Come va in Messico
Il governo si è mosso tardi e le singole regioni hanno deciso in autonomia restrizioni straordinarie giudicate incostituzionali
«L’America Latina si trova oggi nella stessa situazione in cui era l’Europa sei settimane fa», ha detto alcuni giorni fa l’Organizzazione Panamericana per la Salute (OPS), specificando che è atteso un aumento dei casi di contagio da coronavirus nelle prossime settimane. «Per questo è importante che i ministeri della Salute e i governi non abbassino la guardia con le misure di distanziamento». Finora il Messico ha registrato più di 22mila casi e oltre duemila morti. Il governo, dopo una prima sottovalutazione, da una decina di giorni ha sospeso tutte le attività economiche non essenziali e ha chiesto alle persone di rimanere a casa e di praticare il distanziamento fisico.
A metà marzo il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, aveva detto che nel paese tutto era sotto controllo, che il sistema sanitario era preparato e che non bisognava «esagerare»: aveva invitato le persone a uscire e andare al ristorante, aveva provocatoriamente e ripetutamente baciato una bambina in pubblico, e durante una conferenza stampa aveva mostrato degli amuleti come antidoto al virus (le foto di due santi, che aveva definito le sue «guardie del corpo») aggiungendo che «l’onestà» era la miglior difesa. Il sottosegretario alla Salute, Hugo Lopez-Gatell, aveva a sua volta cercato di minimizzare il problema, dando generiche indicazioni di comportamento.
Da giorni, però, gli ospedali e l’Istituto Nazionale delle Malattie Respiratorie (INER) stavano già protestando per la mancanza di linee guida nazionali per affrontare l’emergenza. La preoccupazione più diffusa aveva a che fare soprattutto con le zone più periferiche del paese, dove vivono le popolazioni indigene, circa 13 milioni di persone, mentre già da metà marzo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), denunciando «l’assenza di un’informazione veritiera sulla portata e sulla gravità del contagio, così come l’assenza di un piano reale per affrontare la minaccia», aveva messo in quarantena i territori che gestisce e invitato la popolazione messicana «ad adottare le misure sanitarie necessarie» in autonomia.
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Il 30 marzo, quando il numero dei contagi era cominciato a salire, il governo aveva dichiarato, secondo molti con ritardo, l’emergenza sanitaria. Dal 21 aprile, e fino al 30 maggio, il paese è entrato nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria. Lopez Obrador ha detto comunque che le politiche adottate fino a qui hanno reso possibile controllare l’andamento dei contagi, e ha segnalato che gli ospedali «non si sono saturati. Posso riferire che abbiamo una disponibilità del 70 per cento dei letti di terapia intensiva, con ventilatori e specialisti».
Il presidente ha già annunciato che nelle zone meno colpite alcune attività potrebbero ripartire il 17 maggio, e le scuole il 18. Nelle aree urbane e nelle grandi città che sono state più colpite dalla pandemia le lezioni potrebbero riprendere invece il primo giugno, subito dopo la data prevista per la revoca della quarantena. Nel frattempo, il governo sta cercando di arginare le iniziative dei singoli stati e di mantenere il controllo generale della gestione dell’epidemia.
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Martedì il ministero dell’Interno del Messico ha pubblicato un documento sulle violazioni dei diritti umani durante l’emergenza sanitaria causata dalla COVID-19, segnalando che in 340 comuni di 15 stati le autorità locali hanno istituito blocchi stradali e coprifuoco per limitare i movimenti delle persone e arginare la diffusione del virus: misure però che i governi locali non hanno l’autorità di promulgare e che violano i diritti costituzionali come quello alla libera circolazione. «L’emergenza sanitaria non costituisce uno stato di emergenza o di sospensione dei diritti», si dice. E ancora: «I governatori hanno facoltà di imporre misure sanitarie nell’ambito dei loro poteri. Tuttavia, alcune azioni che hanno intrapreso, oltre a superare questa competenza, possono rappresentare un rischio per la protezione e la garanzia dei diritti umani».
Almeno 31 comuni hanno stabilito un coprifuoco e almeno tre stati del paese hanno minacciato di arrestare le persone che non obbediscono alle misure di allontanamento sociale. Ci sono anche notizie di violenze commesse dalla polizia contro chi non aveva rispettato le misure di isolamento. «Il libero transito», ha scritto il ministero, «è garantito dalla Costituzione» e queste misure «potrebbero rappresentare un problema in un paese in cui metà della popolazione lavora nell’economia informale e in cui circa il 42 per cento vive in condizioni di povertà»: non sono efficaci, «ma severe e sproporzionate», «incoraggiano l’abuso di autorità e possono avere gravi conseguenze sulle forniture di cibo e medicine».