Il coronavirus favorirà l’automazione?
Molti dicono che sarà inevitabile – i macchinari non si ammalano – ma è meno chiaro chi sarà a guadagnarci e chi invece finirà per perderci
Le conseguenze a lungo termine che la pandemia di COVID-19 avrà sulle nostre società sono ancora per larga parte un mistero, e quelle della recessione economica innescata dal virus sono ancora più imperscrutabili. Ma su una cosa la maggioranza degli esperti e degli economisti sembra essere d’accordo: l’insieme di queste due crisi porterà a un aumento senza precedenti dell’automazione. Sempre più macchine e robot svolgeranno i lavori degli esseri umani: questo potrebbe essere un vantaggio per alcuni e un problema per altri.
La crescente automazione dell’economia è un tema di cui si discuteva già molto prima della pandemia. In genere, gli economisti ritengono che tra il 30 e il 60 per cento degli attuali posti di lavoro potrebbe essere sostituito da sistemi di automazione nei prossimi anni: anche tenendo conto soltanto delle tecnologie attualmente disponibili e senza citare le auto che si guidano da sole o immaginare imprevedibili sviluppi delle intelligenze artificiali (non mancano però anche stime molto più prudenti).
Le economie basate sulla manifattura sono quelle più esposte a questa transizione. Un recente rapporto della società di consulenza McKinsey sosteneva che in Italia il 50 per cento degli attuali impieghi potrebbe essere svolto dalle macchine. E questa transizione è già in corso. Secondo l’ultimo rapporto sul tema dell’ISTAT, che risale al gennaio dell’anno scorso, l’8,7 per cento delle imprese italiane con almeno 10 dipendenti utilizza robot. Tra le imprese del settore manifatturiero con almeno 250 dipendenti la quota sale al 60 per cento.
La pandemia, sostengono molti, produrrà un balzo in questo processo. In queste settimane sono state spesso ripetute le parole dell’amministratore delegato di Microsoft, Satya Naella, che ha detto di aver appena assistito a «due anni di trasformazione digitale in appena due mesi». Le ragioni sono abbastanza evidenti. Le macchine non si ammalano, e in un’epoca in cui il distanziamento fisico diviene sempre più importante per proteggere la salute pubblica, diminuire il personale presente in azienda, con il lavoro da casa o impiegando robot, è una garanzia di maggior sicurezza. Non solo per la salute, ma anche per i profitti: i robot possono proseguire a lavorare anche quando la forza lavoro umana si ammala, oppure deve restare a casa, oppure ha troppa paura per andare a lavorare.
La manifattura è il settore che più sarà influenzato da questa trasformazione, e quello dove già oggi sono utilizzati i robot più simili a quelli del nostro immaginario: grossi bracci meccanici che assemblano pezzi di carrozzeria, per esempio. Ma ci sono ampi margini di automazione anche dove meno ce li aspettiamo, soprattutto se allarghiamo la definizione di “automazione”.
Le casse automatiche di negozi e supermercati non sono robot ad alta tecnologia, ma sono un processo di automazione: un processo che tra l’altro può crescere ancora molto. È facile immaginare un mondo in cui, nel prossimo futuro, non prenderemo più i prodotti dagli scaffali, ma ci limiteremo a selezionarli tramite una app, per poi trovarli già imbustati da un robot all’uscita del supermercato. L’unica cosa che dovremo fare a quel punto sarà passare la nostra carta di credito in un lettore.
Nelle definizioni più ampie utilizzate dagli esperti, il termine “automazione” arriva a includere qualsiasi innovazione tecnologica che permetta di non utilizzare lavoro umano. Molti includono in questa categoria anche l’impatto a lungo termine che avranno la diffusione delle app per teleconferenza. Durante la quarantena sono state una necessità, ma una volta sperimentati i risparmi che permettono sui voli aerei, sugli spostamenti in treno o taxi, sulle spese per gli alberghi, molte società potrebbero decidere di adottarle anche in futuro.
In un recente sondaggio realizzato nel Regno Unito, 4 aziende su 10 hanno dichiarato di aver già accelerato i loro piani per introdurre sistemi di automazione. Anche l’opinione pubblica potrebbe cominciare a spingere in questa direzione e a premiare aziende e servizi che limiteranno i contatti umani e quindi i rischi di contagio. «Prima della pandemia le persone pensavano che l’automazione procedesse troppo in fretta», ha spiegato al New York Times Richard Pak, professore alla Clemson University e studioso dell’impatto psicologico dell’automazione, «ma il contagio spingerà le persone a pensare a cosa altro potrebbe essere affidato alle macchine».
Tutte queste forze che spingono sulla strada della crescente automazione devono fare i conti con quelle che spingono nella direzione opposta. L’automatismo è costoso, richiede investimenti massicci e una forza lavoro qualificata. Tutti elementi che è difficile trovare nel mezzo di una recessione di portata storica come quella causata dalla pandemia. L’automazione, inoltre, viene perseguita dalle imprese quando è conveniente, quando cioè introdurre nuovi macchinari permette di risparmiare. Ma nel corso di una recessione che, come quella attuale, produce milioni di nuovi disoccupati, il costo del lavoro tende a calare. E quindi, parallelamente, diviene meno conveniente installare nuovi macchinari per sostituire i lavoratori.
Non è detto che le cose andranno così. Secondo uno studio molto citato in questi giorni, l’automazione procede in realtà in modo controintuitivo e cresce in maniera particolarmente rapida proprio durante le recessioni. Questo perché quando le società perdono utili, la necessità di risparmiare diviene ancora più pressante. A quel punto licenziare personale divenuto relativamente più costoso (relativamente, cioè, agli utili in calo) diviene sempre più importante per migliorare i conti. Ma visto che per mantenere la produzione non ci si può liberare di tutti, entrano in gioco calcoli complessi. Per esempio: liberarsi dei lavoratori meno qualificati e sostituirli con macchinari e lavoratori più qualificati e quindi, in teoria, più produttivi.
Oggi, tutti questi fattori sono in gioco contemporaneamente e producono risultati ambigui. Amazon, per esempio, ha annunciato che assumerà nelle prossime settimane 100 mila nuovi lavoratori per soddisfare la crescente domanda di prodotti. Ma allo stesso tempo sta introducendo in alcuni magazzini un nuovo tipo di robot il cui compito è trasportare pacchi da un lavoratore all’altro (in modo da ridurre la necessità di contatti ravvicinati).
Se non è ancora chiaro con quale velocità crescerà l’automazione e se e quanto questa crisi renderà la sua diffusione ancora più capillare, e sappiamo ancora meno sugli effetti che produrrà a lungo termine sulle nostre società. In teoria l’automazione è un fenomeno positivo: permette di fare le stesse cose con meno risorse, e quindi di utilizzare per altri scopi quello che viene risparmiato. Il supermercato automatizzato potrebbe vendere i prodotti a un prezzo inferiore e il risparmio ottenuto dalle famiglie potrebbe essere speso, per esempio, per fare una cena fuori in più ogni settimana.
Come hanno ricordato tra gli altri i premi Nobel per l’economia Eshter Duflo e Abhijit Banerjee raramente le cose procedono in maniera così lineare. Nel loro recente libro Good Economics for Hard Times, i due economisti ricordano che l’automazione ha un potente effetto di “dislocamento”: elimina i lavori a bassa qualificazione e li rimpiazza con altri che richiedono maggiore abilità ed istruzioni. Lavori che non è detto che si trovino nello stesso luogo.
L’automazione di una fabbrica in una regione, per esempio, potrebbe creare nuovi posti di lavoro presso un suo fornitore, poiché la prima azienda aumenta la sua produzione e quindi ha bisogno di un numero più alto di componenti. Ma questi nuovi lavori potrebbero trovarsi da tutt’altra parte, magari all’estero, e potrebbero richiedere competenze del tutto diverse. Per i lavoratori anziani che hanno perso il lavoro, acquisire nuove abilità e cambiare radicalmente la propria vita rischia di essere semplicemente impossibile. La teoria economica dice che, sul lungo periodo, gli effetti dell’automazione saranno positivi, ma, ricordano Duflo e Banerjee, «il lungo periodo rischia di essere molto lungo». Se le previsioni degli esperti su come la pandemia accelererà i processi di automazione si riveleranno corrette, diventerà sempre più importante capire come fare a rendere questo “lungo periodo” il più corto possibile.