Il romanzo sulla pandemia scritto prima della pandemia
Lo ha scritto il premio Pulitzer Lawrence Wright, e solo per una coincidenza è uscito in mesi come questi: racconta di un epidemiologo che cerca di salvare il mondo da un virus
Il 5 maggio è uscito un libro intitolato Pandemia. Lo ha scritto il giornalista del New Yorker Lawrence Wright, vincitore di un premio Pulitzer nel 2007 per Le altissime torri e autore, tra gli altri, di La prigione della fede, il saggio da cui è stato tratto il documentario su Scientology Going clear. Non è il primo – e di certo non sarà l’ultimo – libro che parla della diffusione di un virus pericoloso nel mondo e delle sue conseguenze, ma diversamente da quelli che si sono visti finora, e contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare vista la bibliografia di Wright, Pandemia non è un saggio: è un romanzo. Ed è stato scritto quando il coronavirus non esisteva ancora.
Per la precisione il libro è un thriller, come si intuisce dalle parole scritte sotto al titolo nell’edizione italiana, pubblicata da Piemme: «Un virus misterioso. Il sospetto di un complotto. Un romanzo di sconcertante attualità». È ambientato in un 2020 in cui il mondo è sconvolto da una pandemia, causata non da un coronavirus come il SARS-CoV-2 bensì da un virus influenzale, chiamato “Kongoli” dal nome della località indonesiana di fantasia da cui ha iniziato a diffondersi. Il protagonista è uno stimato epidemiologo che lavora per il Centers for Disease Control and Prevention (CDC), il più importante organo di controllo sulla sanità pubblica americana, che scopre il primo focolaio di Kongoli e si trova poi a dover stare separato dalla sua famiglia per cercare di limitarne la diffusione.
Pandemia non è un instant book, come gli addetti ai lavori dell’editoria chiamano i libri scritti in fretta in risposta a eventi dell’attualità: Wright progettava di scriverlo da una decina d’anni e le bozze per la stampa erano state mandate ai critici americani mesi fa. Il fatto che sia uscito in corrispondenza con la pandemia da coronavirus è solo una coincidenza. Marion Winik del Washington Post ha scritto nella sua recensione: «La copia in anteprima è sulla mia scrivania fin da gennaio. All’interno c’erano parole che non avevo mai sentito prima, come “coronavirus”, e concetti a cui non avevo mai pensato, come “distanziamento sociale”, “carenza di respiratori”, ed “essere uccisi dalla risposta immunitaria del proprio corpo a una malattia piuttosto che dalla malattia stessa”. Ma mentre il libro se ne stava lì, il mondo intorno è cambiato al punto che gran parte del suo contenuto si è mescolato con le notizie».
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Wright ha raccontato che l’idea per il romanzo, che inizialmente doveva essere una sceneggiatura per un film, gli era stata data dal regista Ridley Scott. Dopo aver letto La strada di Cormac McCarthy, un romanzo ambientato in un mondo post-apocalittico nel nostro futuro prossimo, Scott gli aveva chiesto che genere di evento distruttivo avrebbe potuto portare alla fine della civiltà umana in breve tempo. Wright pensò che una pandemia fosse la risposta più probabile, forse per via di un episodio di cui si era occupato all’inizio della sua carriera:
Mi è venuto in mente il periodo in cui, da giovane reporter, mi ero occupato di un misterioso focolaio di influenza H1N1, lo stesso ceppo di quella del 1918, che aveva ucciso dai 50 ai 100 milioni di persone. Da quel momento gli operatori sanitari temevano il suo ritorno. Poi, nel 1976, una recluta, David Lewis, morì a Fort Dix nel New Jersey, a causa di quell’influenza. Per un motivo misterioso, fu l’unica vittima.
Nel tempo ha letto decine di libri e articoli su virus, sistemi immunitari ed epidemie, e ha parlato con numerosi esperti di diversi campi (tutti citati nei ringraziamenti in fondo al libro) per costruire una trama verosimile e accurata dal punto di vista scientifico.
Per questo leggendo il romanzo si ha in alcuni punti una sensazione di déjà-vu che non è assolutamente illusoria. Come con il coronavirus nella realtà, in Pandemia con la diffusione del Kongoli le persone cominciano a indossare mascherine, circola l’idea che sia un virus prodotto in laboratorio (anche se non dalla Cina), i respiratori negli ospedali scarseggiano, si introducono misure di quarantena, si fanno previsioni sui tempi necessari per la produzione di un vaccino e c’è un dibattito tra chi vorrebbe riaprire frontiere e negozi e chi no.
Si è già parlato di «romanzo profetico», ma Wright non è d’accordo. Del resto gli scienziati che si occupano di virus ed epidemie parlavano da anni della possibilità che arrivasse una nuova malattia come la COVID-19. Ci sono anche saggi divulgativi, primo fra tutti Spillover di David Quammen, attualmente nella classifica dei libri più acquistati, che spiegano che l’arrivo di una pandemia è sempre stato questione di quando e non di se. Wright comunque non ha potuto fare a meno di ricordare che gli era stato dato del profeta anche per via di una sua precedente opera di narrativa.
Mi era già capitato di essere accusato di essere preveggente. Nel 1998 Attacco al potere, un film che scrissi insieme al regista Ed Zwick e a Menno Meyjes, rispondeva a una domanda simile: cosa potrebbe accadere se il terrorismo arrivasse in America come ha già fatto a Londra e Parigi, per non menzionare Tel Aviv? Cosa accadrebbe se succedesse a New York? Nel film, in cui recitarono Denzel Washington e Annette Bening, c’erano degli islamisti radicali dietro gli attacchi. Fu un flop al botteghino, ma dopo l’11 settembre divenne uno dei film più noleggiati negli Stati Uniti.
(…) Quella che può sembrare una profezia è in realtà il frutto della ricerca. Come scrittore, sono sempre stato più stupito dalla realtà che dall’immaginazione, quindi mi aggrappo alla scienza, alla storia e all’esperienza umana. Sia per Attacco al potere che per Pandemia ho riflettuto su cosa era successo in passato in occasione di eventi simili e ho parlato con esperti che mi aiutassero a creare una trama credibile.
Alcune cose inizialmente sembravano assurde anche a lui, ma poi per via del coronavirus ha cambiato idea:
Nel mio romanzo il virus si diffonde durante lo Hajj e la Mecca viene isolata con 3 milioni di pellegrini al suo interno. Mi preoccupavo che queste scene risultassero inverosimili, ma poi la Cina ha messo in quarantena 11 milioni di persone a Wuhan.
A un certo punto la storia di Pandemia si allontana dalla situazione che stiamo vivendo. Il morbo di Kongoli è più letale della COVID-19 (in particolare tra i giovani), anche se altrettanto contagioso, e causa un numero di morti molto maggiore, pari al 7 per cento della popolazione mondiale. Inoltre la pandemia rende più instabile una situazione geopolitica già precaria e questo porta a conseguenze molto più disastrose di quelle, pur molto gravi, a cui stiamo assistendo: tra le altre cose alcuni governi (compreso quello italiano) collassano, l’Arabia Saudita comincia una guerra con l’Iran, gli hacker russi di Fancy Bear ci mettono del loro e a un certo punto entra in gioco un sottomarino militare che ricorda il film post-apocalittico del 1959 L’ultima spiaggia.
Per alcune cose Wright sembra essere stato eccessivamente pessimista. In un’intervista con Paola Peduzzi del Foglio ha spiegato di aver sottovalutato la solidarietà tra le persone: con la pandemia da coronavirus «le persone hanno deciso di consegnare molto potere ai loro governi, hanno rinunciato a molte libertà in breve tempo e con grande serietà, sono disposte anche a cedere buona parte della loro privacy», mentre in Pandemia le persone si disinteressano dei propri vicini, abbandonano gli anziani nelle case di riposo e si dedicano allo sciacallaggio.
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Per capire che genere di romanzo aspettarsi, anche dal punto di vista letterario, è utile leggere il giudizio del critico letterario del New York Times Dwight Garner. Loda l’accuratezza scientifica di ciò che dicono e fanno i personaggi e i numerosi intermezzi divulgativi che raccontano le grandi epidemie della storia, dalla peste alla spagnola, per arrivare all’AIDS, alla MERS e ad ebola; ce n’è uno che spiega come mai i vaccini si chiamano così (c’entrano le mucche, sì) e un altro che racconta la storia di Carlo Urbani, il medico italiano che capì che la SARS era una nuova malattia e poi ne morì. Garner apprezza anche il messaggio presente nel finale del romanzo (che qui non diremo) per come è svelato pian piano.
È però meno entusiasta dello stile e della forma del romanzo:
Come autore di narrativa, Wright non vi farà dimenticare che Ian McEwan, Hilary Mantel, Don DeLillo e Margaret Atwood sono ancora in circolazione. I dialoghi sono un po’ legnosi. Alcuni sviluppi psicologici si impongono in modo brusco. Uno dei personaggi principali muore senza il rilievo che avrebbe dovuto avere.
Anche Winik, secondo cui le parti più interessanti di Pandemia sono quelle divulgative, è critica sugli aspetti più letterari:
Per quanto riguarda lo sviluppo dei personaggi e il loro arco narrativo, ci sono alcune scelte discutibili. Al centro del libro c’è la vicenda di una famiglia che viene separata a lungo a causa delle restrizioni di viaggio. Mi sono sentita un po’ tradita quando alla fine la famiglia torna insieme senza una scena di ricongiungimento. E l’assurda vicenda biografica del protagonista Henry Parsons, che viene raccontata un po’ alla volta, lo rende un personaggio piatto invece che dargli profondità. Se si è fan dei thriller della scuola di Dan Brown e Michael Crichton si può trovare tollerabile questo aspetto, e magari apprezzare il libro.
Winik riflette anche sul perché uno dovrebbe leggere un romanzo su una pandemia durante una pandemia. Per qualcuno la storia di Pandemia potrebbe risultare terrorizzante, ma per qualcun altro invece potrebbe avere un effetto calmante dato che nel romanzo le cose vanno molto peggio che nella realtà.
Wright da parte sua ha detto di essere in parte orgoglioso di aver immaginato delle cose che poi si sono avverate nel mondo reale. «Mi sento però anche imbarazzato per averlo scritto», ha raccontato.
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