In Islanda l’app per il contact tracing va forte, ma non serve a molto
È stata scaricata dal 40 per cento della popolazione, ma il successo del contenimento del contagio è passato per i tamponi e l'isolamento dei malati
In Islanda quasi il 40 per cento della popolazione ha scaricato Rakning C-19, un’applicazione messa a disposizione dal governo per il tracciamento dei contatti (“contact tracing”) tramite smartphone, con lo scopo di ridurre la diffusione dell’epidemia da coronavirus sull’isola. La percentuale di adesione è molto alta, se confrontata con le esperienze in altri paesi, ma finora l’app si è rivelata meno utile del previsto, confermando i sospetti di molti osservatori sulla sopravvalutazione delle potenzialità di queste soluzioni tecnologiche.
L’Islanda ha finora rilevato 1.802 casi positivi in tutto il paese e una decina di morti a causa del coronavirus, su una popolazione di circa 364mila persone. Il governo è riuscito a tenere sotto controllo il contagio agendo tempestivamente, con un piano per rilevare precocemente i casi positivi e isolarli, riducendo il rischio di diffusione della COVID-19.
I test tramite i tamponi sono stati eseguiti su una scala piuttosto ampia, in rapporto al numero degli abitanti, così come è stato consigliato alle persone a rischio o entrate in contatto con individui positivi di rimanere in quarantena. Il governo ha puntato molto sulla collaborazione dei cittadini, chiedendo di praticare il distanziamento fisico, ma senza la necessità di imporre particolari misure restrittive e limitazioni per gli spostamenti. La bassa concentrazione abitativa ha sicuramente aiutato, rendendo possibile un controllo più accurato della situazione rispetto a paesi con decine di milioni di abitanti.
Mentre si procedeva con i test, l’isolamento selettivo dei contagiati e il tradizionale tracciamento dei contatti con personale sanitario formato a questo scopo, il governo si è messo al lavoro per fare sviluppare un’applicazione per il contact tracing. Rakning C-19 è stata messa a disposizione dei proprietari di iPhone e di smartphone Android all’inizio di aprile, con l’obiettivo di rendere ancora più semplice il tracciamento del contagio.
Una volta scaricata e installata, Rakning C-19 chiede di fornire il proprio numero di cellulare per ricevere un codice da inserire nell’applicazione, per registrarsi. Il numero viene conservato in un database centralizzato di Sensa, società di servizi di proprietà della principale società di telecomunicazioni islandese. L’app chiede poi di avere accesso alla propria posizione geografica, che viene rilevata dallo smartphone tramite il GPS.
Una volta impostata, l’applicazione rileva periodicamente la propria posizione geografica e la salva in un elenco di luoghi che rimane sullo smartphone e non viene condiviso con nessun altro. Il dato su ogni posizione viene mantenuto per due settimane, cioè il tempo di incubazione del coronavirus, e successivamente eliminato.
Se si scopre di essere positivi al virus tramite un tampone fornito gratuitamente dal sistema sanitario, la Protezione Civile islandese invia una richiesta tramite l’applicazione per chiedere se si voglia condividere l’elenco delle posizioni geografiche registrate da Rakning C-19 nei 14 giorni precedenti. Per fornire il proprio consenso è necessario inserire il numero identificativo di un documento (è simile al nostro codice fiscale), confermando in questo modo la propria identità.
In questo modo gli addetti al tracciamento dei contatti possono utilizzare le informazioni sugli spostamenti della persona risultata positiva, verificando meglio con chi sia entrata in contatto e quale eventuale catena del contagio abbia avviato.
Rakning C-19 funziona diversamente dalle applicazioni cui stanno lavorando diversi altri paesi, come l’Italia con Immuni, e basate sulla tecnologia Bluetooth invece che su quella GPS. Si ritiene che il Bluetooth possa offrire maggiori garanzie sulla privacy, e al tempo stesso offrire un sistema più completo per sapere chi sia passato nelle vicinanze di una persona che ha poi scoperto di essere positiva al coronavirus. L’approccio dell’app islandese è di avere informazioni complementari a quelle normalmente raccolte da chi fa tracciamento dei contatti, con interviste telefoniche per chi sia risultato positivo e con persone con cui ha interagito nei giorni precedenti.
In poche settimane, Rakning C-19 è stata scaricata da quasi il 40 per cento degli islandesi, diventando una delle app per il contact tracing più usate al mondo (in rapporto alla popolazione). Secondo diversi esperti, le applicazioni di questo tipo possono essere utili solo se utilizzate da un’alta percentuale della popolazione, ma l’esperienza islandese sembra suggerire che nemmeno con un’alta adesione si ottengano risultati molto apprezzabili.
Gestur Palmason, che si occupa di coordinare il lavoro degli addetti al tracciamento dei contatti, ha spiegato che finora Rakning C-19 si è rivelata utile in un numero limitato di casi: “Per noi non è stata una svolta”. L’applicazione ha permesso in alcuni casi di ottenere più informazioni, ma alla fine è stato il lavoro sul campo degli operatori a fare la differenza nella ricostruzione delle catene del contagio.
Secondo Palmason, in Islanda ha soprattutto funzionato un approccio da subito molto mirato per identificare i casi positivi, procedere con il loro isolamento e con la ricerca dei loro contatti potenzialmente esposti al coronavirus: “Abbiamo lavorato con un approccio collaborativo con la popolazione. Ci sono leggi e si possono comminare multe, ma non lo abbiamo fatto: ci siamo fidati della volontà dei nostri cittadini di rispettare le linee guida, e quel modello ha funzionato in modo fantastico”.
L’Islanda ha pochi abitanti, città piccole e con una scarsa densità abitativa, tutti fattori che hanno contribuito a contenere l’epidemia, insieme a un controllo mirato degli arrivi sull’isola. Questo spiega in parte il successo delle iniziative adottate dal governo a prescindere da Rakning C-19. Diversi osservatori hanno però invitato a non sottovalutare l’esperienza islandese e il ruolo marginale che ha avuto l’app per il tracciamento dei contatti, unendosi a chi aveva già suggerito di non fare troppo affidamento su queste tecnologie soprattutto in una fase ormai così avanzata della pandemia.
Molti paesi, compresa l’Italia, sono al lavoro per realizzare applicazioni per il contact tracing e nelle ultime settimane Apple e Google hanno avviato una collaborazione, proprio per rendere più semplice lo sviluppo di queste app. Le prime esperienze in Australia, Singapore e Corea del Sud hanno dato risultati alterni e non ancora convincenti, con diversi studi che hanno indicato come le sole app non possano fare molto per tenere sotto controllo l’epidemia.
Come sostenuto in più occasioni anche dai responsabili dell’Istituto Superiore di Sanità in Italia, il modo migliore per fare il tracciamento dei contatti richiede la presenza sul territorio di operatori dedicati a queste attività. Identificati gli individui positivi, occorre intervistarli sui loro incontri avvenuti nei giorni precedenti per procedere con l’isolamento degli esposti, in modo da ridurre il rischio che possano contagiare a loro volta altre persone.