Vi ricordate Brexit?
L'ultimo giro di negoziati non è andato bene e si riparla del rischio di un "no deal", come ai vecchi tempi
Nei giorni scorsi sono ripresi i negoziati fra l’Unione Europea e il Regno Unito sulle prossime fasi di Brexit, dopo una pausa di circa sei settimane dovuta alla pandemia da coronavirus. I negoziati ufficiali sono stati sospesi venerdì 24 aprile e riprenderanno l’11 maggio, mentre oggi si è tenuta la prima riunione della commissione congiunta che dovrà occuparsi dei problemi legati all’Irlanda del Nord. Non sono andati bene, tanto che diversi analisti e osservatori sono tornati a parlare dell’ipotesi che alla fine del 2020 il Regno Unito esca dall’Unione Europea senza un accordo comprensivo (il cosiddetto “no deal”).
I negoziati in corso riguardano la futura relazione commerciale che il Regno Unito e i paesi dell’Unione Europea adotteranno a partire dall’1 gennaio 2021, cioè da quando il Regno Unito dovrebbe uscire dall’attuale periodo di transizione iniziato l’1 febbraio. Per il momento i negoziati fra le due parti hanno evidenziato soprattutto «una netta distanza sulla profondità, la struttura e gli obiettivi del futuro accordo commerciale», scrive il Financial Times.
Entrambe le parti hanno accusato l’altra di eccessiva rigidità. Il capo dei negoziatori europei Michel Barnier ― che si è recentemente ripreso dopo aver contratto il coronavirus ― si è spinto ancora più in là accusando il Regno Unito di voler rallentare le discussioni e allo stesso tempo di rifiutarsi di prolungare il periodo di transizione.
Gli accordi commerciali più complessi richiedono anni di pazienti negoziati per essere conclusi, ma sin dall’inizio del periodo di transizione il governo del Regno Unito ha fatto sapere che non intende estenderlo: sia per ragioni di consenso interno – il primo ministro Boris Johnson ha promesso più volte che Brexit sarà completata nei tempi previsti – sia perché probabilmente non vuole complicarsi ulteriormente la vita.
In caso di estensione del periodo di transizione, il Regno Unito dovrebbe versare altri soldi all’Unione Europea, oltre ai famosi 39 miliardi di euro pattuiti fra le due parti. Inoltre, nel caso voglia prendere in considerazione di chiedere l’estensione, dovrebbe decidere molto presto, visto che secondo gli accordi può farlo soltanto entro il 30 giugno 2020. Ad oggi rimangono esattamente otto mesi all’1 gennaio 2021.
Il divario fra Regno Unito e Unione Europea riguarda soprattutto tre punti: il diritto dei pescatori europei di pescare nelle acque britanniche, le misure che il governo britannico dovrebbe prendere per evitare quella che l’Unione Europea percepisce come concorrenza sleale, e il ruolo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul rispetto del futuro accordo commerciale.
Per quanto riguarda la pesca, uno dei temi più discussi durante la campagna elettorale del referendum su Brexit, il Regno Unito insiste per avere completa sovranità sulle proprie acque, e negoziare annualmente eventuali quote per gli altri paesi europei. L’Unione Europea vorrebbe invece preservare quanti più diritti possibili, dietro la pressione dei paesi come Francia, Belgio, Irlanda e Paesi Bassi, i cui pescatori frequentano spesso le acque britanniche.
Sulla pesca le posizioni sono talmente distanti che entrambe le parti hanno minacciato di rifiutare un accordo se le rispettive posizioni rimarranno le stesse. «Se continuano ad avere la stessa posizione su una politica comune per la pesca, non lo accetteremo mai», ha detto una fonte del Guardian vicina al governo britannico. Anche Barnier ha spiegato che non ci sarà alcun accordo se non si troverà un compromesso sulla pesca, scrive sempre il Guardian.
La stessa fonte vicina al governo britannico ha incluso nella minaccia anche la posizione europea sul cosiddetto level playing field, cioè gli standard che il Regno Unito non potrà abbassare nella speranza di attirare investimenti stranieri e fare concorrenza all’Unione Europea. I negoziatori europei insistono affinché il governo britannico continui a rispettare buona parte delle norme europee in fatto di aiuti di stato, rispetto dell’ambiente e diritti dei lavoratori, tre punti su cui Johnson ha esplicitamente ammesso di voler derogare. Infine, il Regno Unito vorrebbe che il ruolo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – il principale tribunale comunitario – sia il più limitato possibile nella gestione delle eventuali controversie una volta approvato l’accordo.
Per quanto riguarda la commissione congiunta sull’Irlanda del Nord, che dovrà prendere decisioni soprattutto sulla complessa questione dei controlli fra Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la prima riunione è finita con un comunicato piuttosto ostile del governo britannico, che ha invitato l’Unione Europea a «rispettare gli obblighi previsti dal Protocollo sull’Irlanda del Nord» approvato mesi fa insieme all’accordo di uscita dall’Unione Europea.
Non è ancora chiaro se Regno Unito e Unione Europea troveranno un compromesso. È possibile che prima di dicembre si decida di trovare un accordo essenziale da completare nei prossimi anni, ma nei mesi precedenti diverse fonti europee avevano legato questa possibilità al vincolo che il Regno Unito non faccia da subito concorrenza sleale ai paesi europei una volta fuori dall’Unione (cioè uno dei punti su cui le due parti sono ancora distanti).
In caso di mancato accordo, i paesi dell’Unione Europea dovrebbero imporre dei dazi al Regno Unito, rendendo enormemente più costosi e meno convenienti i prodotti britannici. Il Regno Unito farebbe probabilmente lo stesso, danneggiando i paesi europei con cui ha maggiori legami commerciali (cioè soprattutto l’Irlanda).