La sentenza della Corte Costituzionale tedesca di cui si parla da ieri
Ha dato tre mesi alla BCE per spiegare le ragioni del suo programma di acquisto di titoli di stato, creando un pericoloso precedente
Martedì la Corte Costituzionale tedesca ha respinto un ricorso contro il programma di acquisto di titoli di stato pubblici da parte della Banca Centrale Europea (il famoso Quantitative Easing), ma allo stesso tempo ha dato tre mesi di tempo alla BCE per spiegare le ragioni economiche che hanno giustificato il programma. La Corte ha chiesto anche al governo e al parlamento della Germania di monitorare più da vicino la BCE, e di fare pressioni affinché la banca spieghi meglio le ragioni dietro le sue scelte.
Difficilmente la sentenza della Corte avrà un impatto diretto e immediato. La BCE, che in questi anni ha pubblicato centinaia di commenti, interviste, paper e studi per spiegare i ragionamenti economici dietro le sue scelte, non dovrebbe aver problemi a fornire i chiarimenti che la corte tedesca richiede. Non c’è rischio quindi che il supremo tribunale tedesco metta in atto la sua minaccia: ordinare alla Bundesbank, la banca centrale tedesca, di ritirarsi dal programma di acquisto titoli, un gesto senza precedenti che avrebbe conseguenze imprevedibili.
Il giudizio di ieri, però, rischia di avere altre conseguenze a medio e lungo termine a causa dei suoi contenuti e delle sue implicazioni. La corte tedesca, per esempio, ha scritto che la Corte di Giustizia Europea, il supremo tribunale dell’Unione, ha commesso un grossolano errore quando ha giudicato conforme ai trattati europei il programma di acquisto della BCE, e quindi non si è sentita vincolata a rispettare il suo giudizio.
Molti hanno osservato che se la Germania si sente libera di non rispettare la gerarchia legale europea, è probabile che altri paesi facciano lo stesso. È facile che accada soprattutto nell’Europa centrale e orientale, dove gli scontri tra governi locali e la Corte di Giustizia Europea riguardano spesso le fondamenta stesse della democrazia liberale, come il rispetto dell’indipendenza del potere giudiziario e quella dei media. I tribunali di quei paesi, ora, hanno un importante precedente da additare per respingere o interpretare a piacimento le sentenze della Corte di Giustizia Europea.
Con la sua decisione, inoltre, la corte di giustizia tedesca apre inevitabilmente la strada a nuovi ricorsi contro l’attuale programma di acquisto di titoli da parte della BCE, il PEPP, messo in piedi il 26 marzo per contrastare gli effetti della crisi economica causata dal coronavirus. Questa settimana la Corte ha approvato il programma di acquisto del Quantitative Easing ma non è detto che lo farà la prossima volta con il PEPP, con tutte le conseguenze potenzialmente molto gravi che questa decisione potrebbe avere.
In Germania la decisione della Corte è stata accolta con entusiasmo, in particolare da politici e giornali conservatori, che vedono in questa sentenza una sorta di investitura a guardiani della BCE, incaricati di valutare gli effetti economici secondari delle sue decisioni e, se necessario, di correggerli. Molti commentatori tedeschi, inoltre, hanno apprezzato il fatto che la Corte abbia ricordato le loro principali critiche a queste decisioni: per esempio il fatto che la politica dei bassi tassi di interesse della BCE avrebbe ridotto i rendimenti degli investimenti effettuati da aziende e famiglie tedesche, e avrebbe aiutato a sopravvivere imprese che in condizioni normali avrebbero dovuto fallire.
Fuori dalla Germania, invece, il giudizio è stato accolto negativamente quasi all’unanimità. Dal Financial Times a Bloomberg, passando per il Sole 24 Ore, tutti i principali quotidiani economici e finanziari hanno criticato il giudizio sia nel merito che per le sue conseguenze.
In particolare, molti hanno notato la contraddizione evidente tra la tradizione tedesca, che considera un pilastro fondamentale della stabilità economica il fatto che le banche centrali siano indipendenti da ogni forma di intromissione e influenza politica, e la sentenza della Corte, in cui si chiede a governo e parlamento tedeschi di immischiarsi di più negli affari della BCE.
Anche le ragioni che giustificherebbero queste intromissioni hanno lasciato molti commentatori senza parole. La Corte tedesca ha scritto che la BCE non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione le conseguenze indirette dei suoi programmi di acquisto di titoli, focalizzandosi in modo eccessivo sul suo mandato principale (che è mantenere l’inflazione a un tasso leggermente inferiore al 2 per cento).
In realtà, la BCE non solo ha giustificato ampiamente tramite numerosi documenti e interviste dei suoi dirigenti ed economisti i ragionamenti economici dietro il varo dei vari programmi di acquisto, ma lo ha fatto spiegando l’importanza di questi programmi per la stabilità e la sopravvivenza della zona euro. In passato l’ex presidente della BCE, Mario Draghi, aveva personalmente risposto a molte delle critiche mosse dalla Corte: in particolare, ha detto più volte che i risparmiatori tedeschi avrebbero perso molti più soldi se la BCE avesse tenuto i tassi di interesse più alti, aggravando così le varie recessioni che hanno colpito l’eurozona in questi anni.
La BCE ha risposto alla decisione della Corte Costituzionale tedesca con un comunicato stringato in cui annuncia di aver «preso nota» dei rilievi del tribunale tedesco e in cui ricorda la sentenza della Corte di Giustizia Europea, che ha stabilito la legalità del suo programma di acquisto. Inoltre, la BCE ripete che continua a essere determinata a perseguire il suo mandato, cioè raggiungere il suo obiettivo di inflazione, proteggere la stabilità dei prezzi nell’eurozona e assicurarsi la trasmissione efficace delle sue politiche monetarie. Nell’immediato la vicenda sembra essersi chiusa, ma soltanto nelle prossime settimane e nei prossimi mesi sarà possibile valutarne le reali conseguenze.