In America Latina si sta mettendo male
Brasile e Messico stanno registrando i record quotidiani di morti da coronavirus, in alcune città dell'Ecuador e del Perù i decessi sono già migliaia
Negli ultimi due giorni Brasile e Messico hanno registrato i propri record quotidiani per numero di morti dovuti al coronavirus, aumentando le preoccupazioni per l’evoluzione dell’epidemia in America Latina, dove anche altri stati hanno avuto un drastico e recente aumento dei casi: il Perù, per esempio, e in misura minore il Cile.
Diverse metropoli sudamericane, da Lima in Perù a Manaus in Brasile, hanno fatto registrare negli ultimi giorni bilanci paragonabili a quelli delle città europee più colpite. A Guayaquil, in Ecuador, la mortalità ad aprile è stata di cinque volte più alta rispetto al normale, come a New York. L’impressione è che il peggio stia arrivando soltanto ora, e che quindi l’evoluzione del contagio sia in ritardo rispetto all’Europa, dove adesso la situazione sta tornando lentamente a migliorare, dopo settimane e settimane di misure restrittive.
Con informazioni più frammentate e spesso nascoste, ospedali sottofinanziati, una densità abitativa altissima in certe aree e un’economia generalmente in via di sviluppo, la situazione dell’America Latina è sempre più preoccupante. I sistemi sanitari e le amministrazioni locali sono in crisi come e peggio che nel resto del mondo, e ci sono grandi difficoltà a reperire i materiali sanitari che scarseggiano a livello mondiale, e che quasi sempre vengono accaparrati dai paesi più ricchi. Le operazioni di test della popolazione sono quasi sempre insufficienti, e i bilanci ufficiali, hanno rivelato diverse inchieste giornalistiche, sono quasi sempre ampiamente sottostimati.
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Un’eccezione è l’Argentina, dove su una popolazione di 44,5 milioni di persone sono stati registrati per ora meno di 7mila casi e 329 morti, grazie a tempestive misure restrittive che da questa settimana hanno cominciato a essere allentate dai governatori.
Brasile
Martedì in Brasile sono state accertate 779 morti, scese a 754 mercoledì: i due bilanci più gravi dall’inizio dell’epidemia, e che hanno portato il conto totale dei decessi a 13.240, il sesto più grave al mondo. Per numero di casi ufficiali, il Brasile ha superato l’altro ieri la Francia, ed è attualmente a oltre 190mila. Il rapporto tra contagi e morti è tuttavia assai migliore che altrove: in Italia, dove i contagi accertati sono 220mila, i decessi sono stati più di 30mila. La Francia, che ha meno di 180mila casi registrati, ha contato 27mila morti.
Il presidente Jair Bolsonaro, la cui gestione e comunicazione dell’epidemia è stata criticatissima sia in Brasile sia all’estero, non ha commentato gli ultimi numeri. Dopo aver sminuito la gravità della COVID-19 per settimane e diffuso falsità riguardo al virus, martedì ha fatto un tweet per ringraziare gli infermieri, che nel frattempo stavano protestando contro il governo a Brasilia con i nomi dei 109 colleghi morti finora per il coronavirus.
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Nonostante il grave bilancio, in Brasile non sono in vigore misure restrittive analoghe a quelle dei paesi più colpiti: né a livello nazionale né, salvo alcune eccezioni, a livello statale. Bolsonaro si è rifiutato di imporre un lockdown nel paese, e anche la maggior parte dei governatori che lo hanno criticato per questo ha fatto lo stesso. In alcuni casi sono state imposte restrizioni su singole città: la prima di grandi dimensioni è stata Sao Luis, nello stato nordorientale del Maranhao, che una settimana fa ha introdotto le prime misure di lockdown su larga scala, pur includendo soltanto alcune città.
Bolsonaro ha criticato i governatori che hanno imposto forme di quarantena in alcune città, sostenendo che vogliano danneggiare l’economia e unendosi perfino alle proteste contro i lockdown. La gestione dell’epidemia ha eroso il suo consenso e ha messo a rischio la tenuta del suo governo. Nelle ultime settimane Bolsonaro ha licenziato il ministro della Giustizia e quello della Salute, portando l’opposizione a parlare apertamente di impeachment e la Corte Suprema ad autorizzare un’indagine nei suoi confronti. È poi nato anche un altro caso intorno ai tamponi fatti da Bolsonaro: c’era il sospetto che fossero risultati positivi ma che lui lo avesse nascosto. Dopo che un tribunale di San Paolo gli aveva chiesto di presentare la relativa documentazione medica, è stata confermata la versione del presidente: erano effettivamente risultati negativi.
Messico
Mercoledì per la prima volta dall’inizio dell’epidemia il Messico ha registrato più di trecento morti in un giorno: sono stati 353, dopo giorni in cui erano stati sfiorati o superati i duecento. Ufficialmente, i contagi sono 40mila e le morti 4.220: ma diverse inchieste hanno svelato che il conteggio dei decessi sia significativamente sottostimato in Messico, e che potrebbe essere più di tre volte superiore. Il problema secondo il New York Times dipende da una scelta deliberata del governo centrale, che sta nascondendo i dati che gli arrivano dalle amministrazioni locali, che sono allarmate per la situazione.
Giovanna Avila, medica dell’Hospital de Especialidades Belisario Domínguez di Città del Messico, ha detto che la gente per strada sembra non avere idea di quale sia la situazione nelle corsie. Soltanto nella capitale si stimano 2.500 morti, contro i 700 del bilancio ufficiale. Il Messico ha fatto circa 1,1 test per ogni 1.000 abitanti, di gran lunga la percentuale più bassa tra i paesi con più di 20mila casi accertati. L’Iraq, per fare un paragone, ha fatto in proporzione sulla popolazione più del triplo dei test, mentre gli Stati Uniti ne hanno fatti 31 e l’Italia 45, sempre su 1.000 abitanti.
Anche in Messico le misure di distanziamento sociale sono state soltanto raccomandate, ma non imposte, e non ci sono restrizioni sugli spostamenti. La strategia del governo, ha spiegato il New York Times, si basa sulla previsione che i casi scenderanno naturalmente dopo il picco, cosa che però non è avvenuta in nessun paese, senza le misure restrittive. Il Guardian parla anche di pressioni dagli Stati Uniti per mantenere aperte le fabbriche che producono beni per le aziende statunitensi. Molte, tra cui quelle automobilistiche, sono state dichiarate essenziali e riapriranno da lunedì prossimo, insieme alle scuole delle aree dove i contagi sono stati inferiori.
Perù
Con i suoi 76mila casi ufficiali, il Perù è il terzo paese dell’America Latina per numero di contagi. I morti sono ufficialmente poco più di duemila. Mercoledì il presidente Martin Vizcarra ha detto che l’epidemia ha ormai raggiunto il suo picco e che il lockdown imposto nella prima metà di marzo sta entrando nella fase finale. La risposta peruviana all’emergenza è stata giudicata tempestiva e decisa dalla comunità scientifica internazionale, ma ci sono molti dubbi sul bilancio ufficiale. Nella capitale Lima, i morti ad aprile sono stati circa 6.200, più del doppio della media, uno scarto da solo superiore a quello dei decessi ufficiali registrati in tutto il paese.
Ecuador
In Ecuador prima ancora che i contagi registrati – circa 30mila – sono i decessi ad essere alti: 2.334. A Guayaquil, una città costiera di oltre 2 milioni di abitanti, la situazione è drammatica, racconta il New York Times, con i cadaveri abbandonati per strada o sepolti in bare di cartone. Il sistema sanitario nazionale non ha retto all’ondata di pazienti di aprile, e si pensa che i decessi siano stati anche in questo caso molti di più di quelli ufficiali: il bilancio dei morti nelle settimane di epidemia è stato di 15 volte superiore a quello normale, suggerendo che l’Ecuador possa essere uno dei paesi più colpiti del continente e del mondo. Tra il primo marzo e il 15 aprile, ci sono state circa 7.600 morti in più della media nello stesso periodo degli anni precedenti: le morti ufficiali per coronavirus nello stesso periodo sono state 503. Ciononostante, il governo ha annunciato che dalla prossima settimana saranno allentate le misure di lockdown, nella speranza di far ripartire l’economia.
Cile
Dopo un nuovo picco di contagi, con 2.600 nuovi casi e una crescita del 60 per cento rispetto al giorno precedente, il governo cileno ha annunciato che da venerdì sarà imposto un rigido lockdown nell’area metropolitana della capitale Santiago, che conta 6,5 milioni di abitanti. Sarà introdotta anche una quarantena obbligatoria in tutto il paese per le persone con più di 75 anni. Il Cile ha registrato fin qui oltre 34mila casi e soltanto 346 morti, ma anche in questo caso i numeri sembrano ampiamente sottostimati. I test ogni 1.000 abitanti sono stati finora circa 16,4.