. Le maglie azzurre in omaggio alla bandiera della famiglia reale italiana vennero invece introdotte dalla terza partita, giocata l’anno dopo contro l’Ungheria.
Nonostante l’assenza dei giocatori della Pro Vercelli, fra le squadre più forti dell’epoca, squalificati dopo una disputa con la federazione, l’Italia vinse nettamente 6-2 contro una Francia a detta di tutti mal selezionata a causa di dissidi interni alla sua federazione. Come gli avversari, gli italiani giocavano a calcio come passatempo: fra di loro c’erano artigiani, artisti e ragionieri. Il primo gol fu segnato da Pietro Lana, uno dei dissidenti del Milan che fondarono l’Inter (anche se poi ci ripensò e tornò al Milan senza mai giocare nell’Inter). Lana fu il primo marcatore della Nazionale di calcio e anche il primo a segnare una tripletta, nella stessa partita.
Da quel giorno la storia della Nazionale di calcio si è arricchita fino a farla diventare una sorta di istituzione del paese, scandendo il passare del tempo per milioni di appassionati, con una costante alternanza fra grandi vittorie e sconfitte disastrose, entrambe capaci di influenzare l’umore di un paese. Ad oggi la Nazionale conta quattro titoli mondiali (1934, 1938, 1982, 2006), un titolo europeo (1968), una medaglia d’oro e due bronzi ai Giochi olimpici (1936, 1928, 2004). Soltanto due paesi al mondo, Brasile e Germania, hanno vinto quanto l’Italia.
Tra passato e presente
Ci sono molte analogie tra il periodo di ricostruzione in cui la Nazionale si trova da dopo la mancata qualificazione ai Mondiali del 2018 e il periodo a cui risale la precedente qualificazione mancata, quella del 1958. Negli anni Trenta uno dei commissari tecnici più famosi e vincenti di sempre, Vittorio Pozzo, portò la Nazionale alla vittoria di due Mondiali consecutivi con il cosiddetto “metodo”: il sistema di gioco pensato per aggirare i limiti fisici dei giocatori italiani dell’epoca, che prevedeva una difesa a oltranza e il contropiede per trovare il gol.
Negli anni successivi, tuttavia, in Europa si diffuse l’idea del “bel gioco” in concomitanza con il “sistema” introdotto dall’allenatore inglese Herbert Chapman. Rispetto al “metodo”, il “sistema” prevedeva un gioco più arioso e offensivo. In Italia le due scuole entrarono in una vera e propria competizione, sostenuta soprattutto dai quotidiani sportivi dell’epoca. Nell’opinione pubblica il “bel gioco” divenne più popolare e la federazione scelse timidamente di percorrere quella strada, che tuttavia portò alle più grandi sconfitte nella storia della Nazionale, come il 4-1 subito contro la Svizzera ai Mondiali del 1954 e la sconfitta contro l’Irlanda del Nord che negò la partecipazione ai Mondiali in Svezia del 1958.
Lo scontro tra le due filosofie dura da allora e non si è mai concluso, tanto che oggi si continua a parlare di “risultatisti”, cioè chi preferisce un calcio pragmatico, ai “giochisti”, coloro che invece prediligono un gioco propositivo e più offensivo, in linea con le tendenze europee. Dopo l’eliminazione del 1958 la Nazionale tornò al cosiddetto “catenaccio”, lo stile tuttora associato comunemente al calcio italiano che all’epoca trovava i suoi principali esponenti in Nereo Rocco, il primo allenatore italiano a vincere una Coppa Campioni, e al direttore della Gazzetta dello Sport Gianni Brera, suo amico e sostenitore; dopo l’esclusione dai Mondiali del 2018, invece, la federazione ha sostenuto l’inizio di un nuovo corso basato su un’idea di calcio più offensiva (il “bel gioco”), promossa da alcuni influenti ex calciatori e opinionisti televisivi, i quali hanno affidato il compito di risollevare la Nazionale a Roberto Mancini, finora con ottimi risultati.
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