Qualcosa non funziona nei prestiti alle aziende
Il governo ha stanziato decine di miliardi per permettere finanziamenti a tassi convenienti, ma non tutto sta andando secondo i piani
Il principale strumento scelto dal governo italiano per far fronte alle conseguenze della crisi economica causata dal coronavirus, cioè la garanzia pubblica sui prestiti chiesti alle banche dalle imprese in difficoltà, sta incontrando difficoltà a entrare a regime.
Una parte del problema sono i ritardi con cui i fondi di garanzia stanno venendo finanziati, ma ci sono anche difficoltà burocratiche e altre prodotte dalle scelte fatte dalle banche, e dai dubbi sulla loro solidità. Infine, esiste il rischio che parte delle risorse stanziate non finisca a chi ne ha effettivamente bisogno.
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Il piano del governo, frutto dei vari decreti approvati nel mese di marzo, prevede di fornire una serie di garanzie pubbliche ai prestiti richiesti dalle imprese: significa che, in caso di mancata restituzione, sarà lo Stato a occuparsi di rimborsare i prestiti. In questo modo, abbattendo il rischio che i prestiti non vengano rimborsati, le imprese potrebbero finanziarsi a un tasso di interesse molto basso, tra lo 0,2 e lo 0,4 per cento.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che il fondo di garanzia avrà una «potenza di fuoco» pari a 750 miliardi di euro. Ma è una cifra del tutto teorica. Lo Stato, infatti, può stanziare soltanto una piccola percentuale di questa cifra, che servirà a coprire gli eventuali prestiti non restituiti, e soltanto un parte di questo acconto è già stata stanziata. Il grosso, circa 30 miliardi di euro, avrebbe dovuto essere accantonata con un apposito decreto nel mese di aprile, ma in questi giorni l’approvazione è stata rimandata al mese di maggio.
Altri problemi nella rapida erogazione dei prestiti sono stati causati da questioni burocratiche di varia natura, come il tipo di documenti da presentare e la possibilità o meno di autocertificare il rispetto dei criteri per ricevere le garanzie. La maggior parte di queste difficoltà sono state risolte con una serie di correzioni effettuate dal governo e dal ministero dell’Economia durante il mese di aprile, ma non tutte.
La garanzie sono emesse dallo Stato, ma sui prestiti concessi dal sistema bancario. In particolare il Fondo di garanzia per le PMI, un fondo pubblico, garantisce il 100 per cento dei nuovi prestiti concessi dalle banche alle piccole e medie imprese (quelle con meno di 500 dipendenti) e a singoli artigiani e professionisti. Questi prestiti avranno un importo massimo di 25 mila euro, una durata di sei anni e saranno rimborsati soltanto a partire da 24 mesi dal momento della concessione. Il prestito fino a 25 mila euro dovrebbe essere il più immediato e conveniente dei vari interventi del governo (al momento, quasi 40 mila imprese e singoli artigiani e professionisti hanno fatto richiesta di questo strumento).
Per richiederlo è sufficiente compilare un modulo (che si può scaricare qui) e inviarlo alla propria banca. L’associazione Altroconsumo, però, ha fatto notare che diverse banche richiedono documenti aggiuntivi, che rendono più complicata la procedura necessaria per ottenere il prestito. «Si tratta di comportamenti scorretti che stiamo segnalando ad Antitrust», segnala l’associazione, poiché queste banche stanno richiedendo «condizioni non previste dalla norma».
Dal canto loro le banche segnalano che, per come è stato messo in piedi il decreto, il sistema non può essere immediato: il prestito infatti può essere erogato solo dietro l’autorizzazione del fondo di garanzia, e non dalle banche in autonomia, altrimenti teoricamente un’impresa potrebbe chiedere il prestito a banche diverse e ottenere i soldi da ciascuna. Le banche hanno sollevato questo problema ormai diverse settimane fa, chiedendo che sia introdotta la possibilità di “prenotare” l’accesso al fondo di garanzia per ogni impresa che presenta le pratiche, ma non è ancora cambiato niente.
Le imprese di dimensioni medie che avranno bisogno di prestiti maggiori possono richiedere invece una garanzia del 90 per cento su prestiti fino a 5 milioni di euro. Altre garanzie saranno erogate alle imprese più grandi da SACE (una società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti) per periodi di tempo più brevi. Queste ultime possono chiedere, a seconda delle loro dimensioni, garanzie sui prestiti tra il 70 e il 90 per cento del finanziamento.
Per quanto riguarda questo secondo tipo di prestiti, alcuni imprenditori, e anche diversi esperti ed economisti, segnalano altri problemi. Il decreto infatti prevede esplicitamente che i vari tipi di garanzie possano essere usati per “sostituire” prestiti già concessi alle imprese: in sostanza l’impresa sostituisce il prestito ricevuto in precedenza con un nuovo prestito garantito dallo Stato, su cui pagherà un interesse molto inferiore.
Questo è un vantaggio per le banche, che in questo modo sostituiscono i rischiosi prestiti alle imprese con prestiti sicuri in gran parte garantiti dallo Stato. Ed è vantaggioso anche per quelle imprese che non si trovano in particolare difficoltà, non hanno bisogno di molta liquidità, ma possono comunque trarre vantaggio dagli interessi inferiori.
Come ha notato tra gli altri il giornalista economico Gianluca Paolucci sulla Stampa, però, questo rischia di essere un problema per le casse dello Stato. Il sistema bancario, infatti, potrebbe usare questo strumento per «caricare sulla garanzia pubblica anche le esposizioni passate», cioè liberarsi in maniera più o meno indiscriminata dei crediti nei confronti delle imprese e migliorare così i propri bilanci, senza correre particolari rischi.
Per avere un’idea delle dimensioni potenziali del problema, Paolucci ricorda che l’ammontare dei crediti delle banche verso le imprese è pari a 700 miliardi di euro. Considerato che dopo la crisi del 2008 il totale dei prestiti non restituiti ammontava al 20 per cento del totale, significa che nello scenario più estremo, in cui il sistema bancario sostituisce una parte significativa del suo credito attuale con quello garantito, lo Stato potrebbe trovarsi a sborsare effettivamente più di 100 miliardi per ripagare i prestiti garantiti che non saranno restituiti.
Un altro problema di questo sistema è che alle imprese che si trovano effettivamente in difficoltà non è sufficiente “scambiare” i vecchi prestiti con il nuovo credito garantito. Sono imprese che hanno bisogno di liquidità, cioè di denaro fresco. Se in teoria, poi, la rinegoziazione avviene su base volontaria, cioè l’impresa ha sempre il diritto di chiedere un nuovo prestito, anche in presenza di debiti precedenti, in pratica molti imprenditori segnalano che non è così e che le banche richiedono, più o meno apertamente, il rientro dai debiti prima della concessione di nuovi prestiti.
Sono problemi condivisi dalla gran parte dei paesi che hanno utilizzato strumenti simili per fornire aiuti alle imprese, ma che sono sentiti in particolar modo in Italia, un paese colpito in modo particolarmente grave dalla crisi e con un sistema bancario che anche in passato non godeva di particolare vigore.
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Secondo alcuni la ritrosia delle banche nel concedere prestiti alla fine potrebbe essere controproducente. Accanto alla garanzie pubbliche, infatti, anche la Banca Centrale Europea ha approvato una serie di stimoli e sussidi per incentivare il sistema bancario a fornire la liquidità necessaria alle imprese e al resto dell’economia. Il nuovo prestito al sistema bancario che partirà dal prossimo giugno (TLTRO) avrà un tasso di interesse del -1 per cento: la BCE, in sostanza, pagherà le banche affinché queste ultime prendano a prestito i suoi soldi (non è una novità: sono anni che la BCE sussidia il sistema bancario europeo, anche se mai a condizioni così vantaggiose).
Se anche di fronte a tutti questi interventi il sistema bancario italiano e quello del resto dell’eurozona dovessero continuare a essere prudenti nella gestione del credito, gli investitori potrebbero iniziare a pensare che la loro situazione economica sia peggiore di quanto appare. Come ha scritto Mauro Bottarelli su Business Insider: «Un eventuale atteggiamento ancora troppo cautelativo nella concessione di prestiti all’economia reale potrebbe essere letto in controluce dal mercato come la volontà di nascondere qualcosa nei bilanci».
Anche per ovviare ad almeno una parte di questi problemi, il governo aveva annunciato nei giorni scorsi che il cosiddetto “decreto aprile” avrebbe contenuto anche un finanziamento a fondo perduto per le piccole imprese sotto i dieci dipendenti. Sono le imprese più vulnerabili, che se non ottengono rapidamente liquidità con cui pagare affitti, stipendi e fornitori rischiano di chiudere. Per alcuni anche i prestiti a condizioni vantaggiose sono troppo onerosi, mentre altri non possono rischiare i ritardi e le difficoltà ad accedervi. Per questa categoria, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli aveva promesso 5 mila euro di finanziamento a fondo perduto. Il “decreto aprile”, però, nel frattempo è diventato il “decreto maggio”.