L’unico laboratorio sottomarino al mondo
Si trova al largo della Florida, a 18 metri di profondità, ed è usato per studiare la barriera corallina ma anche per l'addestramento degli astronauti
Nella seconda metà del secolo scorso, furono costruiti più di 60 laboratori sottomarini per studiare gli oceani: strutture ancorate al fondale dove un ridotto numero di scienziati potesse vivere per un periodo di tempo limitato, per portare avanti alcune ricerche. Di tutti questi laboratori, uno solo esiste ancora: l’Aquarius Reef Base della Florida International University, che si trova a circa 10 chilometri dalla terraferma all’interno del parco marino delle isole Keys, a 19 metri di profondità su uno spazio sabbioso vicino a una barriera corallina.
Il laboratorio ha le dimensioni di un autobus (è lungo circa 15 metri) e può ospitare fino a un massimo di 7 persone; è collegato a una piattaforma galleggiante da cui riceve aria, elettricità (prodotta da generatori), connessione a internet e un servizio telefonico basato su tecnologia VoIP. Viene usato principalmente per fare studi sulle tecnologie per immersioni e ricerche sulla barriera corallina. Le escursioni degli scienziati sul fondale possono durare fino a nove ore grazie ad alcune bombole di ricarica che si trovano all’esterno del laboratorio.
A cosa serve un laboratorio sottomarino
Fare immersioni in profondità per molte ore, come richiedono certi studi sugli animali marini, è complicato per i rischi per la salute legati alla maggiore pressione a cui è sottoposto il corpo umano sott’acqua, che aumenta più si va in profondità. A causa di questi rischi dopo aver fatto una lunga immersione a una certa profondità è necessario un processo di decompressione, che richiede tempi precisi: semplificando molto, respirando aria ad alta pressione si scioglie più azoto del solito nel sangue; quando la pressione si riduce l’azoto forma delle bolle e viene espulso dai polmoni, ma tutto funziona solo se le bolle sono molto piccole, quindi se la riduzione di pressione è molto lenta.
Un laboratorio sottomarino permette di fare numerose immersioni in profondità per giorni senza il bisogno di doversi sottoporre alla decompressione tra l’una e l’altra, dato che per tutta la durata di soggiorno nel laboratorio si rimane sottoposti circa alla stessa pressione esterna.
L’Aquarius è diviso in tre compartimenti isolati. L’ingresso dall’acqua avviene attraverso il cosiddetto wet porch, la “veranda bagnata”: è una camera con il fondo aperto in cui la pressione dell’aria è uguale a quella dell’acqua attorno al laboratorio. Questo fa sì che la “veranda” non si riempia d’acqua. Il compartimento più grande, quello principale, contiene le cuccette dove i ricercatori dormono, una minuscola cucina e un tavolo: è costruito in modo simile a un sottomarino, in modo tale da poter contenere aria alla pressione atmosferica, ma normalmente viene tenuto a una pressione intermedia tra quella atmosferica e quella dell’ambiente marino fuori. L’aria all’interno è più densa di quella che respiriamo normalmente: questo rende le voci più acute e altera il senso dell’olfatto. Dagli oblò si vede la barriera corallina e i pesci che, forse incuriositi dagli scienziati, si avvicinano a dare un’occhiata.
Il terzo compartimento, il più piccolo, collega quello principale alla veranda. Lì la pressione dell’aria viene fatta variare: per poter aprire la porta che lo collega alla veranda deve essere pari a quella dell’ambiente marino, mentre per poter aprire l’altra porta deve essere pari alla pressione del compartimento principale. Al suo interno gli scienziati aspettano che la pressione cambi per abituarsi all’uno o all’altro ambiente.
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Quando gli scienziati nel laboratorio hanno finito la propria missione al suo interno, lo scompartimento principale dell’Aquarius si trasforma in una camera di decompressione: nelle ultime 16,5 ore prima di lasciare il laboratorio per tornare in superficie, la pressione viene lentamente abbassata fino a quando non è pari alla pressione atmosferica. Una volta raggiunto questo valore, viene rapidamente alzata per combaciare con quella dell’ambiente marino e permettere agli scienziati di accedere alla veranda e poi nuotare via.
La storia del laboratorio
Costruito in Texas nel 1986, inizialmente l’Aquarius era stato installato alle isole Vergini Statunitensi, ma dopo essere stato danneggiato dall’uragano Hugo nel 1989 dovette essere sottoposto a lunghe riparazioni. Nel 1993 tornò su un fondale marino, ma alle isole Keys. All’epoca apparteneva alla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale degli Stati Uniti che si occupa di meteorologia e clima, che circa dieci anni fa si trovò a far fatica a gestirlo per via degli alti costi.
Dal 2014 il laboratorio appartiene alla Florida International University, lavora con un budget annuale di 1,5 milioni di dollari e si sta cercando di trovare altri modi per sfruttarlo economicamente, dato che la manutenzione è molto costosa. Dopo il passaggio dell’uragano Irma, ci sono voluti quasi due anni per ripararlo e renderlo di nuovo abitabile. Anche senza uragani a fare danni poi ci sono le ordinarie operazioni per limitare la corrosione e la crescita di creature marine sulla sua superficie. Un tempo l’ingresso era chiuso con un lucchetto, ma ora non si usa più perché i lucchetti arrugginivano troppo in fretta.
L’Aquarius si usa anche per addestrare gli astronauti
A causa dell’epidemia di COVID-19 in questo momento non c’è nessuno all’interno dell’Aquarius, ma di recente una giornalista del sito Fast Company ha visitato le infrastrutture ad esso collegate e ha raccontato come mai un laboratorio sottomarino è utile anche per la ricerca spaziale. Dal 2001 infatti l’Aquarius fa parte di un programma della NASA che si chiama NEEMO, da NASA’s Extreme Environment Mission Operations, che serve ad addestrare gli astronauti a vivere in spazi simili a quelli della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) – ristretti, isolati e complicati da raggiungere e lasciare – fino a tre settimane.
L’addestramento è sia psicologico che scientifico: lavorare sott’acqua, con i movimenti e l’ampiezza di visione limitati dalle tute da sub, somiglia a lavorare in assenza di gravità. Per questa ragione anche senza usare l’Aquarius, la NASA usa delle piscine per l’addestramento degli astronauti; ma un laboratorio sottomarino, con i suoi rischi maggiori, è una migliore approssimazione della Stazione spaziale internazionale. Nelle missioni NEEMO gli astronauti (chiamati “acquanauti” in questo contesto) imparano a orientarsi sott’acqua senza perdersi e finire l’aria a disposizione. Inoltre sperimentano l’uso di alcuni strumenti che potrebbero essere usati anche sulla Luna, ad esempio per raccogliere campioni geologici o trasportare strumentazione scientifica.
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Dal 2012 anche gli astronauti dell’Agenzia spaziale europea (ESA) partecipano al programma e lo scorso giugno è toccato anche all’italiana Samantha Cristoforetti, che ha sperimentato proprio alcuni degli strumenti che gli astronauti potrebbero usare sulla Luna.
This place @ReefBase is special. Our aquanauts have called it home for a little over a week, living and working underwater so we can learn the best exploration strategies for the Moon. 🚀🐠 pic.twitter.com/porFuuoRdn
— NASA_NEEMO (@NASA_NEEMO) June 21, 2019
Durante le missioni NEEMO viene anche studiata la resistenza degli astronauti all’interno degli spazi scomodi dell’Aquarius, e come viverci influenzi il loro rapporto col sonno e la loro psicologia. In una missione sono anche state fatte delle prove di chirurgia a distanza, in cui alcuni medici spiegavano agli astronauti come fare operazioni relativamente semplici, come la rimozione di un’appendice, in una simulazione in diretta.
And this is the perspective from the outside with Csilla leaving Aquarius yesterday. We spent the morning measuring metabolism of sponges on the reef. Our crewmate Shirley is the Principal Investigator of that research project. #NEEMO23 pic.twitter.com/J5D7eKqeFF
— Samantha Cristoforetti (@AstroSamantha) June 20, 2019
«È un buon posto dove fare ricerca su uno o due aspetti tecnici utili per esplorazioni future», ha detto a Fast Company l’ex astronauta Cady Coleman, che in passato partecipò a una missione su Aquarius e visse a bordo della Stazione spaziale internazionale tra il 2010 e il 2011. «Spesso penso che lo Spazio possa essere un acceleratore per la tecnologia: la usiamo per poter andare nello Spazio, ma andarci ci aiuta a svilupparla anche per delle applicazioni che servono sulla Terra e che sono altrettanto importanti, se non di più».