La Regione Lombardia e i dati sull’epidemia
Giornalisti, analisti e politici di opposizione accusano la Regione di poca trasparenza, scontrandosi da mesi con una comunicazione parziale e omissiva
di Elena Zacchetti
Dall’inizio dell’epidemia da coronavirus, sempre più giornalisti e analisti di dati, oltre ai consiglieri regionali di minoranza, accusano la Regione Lombardia, e in particolare il presidente Attilio Fontana (Lega) e l’assessore al Welfare Giulio Gallera (Forza Italia), di essere stati approssimativi e parziali nella comunicazione sulla crisi. Il governo regionale è stato criticato per avere diffuso pochi dati, per non avere fornito informazioni esaurienti sulle politiche adottate e per avere limitato l’accesso ai documenti ufficiali, come quelli prodotti dall’unità di crisi (o “task force”) messa in piedi dalla Regione.
Questa scarsa trasparenza, sostengono i critici di Fontana e Gallera, avrebbe contribuito a peggiorare la crisi in Lombardia, la regione più colpita dall’epidemia da coronavirus, dove ancora oggi si registrano centinaia di nuovi casi positivi e morti al giorno: per esempio avrebbe limitato la comprensione di quello che stava succedendo, rendendo più difficile affrontare il momento più acuto dell’epidemia e l’inizio della cosiddetta “fase 2”. Il governo regionale, contattato dal Post, ha respinto tutte le accuse, sostenendo di avere fatto di più di molte altre regioni e accusando l’opposizione di voler strumentalizzare la crisi per ottenere consenso politico.
Come per tutto ciò che riguarda la gestione dell’emergenza in Lombardia, anche per la comunicazione non è semplice dire con certezza cosa si sarebbe potuto fare meglio, anche dopo aver eventualmente appurato che molte cose non siano state fatte bene: ogni valutazione va fatta tenendo a mente le dimensioni dell’emergenza, e il fatto che fino a tre mesi fa nessuno – né gli ospedali, né la medicina territoriale, né tanto meno le aziende sanitarie e il governo regionale – fosse preparato per affrontare quello che stava per arrivare.
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C’è una premessa da fare, che secondo alcuni analisti sentiti dal Post sarebbe stata il “peccato originale” della comunicazione del presidente Fontana e della sua giunta.
Per settimane, infatti, il governo regionale ha sostenuto che in Lombardia venissero testate tutte le persone sintomatiche, in linea con le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: una cosa falsa, come è emerso dai racconti di decine di malati di COVID-19, di medici di famiglia e delle stesse ATS, le Agenzie di Tutela della Salute, enti pubblici che gestiscono la sanità regionale lombarda, e che in altre regioni si chiamano ASL. Questo sarebbe stato un “peccato originale” perché avrebbe sottostimato in maniera significativa il numero delle persone positive in Lombardia e avrebbe distorto quindi la comprensione dell’epidemia, soprattutto nelle sue prime fasi. Senza contare che è stata una prima grande dimostrazione della distanza tra le dichiarazioni della Regione e la situazione reale.
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La principale critica che è stata rivolta alla Regione Lombardia – ma che si potrebbe estendere alla maggior parte delle regioni italiane più colpite – ha riguardato la diffusione dei dati sanitari sull’epidemia, che è stata spesso giudicata insufficiente da giornalisti e analisti.
Fin dall’inizio dell’emergenza, la Regione ha diffuso alcuni numeri – tra cui quello dei nuovi positivi accertati, dei morti, dei guariti e dei ricoverati negli ospedali – tramite la conferenza stampa quotidiana tenuta in diretta da esponenti del governo regionale, senza che fossero mai previste domande dei giornalisti, e su comunicazioni pubblicate sul sito della Regione. Gli stessi numeri sono poi finiti nei conteggi nazionali, cioè nelle tabelle diffuse tutti i giorni alle 18 dalla Protezione Civile.
Ci sono però almeno due numeri importanti che la Regione Lombardia non hai mai diffuso in maniera sistematica (così come molte altre regioni italiane con epidemie meno vaste): il dato dei morti diviso almeno per provincia – una cosa strana, vista da occhi esterni – e quello dei casi positivi accertati divisi per comune, che quotidianamente vengono messi insieme da giornalisti locali usando fonti proprie. È capitato per esempio che alcuni sindaci abbiano dovuto chiamare direttamente i giornali locali per conoscere il numero di positivi nel loro comune, visto che a loro questa informazione arrivava in ritardo.
Conoscere giorno dopo giorno il numero delle persone positive a livello comunale è importante, perché la crisi non è la stessa a Bergamo, ad Alzano o a Seriate, e anche le soluzioni da adottare per superarla potrebbero essere diverse a seconda del comune in cui ci si trova e l’evoluzione dei contagi.
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Il problema, inoltre, è che la Regione ha diffuso solo alcuni dati parziali sull’epidemia, e sempre già elaborati e aggregati. Non ha quasi mai diffuso dati “aperti” e “disaggregati”, da poter “interrogare”, quindi da poter elaborare e da cui partire per fare analisi e riflessioni più approfondite. Comunicare il numero di tamponi positivi non ha molto significato, per esempio, se non si sa quando e a chi siano stati fatti quei tamponi, e se non si sa quanti di quei tamponi risultati positivi siano stati fatti su persone che erano già state testate. «Va benissimo comunicare i numeri, ma comunicare i dati è un’altra cosa», ha detto al Post Riccardo Saporiti, datajournalist freelance e collaboratore di Wired e Info Data, il data blog del Sole 24 Ore.
Saporiti, che insieme a Info Data si sta occupando di spiegare l’epidemia attraverso i dati, ha raccontato un episodio che aiuta a capire meglio tutta la questione dei dati in Lombardia.
Dopo l’inizio dell’emergenza, il governo regionale aveva iniziato ad aggiornare alcuni numeri dell’epidemia su una mappa sviluppata con il software ArcGis (qui). Nascosto “dietro” la mappa, però, era rimasto per errore un ricco database con diversi dati disaggregati, tra cui per esempio i cosiddetti “microdati” relativi alle persone sottoposte a tampone, cioè informazioni sul genere, sull’età e sul comune di residenza delle persone testate, così come la data del test e l’esito. Per errore perché i dati sensibili non possono essere diffusi, perché potrebbero essere usati per risalire all’identità delle persone (in questo caso, per esempio, delle persone risultate positive al tampone). Per settimane questi dati erano stati usati dal consigliere regionale di minoranza del PD Samuele Astuti, membro della commissione Sanità, per produrre grafici e mappe sul contagio. Ma in pochi si erano accorti della loro esistenza.
Verso metà aprile, e grazie anche al lavoro di OnData, Associazione per la promozione di trasparenza e open data, questi dati erano stati usati da alcuni giornalisti, tra cui Saporiti (che li aveva però aggregati, per evitare di rivelare informazioni sensibili). Il 24 aprile su Info Data era stata pubblicata un’inchiesta sui focolai dell’epidemia in alcune RSA lombarde basata proprio sull’analisi dei dati pubblicati per errore dalla Regione e “nascosti” dietro la mappa pubblicata con ArcGis. Due giorni dopo, però, la Regione si era accorta dell’errore e aveva rimosso tutto il dataset usato per costruire la mappa.
I dati nascosti non sono più stati diffusi in nessuna forma, nemmeno parzialmente. Per avere di nuovo a disposizione dati aperti e disaggregati, anche se non sensibili, Saporiti e altri analisti e giornalisti hanno cominciato a presentare a istituzioni regionali e strutture sanitarie le cosiddette richieste FOIA, cioè richieste per accedere a informazioni di pubblico interesse in possesso alle pubbliche amministrazioni.
Laura Carrer, che per l’associazione Transparency International Italia si occupa di FOIA, ha detto che la maggior parte delle risposte ricevute finora dalla Regione sono state approssimative e insoddisfacenti: alcune per esempio hanno rimandato a siti istituzionali nei quali però non sono contenute le informazioni richieste. La rivista Altraeconomia, che a inizio aprile aveva richiesto dati e informazioni sull’epidemia alle ATS, che rispondono all’assessore al Welfare della Lombardia, ha ricevuto da tutte le strutture dinieghi “fotocopia”, che parlavano di mancanza di tempo per preparare i dati richiesti.
Il governo regionale ha detto al Post di avere diffuso tutte le informazioni in suo possesso, o comunque di avere pubblicato tutti i dati che era possibile elaborare in una situazione di tale emergenza. Questa ricostruzione è contestata da diversi giornalisti con contatti e fonti all’interno delle ATS e del consiglio regionale. Il governo guidato da Fontana ha specificato che nelle ultime settimane, passata la fase più acuta dell’emergenza, la quantità dei dati forniti è aumentata, perché è diminuita la pressione su altri fronti. Una maggiore disponibilità delle ATS è stata rilevata anche dal consigliere regionale di minoranza Jacopo Scandella (PD), che ha comunque sottolineato come i dati diffusi dalla Regione non siano sostanzialmente cambiati nel tempo: «All’inizio non eravamo preparati per elaborare i dati. Nelle prime fasi dell’epidemia questa mancanza era scusabile, era un’attenuante, ora lo è molto meno».
Scandella è il candidato delle opposizioni a diventare il presidente della commissione d’inchiesta sull’emergenza coronavirus in Lombardia, che però non ha ancora iniziato a operare.
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I problemi di trasparenza del governo regionale lombardo non sono stati rilevati solo da Scandella ma anche da diversi altri consiglieri di minoranza, che nel corso degli ultimi tre mesi hanno chiesto spesso di essere più informati e coinvolti nel processo decisionale.
Carlo Borghetti, capogruppo del PD in commissione Sanità, ha raccontato al Post che all’inizio dell’epidemia la giunta aveva comunicato per iscritto ai consiglieri che avrebbe negato loro l’accesso agli atti fino alla fine dell’emergenza, perché tutte le risorse del governo erano impegnate nella gestione della crisi. Alla fine di aprile i consiglieri del PD avevano presentato un ordine del giorno per chiedere al governo regionale di poter avere accesso a diversi dati sull’epidemia e divisi per provincia, tra cui quelli relativi ai tamponi e ai test sierologici. L’ordine del giorno era stato poi approvato all’unanimità – quindi tutti ne avevano riconosciuto l’utilità – ma Gallera aveva chiesto che la formula «impegna la giunta» fosse sostituita con «invita la giunta», che implica un grado minore di impegno da parte del governo regionale, in questo caso nel trasmettere i dati alle opposizioni.
Diversi consiglieri di opposizione si sono anche lamentati per non avere avuto accesso ai documenti prodotti dalla “task force” della Regione Lombardia, e per non avere saputo per diverso tempo nemmeno i nomi dei responsabili tecnici del comitato. Hanno inoltre sostenuto di avere avuto contatti con alcuni di loro solo in via informale, senza però che fosse istituito uno spazio per confrontarsi e fare proposte.
«Non c’è stato da parte della giunta un comportamento virtuoso e corretto con le minoranze», ha detto Borghetti, che ha aggiunto come questa maggioranza regionale, così come tutte le maggioranze di centrodestra a partire dai tempi del presidente Roberto Formigoni, si sia comportata in maniera «autoreferenziale e autocelebrativa».
Il governo regionale della Lombardia ha respinto le accuse delle opposizioni, sostenendo di avere garantito il confronto anche durante la fase più acuta dell’epidemia. Ha inoltre negato di avere escluso le opposizioni dal processo decisionale, un’accusa ribadita invece più volte dai consiglieri di minoranza. Se ci sono state meno occasioni di confronto è stato per l’eccezionalità della situazione, ha detto una portavoce del governo regionale: «Quando sei in mezzo a un uragano devi capire in tempi rapidi cosa fare. Questo è quello che è successo».