La volta che la polizia di Philadelphia bombardò i suoi cittadini
Il 13 maggio 1985 la polizia sganciò una bomba sul palazzo in cui vivevano i membri di un'organizzazione afroamericana: 11 morirono, tra cui 5 bambini
Il 13 maggio del 1985, trentacinque anni fa, il capo degli artificieri della città di Philadelphia ricevette un ordine come non ne aveva mai sentiti: da un elicottero della polizia avrebbe dovuto sganciare una bomba di piccole dimensioni su un complesso residenziale a West Philadelphia, a meno di dieci chilometri dal centro della città. L’operazione era stata approvata da Wilson Goode, il primo sindaco afroamericano di Philadelphia, che intendeva risolvere una volta per tutte i problemi causati dal MOVE, una organizzazione radicale simile alle Pantere Nere che da anni era al centro di grosse tensioni con parte della città.
Nell’incendio che seguì al bombardamento morirono 11 persone, tra cui cinque bambini. Soltanto due persone riuscirono a scappare, un bambino e una donna che fu poi incarcerata. Quanto avvenuto quel giorno a Philadelphia è rimasto una ferita aperta nella comunità afroamericana della città, e rimane una delle rarissime volte in cui dei civili americani abbiano subito un bombardamento aereo, dopo Pearl Harbour e il massacro di Tulsa, di cui fu peraltro vittima sempre la comunità afroamericana.
Il MOVE – che non era un acronimo – era stato fondato oltre dieci anni prima da John Africa, un attivista per l’emancipazione degli afroamericani che unì alla filosofia politica del nazionalismo nero elementi ambientalisti e animalisti. Profondamente cristiani, i membri dell’organizzazione predicavano un’idea di giustizia universale non regolata dalle istituzioni, e cominciarono a vivere in una comune sviluppando le prime tensioni con la città. Organizzarono proteste nonviolente davanti agli zoo e agli eventi politici, e attirarono presto le antipatie delle persone che vivevano nei pressi della loro comune.
Nel 1978 le tensioni arrivarono al primo scontro violento, quando il sindaco Frank Rizzo, ex poliziotto noto per un complicato rapporto con la comunità afroamericana, ordinò lo sgombero del MOVE. Dopo che i negoziati fallirono ne nacque una sparatoria in cui morì un agente di polizia. I membri dell’organizzazione sostennero che fosse stato colpito accidentalmente da un altro agente, perché il proiettile lo colpì alla nuca mentre fronteggiava l’edificio in cui erano asserragliati, ma l’indagine ufficiale fornì una ricostruzione diversa. Nove membri del MOVE furono condannati all’ergastolo.
I membri dell’organizzazione rimasti decisero di trasferirsi in un altro complesso residenziale, al 6221 di Osage Avenue. I nuovi vicini svilupparono presto un’insofferenza per il comportamento del MOVE, e per i frequenti comizi politici al megafono: dopo tre anni il nuovo sindaco, Goode, notificò loro un nuovo avviso di sfratto, e cominciarono i preparativi per sgomberarli.
Il MOVE era considerata un’organizzazione terroristica dall’amministrazione cittadina, che riuscì a incriminare diversi membri per vari reati, dal possesso illegale di armi alla violazione della libertà vigilata. Il 12 maggio gli isolati intorno alla sede del gruppo furono evacuati, e la mattina seguente centinaia di poliziotti circondarono l’edificio cominciando le operazioni di sgombero. La corrente e l’elettricità del complesso furono tagliati, e la polizia intimò ai membri del MOVE di uscire: «Attenzione, MOVE, questa è l’America. Dovete obbedire alle leggi degli Stati Uniti».
I membri del MOVE rimasero asserragliati nell’edificio, e allora la polizia cominciò a lanciare gas lacrimogeni e a sparare acqua con gli idranti. Bloccati nello scantinato, i 13 membri dell’organizzazione presenti nell’edificio si ripararono come poterono. Tra loro c’erano sei bambini. A un certo punto cominciò uno scontro a fuoco, in cui la polizia sparò decine di migliaia di proiettili con armi automatiche. I membri del MOVE avevano soltanto qualche fucile e pistola, ma rimasero al loro posto. Fu a quel punto che il commissario di polizia Gregore Sambor, che stava coordinando l’operazione su autorizzazione di Goode, decise di bombardare il palazzo.
La bomba fu sganciata verso le cinque e mezza del pomeriggio: era fatta di un esplosivo al plastico simile a quello usato in Vietnam, e colpì esattamente il punto prestabilito, un cubicolo in muratura costruito sul tetto dell’edificio. All’interno c’era un generatore a benzina, che prese rapidamente fuoco. L’incendio si estese al resto del palazzo, e fu a quel punto che Sambor ordinò di lasciarlo bruciare. Il mattino dopo 61 case erano state rase al suolo, lasciando 250 persone senza dimora. 11 membri del MOVE morirono bruciati vivi, mentre riuscirono a scappare Michael Moses Ward, 14 anni, e Ramona Africa, trent’anni, che in seguitò sostenne che la polizia aveva impedito alle persone che erano con lei di scappare sparando.
L’unica persona a essere perseguita penalmente per i fatti di quel giorno fu proprio Ramona Africa, che fu condannata a sette anni di carcere per rivolta e cospirazione. La commissione speciale nominata da Goode per chiarire le responsabilità dell’accaduto condannò la decisione di bombardare il palazzo, ma non portò all’incriminazione di nessuna autorità cittadina. Sambor si era dimesso l’anno prima, e Goode si scusò a livello personale più volte, sostenendo sempre di aver ordinato di spegnere l’incendio subito dopo l’esplosione della bomba. L’ordine però non fu trasmesso da Sambor ai vigili del fuoco.
Da allora Goode, che rimase in carica fino al 1992, ha cercato di portare avanti un processo di riconciliazione con la comunità afroamericana di Philadelphia e con i sopravvissuti della strage, ottenendo reazioni contrastanti. La città non presentò mai le scuse formali per quanto avvenuto, e Goode ha chiesto che sia fatto in occasione del 35esimo anniversario del bombardamento. In un editoriale scritto sul Guardian, ha scritto che «la data del 13 maggio sarà per sempre incisa nella mia testa», e ha definito «indifendibile» la decisione di sganciare la bomba, ribadendo però di non essere stato a conoscenza dei dettagli dell’operazione, nonostante l’avesse approvata e avesse scelto a chi affidarla.
Ramona Africa e i membri del MOVE che hanno mantenuto in vita l’organizzazione dopo il bombardamento non vogliono saperne delle scuse di Goode e della riconciliazione. Negli anni successivi al bombardamento hanno invece chiesto riparazioni economiche, ottenute in parte nel 1996 con un risarcimento di 1,5 milioni di dollari riconosciuto a Ramona Africa, e la scarcerazione degli attivisti ancora in carcere per la sparatoria del 1978. Lo scorso febbraio hanno ottenuto l’ultima.