Fortnite non è solo un gioco
È già diventato una piattaforma e potrebbe diventare tanto altro (un metaverso, addirittura)
di Gabriele Gargantini
Meno di cinque mesi fa qualcuno su Twitter chiese a Tim Sweney, fondatore della società di videogiochi dietro a Fortnite, se secondo lui Fortnite fosse «un videogioco o una piattaforma», cioè un’entità diversa, con ambizioni e prospettive ben più grandi.
Un minuto dopo la domanda, arrivò la risposta di Sweney:
«Fortnite è un gioco. Ma, per favore, rifammi la stessa domanda tra 12 mesi»
Anche senza aspettare altri sette mesi, ci sono diverse evidenze per dire già ora che Fortnite è molto più di un gioco. Considerato che i giocatori iscritti a Fortnite sono più di 350 milioni (100 milioni in più rispetto al marzo 2019) e visto che solo ad aprile hanno passato oltre tre miliardi di ore a giocarci, la cosa potrebbe interessare anche a chi di solito non si interessa di videogiochi.
Il gioco
Fortnite – il cui nome deriva dalle parole “fortnight”, “fort”, “knight” e “night” – esiste dall’estate 2017, si può giocare su ogni tipo di dispositivo e console. Sebbene preveda diverse modalità, quella di gran lunga più famosa si chiama Battaglia reale e prevede che fino a 100 giocatori si scontrino in modalità tutti contro tutti (ma anche a coppie o a squadre) su un terreno comune che si rimpicciolisce sempre più, finché non rimane un unico vincitore.
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Fortnite non è stato il primo gioco a far scontrare cento giocatori “su un terreno comune che si rimpicciolisce sempre di più” (anzi, era partito da tutta un’altra idea) e ha avuto successo perché ha saputo cavalcare l’onda giusta (quella della modalità “tutti contro tutti”, o meglio ancora “battle royale“) aggiungendo però dinamiche di gioco particolarmente vivaci e un’estetica colorata e allegra.
Fortnite è un gioco giocoso, con personaggi dall’aspetto cartoonesco, senza sangue o cose truculente. Per iniziare a giocarci bastano pochi minuti (è gratis, anche se prevede la possibilità di fare acquisti interni al gioco) e una delle più citate ragioni del suo successo è stata la sua capacità di cambiare sempre. La modalità Battaglia reale ha avuto infatti capitoli e stagioni e al cambiare di ognuna sono sempre arrivate piccole o grandi novità: nuove armi, nuove ambientazioni, nuove regole ma anche solo nuove possibilità di cambiare l’aspetto degli avatar con cui si gioca. Potreste aver letto di quella volta in cui un buco nero virtuale risucchiò l’intero mondo di Fortnite.
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Oltre il gioco
Potreste però anche aver letto, negli ultimi giorni, che il rapper statunitense Travis Scott (seguito su Instagram da 28 milioni di utenti) ha fatto un concerto dentro Fortnite. Una cosa che di solito non succede, nei videogiochi.
Fortnite ha costruito la sua fortuna con il successo della modalità di gioco “tutti contro tutti”, ma con il passare del tempo c’era il rischio che quella modalità finisse per limitare le ambizioni di Fortnite. È vero che un gioco che ogni volta riparte con 100 nuovi giocatori e finisce con un solo vincitore rischia di annoiare meno di altri giochi. Ma è altrettanto vero che, alla fine, seppur con tutti gli aggiornamenti del caso, il gioco è rimasto sempre quello. E in genere i videogiochi che hanno più successo sono quelli che si rinnovano radicalmente o che (pensate a quelli di calcio) possono evitare di farlo perché si appoggiano su qualcosa che a prescindere dal videogioco si aggiorna anno dopo anno, rendendo automaticamente vecchio quello che c’era prima.
Restando solo un gioco, Fortnite rischiava di passare di moda. C’era bisogno di rendere il gioco parte di un qualcosa di più grande, in grado di trasformare i giocatori in spettatori, utenti e clienti; in grado di invogliarli a entrare, tornare o restare nella realtà virtuale del gioco per cose diverse dal gioco stesso.
Concerti, razzi e buchi neri
Il concerto di Travis Scott, che si è tenuto a fine aprile, è stato seguito – nel gioco – da oltre 12 milioni di giocatori. In realtà i concerti sono stati tanti, perché i giocatori/spettatori potevano seguirlo al massimo in 50 per ogni “palco”, e perché ci sono state delle repliche. Senza perderci nei dettagli, si può dire che svariate decine di milioni di persone lo hanno guardato, dentro o fuori da Fortnite, trasformando un concerto virtuale in un evento di cui si è molto parlato anche nel mondo reale.
Lasciando da parte le notevoli prospettive che la cosa ha per il mercato musicale, il concerto di Travis Scott è stato il più raccontato e più efficace esempio di qualcosa che ha sempre più a che fare con Fortnite: la volontà di costruire eventi interni al mondo del gioco, che addirittura prescindono dal concetto stesso del giocare. Oltre a Travis Scott, Fortnite ha ospitato un’esibizione di Diplo –«Immaginate di spiegare questa cosa a qualcuno che vive nel 2010» ha commentato lui – e, diversi mesi fa, una del DJ Marshmello (30 milioni di follower). E il 9 maggio dentro Fortnite ci sarà un mini festival musicale, con in scaletta le esibizioni di Dillon Francis, Steve Aoki e deadmau5.
Non si tratta però solo di concerti. In passato Epic Games, la società che ha creato e controlla Fortnite, ha organizzato dentro al gioco il lancio virtuale di un razzo, una sorta di lotta tra un “mech” e un “kaiju” (un robot e un mostro, in una semplificazione che offenderà molti) o la proiezione di una scena di Star Wars introdotta da J.J. Abrams. Per non parlare, di nuovo, di quel buco nero che milioni di utenti hanno fissato per ore.
Un social network
Già da tempo si era capito che Fortnite poteva essere – e forse già era – più di un gioco. Per esempio un punto di incontro tra persone non necessariamente interessate a spararsi online l’una contro l’altra. Già a fine 2018, The Verge scrisse che Fortnite era stato «il social network più importante dell’anno». Era anche evidente, però, che Fortnite fosse soprattutto un gioco: gli utenti magari ci andavano per passarci del tempo e interagire con altre persone, ma lo scopo principale era giocare.
Nel caso del lancio del razzo virtuale, ci fu per esempio chi si lamentò di non averlo potuto guardare con calma, perché il suo avatar era stato ucciso da altri avatar interessati alla vittoria più che all’insolito evento. Era ancora difficile trovare modi e spazi per delle interazioni altre rispetto al gioco. Tutti i concerti di Fortnite, invece, hanno avuto spettatori disarmati e pacifici, che mentre ascoltavano e guardavano le esibizioni potevano muoversi ma non spararsi l’un l’altro. Non c’era competizione, non c’era nessuno che perdeva e nessuno che vinceva.
Una piattaforma
Tutte gli eventi extra-ludici di Fortnite sono finora stati appunto questo: degli eventi, delle possibilità limitate e fuori dall’ordinario di assistere, in modo non così attivo, a qualcosa di inconsueto. Il mini-festival musicale con Dillon Francis, Steve Aoki e deadmau5, invece, è parte di qualcosa di molto più ambizioso. Può essere considerato un evento organizzato per il lancio di Party Reale, che il sito di Fortnite descrive così:
In questo nuovo spazio sperimentale e in continua evoluzione ci sono un mare di cose da fare e luoghi da esplorare. Per esempio: affronta un percorso a ostacoli aereo alla fenditura Skydiving, partecipa alle corse delle barche di Pescesecco, e corri alla Piazza per accaparrarti oggetti come il nuovo spara-vernice.
Nel Party Reale non ci sono armi né materiali: ci divertiamo e basta! Senza stress. Puro relax. Divertiamoci!
In altre parole, se Battaglia reale è dove va chi vuole sparare agli altri, Party Reale è la modalità (ma anche un vero e proprio “spazio”, diverso e separato da quello di Battaglia Reale) in cui va chi vuole rilassarsi, senza le due cose nettamente predominanti in Fortnite: le armi con cui spararsi e i materiali da usare per avvantaggiarsi sugli altri. Ci sono gare e sfide, ma una corsa di barche a Pescesecco è evidentemente diversa da una sfida tutti contro tutti con armi di ogni tipo.
Chi sceglie la modalità Party Reale (già attiva da qualche giorno) può passeggiare, socializzare, cambiare il proprio aspetto e comprare cose (comprese armi giocattolo, che però non permettono di uccidere gli altri). I luoghi di Party Reale per ora non sono tantissimi, ma le prospettive sono notevolissime: si potrebbe fare un cinema in cui proiettare film (Epic Games ha da poco fatto accordi per mostrare nella piattaforma contenuti di Quibi), si potrebbero organizzare tornei di calcio o pallavolo, o – con le dovute differenze – si potrebbero creare tutte le cose che esistevano in una realtà come Second Life o ancora esistono in un videogioco come The Sims.
Insieme a Battaglia Reale, Party Reale fa parte del resto di Fortnite: chi fa una cosa può fare pure l’altra. Ma sono anche due realtà distinte: ora potranno succedere da una parte cose autonome, mentre chi vuole, dall’altra, potrà continuare a giocare al tutti contro tutti. «Epic Games», ha scritto Joe Tidy su BBC, «vuole che Fortnite diventi uno spazio multi-funzione che possa potenzialmente accogliere centinaia di milioni di utenti che vogliano solo ingannare il tempo con gli amici».
Un metaverso?
Fortnite non è solo un videogioco, non è solo un social network, e forse già ora non è solo una piattaforma. Gioca nel più grande campionato di chi vuole farci occupare il nostro tempo libero online: già a inizio 2019 il capo di Netflix scrisse che la sua azienda era in competizione con Fortnite, più che con HBO (il grande canale via cavo statunitense che ha prodotto alcune delle serie tv più popolari degli ultimi anni, a partire da Game of Thrones).
Il coronavirus e le relative restrizioni hanno in molti casi aumentato quel tempo e mostrato quante cose possano essere fatte online, anche solo in un videogioco: a questo proposito, si parla da giorni di riunioni, matrimoni e cerimonie “reali” fatte dentro al semplice videogioco Animal Crossing: New Horizons.
Ma ci si può spingere anche molto più in là. C’è chi ritiene che Fortnite sia infatti ottima posizione per provare ad anticipare quello che potrebbe essere l’internet del futuro; o secondo altre versioni qualcosa che potrebbe – tra decenni, non dopodomani – prendere il posto di internet. Fortnite, ha scritto The Verge, «è la cosa più vicina, tra quelle che esistono ora, al concetto di metaverso».
Metaverso è una parola inventata nei primi anni Novanta da Neal Stephenson, autore del romanzo di fantascienza Snow crash, per indicare, come scrive Treccani, «uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso avatar personalizzati». Senza entrare troppo in dettagli, il metaverso è un contesto di vagamente assimilabile alla realtà del libro (e del film) Ready Player One o, a essere assai più pessimisti, di Matrix. Un contesto che, scrive The Verge, «può ospitare tutte le forme della cultura popolare in un universo condiviso e abitato da centinaia di milioni di persone. La definizione del Washington Post invece è questa:
«Uno spazio virtuale condiviso, sempre online e attivo. Avrà la sua economia, i suoi lavori, i suoi negozi e i suoi media da consumare. È, secondo molti, qualcosa di inevitabile, e nella Silicon Valley alcuni sono ossessionati da questa idea».
Fortnite non è ancora un metaverso, ed è anzi ancora lontanissima dall’esserlo. Qualche mese fa Matthew Ball, un esperto analista molto attento a quel che succede nel “mondo dei videogiochi”, ha dedicato al metaverso un lungo e dettagliato articolo, in cui ha scritto: «Fortnite non è il metaverso, ma al momento niente è più vicino al concetto di metaverso di quanto lo sia Fortnite».