Cosa dicono i giornali sulla liberazione di Silvia Romano
Riportano diversi suoi virgolettati che dicono qualcosa in più della prigionia, della liberazione e della conversione, ma ci sono ancora molte cose poco chiare
Silvia Romano, la cooperante italiana liberata due giorni fa dopo un anno e mezzo di prigionia fra Kenya e Somalia, è tornata ieri in Italia. Romano è stata portata in una caserma dei carabinieri per essere interrogata, per quattro o cinque ore, dal pubblico ministero che sta seguendo il suo caso, Sergio Colaiocco. Oggi sui giornali circolano molte notizie sul rapimento, la prigionia e la sua conversione all’Islam, con molti virgolettati di Romano: alcuni sono molto simili tra loro da giornale a giornale, ma in altri casi non coincidono. Tutto va quindi preso con molta cautela.
Rapimento e prigionia
Romano era stata rapita la sera del 20 novembre 2018 nel villaggio di Chakama, nel sud del Kenya, a circa 80 chilometri a ovest di Malindi, mentre seguiva un progetto di sostegno all’infanzia per conto di una onlus italiana, Africa Milele. Secondo le prime informazioni i suoi rapitori (almeno otto persone, scrive Repubblica) facevano parte di una banda di criminali locali; il capo, un somalo di 31 anni, avrebbe avuto legami con al Shabaab, un noto gruppo jihadista legato ad al Qaida che da molti anni controlla pezzi del territorio somalo e compie attacchi terroristici in Somalia e nei paesi limitrofi. Al Shabaab, fra l’altro, ha una lunga storia di rapimenti di cittadini stranieri in Kenya e Somalia.
I quotidiani italiani concordano sul fatto che il primo gruppo fosse quello degli esecutori e che abbia poi consegnato Romano alla banda che ne avrebbe ordinato il sequestro e che l’avrebbe tenuta prigioniera trasferendola dal Kenya alla Somalia. Repubblica e altri giornali riportano un virgolettato di Romano che, su questo punto, al pubblico ministero avrebbe detto: «Dopo essere stata rapita sono stata accompagnata per circa un chilometro dove ad aspettarmi c’erano tre sequestratori somali con delle moto. Mi hanno preso e siamo partiti verso la Somalia».
Il viaggio, avrebbe sempre raccontato Romano, «è durato circa quattro settimane. Abbiamo attraversato foreste e zone molto impervie. Abbiamo guadato due fiumi. Avevamo le moto, abbiamo camminato e nell’ultimo tratto sono arrivate anche due automobili». Il virgolettato del Corriere dice: «All’inizio c’erano due moto, poi una si è rotta. Abbiamo fatto molti tratti a piedi, attraversato un fiume. C’erano degli uomini con me, camminavamo anche per otto, nove ore di seguito. Erano cinque o sei». Durante i primi giorni, Romano si sarebbe ammalata e sarebbe stata curata.
In Somalia sarebbe arrivata prima di Natale e lì sarebbe stata spostata in sei diversi nascondigli: «Ci spostavamo in auto o a piedi. Sentivo le voci da fuori ma non ho mai visto nessun altro se non i miei sequestratori: nessun occidentale, nessuna donna», riporta Repubblica. La Stampa scrive anche i nomi di alcune località dove Romano sarebbe stata tenuta prigioniera – Bulo Fulay, Harardhere, Janale – e aggiunge: «In particolare ci sono prove che la volontaria sia stata nascosta a lungo proprio a Janale, da ottobre 2019 allo scorso marzo. Altre tracce la collocherebbero a fine aprile, insieme ad altri ostaggi, in una zona conosciuta come la Foresta degli elefanti, controllata dai miliziani jihadisti». Sempre La Stampa riporta una frase di Romano, che avrebbe detto di non sapere dove si trovava: «Dalle finestre provenivano rumori di vita, di gente, anche qualcosa tipo traffico di automobili, per cui ho pensato che fossero delle città. Ma sinceramente non ho idea di dove fossi».
I quotidiani, nel racconto, concordano sulle modalità della prigionia in base a ciò che Romano avrebbe detto al pm. I carcerieri erano tutti uomini, avevano sempre il capo coperto («quindi non sarei in grado di riconoscerli») e soltanto uno di loro parlava inglese: era il solo, quindi, con il quale lei riusciva a comunicare, perché gli altri parlavano solo dialetti somali. Romano avrebbe detto di aver imparato anche un po’ di arabo, di essere stata nutrita regolarmente e di essere stata «trattata bene»: di non aver cioè subito violenze o minacce.
Durante i primi tempi della prigionia, Romano avrebbe detto di essere stata disperata: «Poi un giorno», riporta Repubblica, «ho chiesto un taccuino e una penna. Me l’hanno portato e da quel momento ho cominciato ad appuntare tutto quello che accadeva, a segnare il cadenzare del giorno e della notte. E in un certo modo ho cominciato anche a stare meglio». Il Corriere aggiunge che il suo diario le sarebbe stato preso prima della liberazione.
Trattativa e liberazione
La trattativa per la liberazione di Romano sarebbe iniziata nell’estate del 2019. Dopo alcuni mesi di negoziati, scrivono i giornali, l’intelligence italiana si è convinta che Romano fosse ancora viva nel gennaio del 2020. La prova definitiva sembra che sia stato un video in cui compariva la stessa Romano e che lei avrebbe confermato di aver girato.
Alla liberazione di Romano hanno lavorato soprattutto i funzionari dell’AISE, i servizi segreti italiani che lavorano all’estero, assistiti – ma non è chiaro in che misura e con che ruolo – dall’intelligence locale e da quella turca. La Turchia ha estesi e antichi rapporti con la Somalia, che riguardano sia lo sviluppo economico e infrastrutturale sia la sicurezza.
Il negoziato sarebbe entrato nel vivo a metà aprile, e anche Giuseppe Conte, parlando all’aeroporto di Ciampino dopo aver accolto Romano in Italia, ha spiegato che «da qualche mese» le trattative erano «in dirittura finale».
Sulla liberazione non ci sono ancora molti dettagli, ma il modo in cui ne scrivono i giornali fa pensare che ci sia stato uno scambio. La Stampa scrive: «Per quanto riguarda la liberazione – avvenuta nella notte tra venerdì e sabato – Silvia Romano sarebbe stata accompagnata fuori dalla foresta, a una trentina di chilometri da Mogadiscio, dove è scattato il blitz turco-somalo che ha portato alla sua liberazione. Nel corso dell’operazione sarebbero stati fatti anche degli arresti, ma i sospetti sarebbero già stati rilasciati. Ora però sul sequestro e sull’operazione per la liberazione della cooperante italiana ha aperto un fascicolo anche la procura federale somala».
I giornali danno per certo che l’Italia abbia pagato un riscatto, ma la cifra non è nota. Ammonterebbe, scrivono oggi, a 1,5 o 2 milioni di euro, e non a 4 milioni come si diceva ieri. La Stampa precisa che è probabile «che altre quote siano state versate – nel corso della lunga detenzione della giovane – ad intermediari che hanno facilitato i contatti con i suoi sequestratori. Questo almeno è quanto trapelato dai servizi segreti somali».
Su tutto questo non c’è alcuna conferma, da parte del governo italiano, ma la notizia del pagamento di un riscatto e la gestione del caso avrebbe provocato delle tensioni tra Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che sarebbe stato escluso dall’ultima fase dell’operazione. Repubblica scrive anche che il probabile pagamento di un riscatto avrebbe causato attriti anche con altri paesi come gli Stati Uniti, direttamente coinvolti nella guerra contro al Shabaab.
Romano dovrebbe essere riascoltata dal pm entro un paio di settimane con l’obiettivo di provare a recuperare altri dettagli che consentano di arrivare all’identificazione dei responsabili del sequestro.
Conversione
Subito dopo l’arrivo di Romano in Italia si sono diffuse diverse illazioni sul suo conto: che si fosse convertita all’Islam e che fosse incinta. La prima era legata al fatto che la ragazza fosse scesa dall’aereo che da Mogadiscio l’ha riportata a Ciampino con lo jilbab, un abito delle donne islamiche somale che non prevede una copertura integrale. Lei avrebbe confermato.
Dice Repubblica che durante la prigionia Romano avrebbe chiesto dei libri: «Ho chiesto dei libri e mi hanno portato il Corano. Ho cominciato a leggere per curiosità e poi è stato normale: la mia è stata una conversione spontanea». Il Corriere riporta un virgolettato differente: «Ho chiesto dei libri e poi ho chiesto di avere anche il Corano». La Stampa aggiunge dei dettagli, attribuendoli a una dichiarazione di Romano: «Me lo hanno dato su un computer, scollegato a Internet, in due versioni: italiano e arabo. Io ovviamente lo leggevo in italiano ma in questi mesi ho anche imparato qualche parola di arabo. I miei carcerieri, che erano presenti sempre almeno in tre, mi hanno spiegato le loro ragioni e la loro cultura».
In generale Romano avrebbe negato di essere stata costretta alla conversione e di esserci arrivata lentamente. Avrebbe anche raccontato alla psicologa con cui ha avuto un colloquio dopo la liberazione di aver cambiato il suo nome in “Aisha”, e avrebbe spiegato che la cerimonia di conversione «è durata pochi minuti, in cui ho espresso la mia volontà di diventare musulmana. Ho recitato le formule per manifestare la mia convinzione che non c’è Dio all’infuori di Allah. E così mi sento ancora adesso. Io ci credo veramente».
Romano ha anche detto di non essere stata costretta a sposarsi e di non essere incinta, illazione che è circolata per il semplice fatto che nel video del suo arrivo all’aeroporto di Ciampino si teneva una mano sulla pancia: «Non sono incinta, nessuno ha mai approfittato di me. Mi hanno sempre portato rispetto», avrebbe detto. Romano avrebbe anche dichiarato di essere sempre stata convinta che il suo «fosse un sequestro a scopo di estorsione» anche se non avrebbe mai sentito parlare di riscatto o di una trattativa.