L’accusa di abuso sessuale contro Joe Biden
Negli ultimi giorni è diventata più solida dopo alcune inchieste giornalistiche, sarebbe accaduto nel 1993
Negli ultimi giorni un’accusa di abuso sessuale nei confronti dell’ex vice presidente degli Stati Uniti Joe Biden, sfidante del presidente Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali, è stata sostanziata da una serie di inchieste giornalistiche, innescando discussioni e polemiche che potrebbero avere un ruolo importante nella campagna elettorale da qui al voto di novembre.
L’accusa, che era stata avanzata per la prima volta a fine marzo e risale a un evento che sarebbe accaduto nella primavera del 1993, arriva da Tara Reade, che all’epoca lavorava come assistente nello staff di Biden, allora senatore per il Delaware. Un giorno Biden, dice Reade, la spinse contro un muro nel corridoio di un edificio annesso al Senato, le baciò il collo, le infilò una mano sotto la gonna e la penetrò con le dita, chiedendole se voleva andare con lui da un’altra parte. Secondo il racconto di Reade, lei lo respinse. Biden si fermò e stupito le disse: «Oh dai, ho sentito che ti piaccio». Poi le puntò il dito contro dicendole «Per me non sei niente», per poi prenderla per le spalle dicendole: «Non è successo niente» («you’re OK, you’re fine»).
Il comitato elettorale di Biden ha detto che la storia non è vera, ricordando l’impegno legislativo dell’ex vice presidente nella lotta alla violenza contro le donne durante la sua lunga carriera. Il New York Times ha indagato la vicenda parlando a lungo con Reade, con alcuni avvocati che hanno seguito il caso e con una ventina di persone che hanno lavorato a lungo con Biden anche negli stessi anni di Reade: non ha scoperto altre storie di presunti abusi sessuali di Biden, né ha trovato ex collaboratori di Biden che abbiano confermato la versione di Reade. «Il Times non ha trovato pattern di comportamenti sessuali inappropriati da parte di Biden».
Ma negli ultimi giorni alcuni media hanno scoperto dettagli che sembrano corroborare l’accusa di Reade, che peraltro era stata una delle donne che, l’anno scorso, avevano accusato Biden di varie forme più lievi di comportamenti inappropriati. Quelle accuse erano molto meno gravi. Era emerso, in sostanza, che Biden si approcciava con una certa abitudine alle donne – politiche e non – in un modo che aveva messo molte a disagio: abbracciandole, toccandole sulle spalle, baciandole in testa e in altri modi. Di questi atteggiamenti di Biden c’erano molti testimoni e foto, ed era una specie di “open secret”, una cosa che sapevano tutti a Washington: ma in diversi casi le accuse erano state false e pretestuose, e smentite dalle stesse donne interessate. Biden aveva abbozzato delle scuse, dicendo che in futuro avrebbe fatto più attenzione a non invadere gli spazi personali altrui.
L’accusa formulata a fine marzo da Reade, che oggi ha 56 anni, era diversa: riguardava un presunto abuso sessuale. Inoltre, è emerso che dopo il presunto episodio di violenza le mansioni della donna furono improvvisamente ridotte e le fu assegnato un ufficio senza finestre. Infine fu esclusa dallo staff di Biden. Dopo non aveva più trovato un lavoro come assistente politica.
Il 9 aprile Reade ha presentato una denuncia per violenza sessuale, senza citare formalmente Biden. Ha detto di averlo fatto per tutelarsi, perché presentare una denuncia falsa è un reato, anche se consapevole che ormai il presunto reato si era prescritto. Il New York Times e Associated Press, pur avendo ottenuto soltanto smentite dai collaboratori di Biden, hanno trovato almeno due amici di Reade – rimasti anonimi – che hanno confermato che all’epoca la donna raccontò loro l’episodio.
La settimana scorsa, poi, il sito The Intercept ha scoperto che nell’agosto di quell’anno la madre di Reade chiamò il talk show Larry King Live di CNN raccontando che sua figlia aveva dovuto lasciare il suo lavoro per «un importante senatore» perché non riusciva a sopportare i problemi che aveva avuto, che non aveva raccontato alla stampa soltanto «per rispetto» nei confronti di quel senatore. Reade dice di aver raccontato l’aggressione alla madre, morta nel 2016, subito dopo che era avvenuta. Ancora più recentemente due persone hanno confermato al sito Business Insider che Reade aveva raccontato loro dell’abuso: sono Lynda LaCasse, vicina di casa di Reade negli anni Novanta, e Lorraine Sanchez, che lavorò con Reade per un senatore californiano.
Tante persone con cui ha parlato il New York Times hanno sostenuto che l’accusa sia infondata, e che negli anni con cui hanno lavorato con Biden non hanno mai avuto l’impressione che potesse fare una cosa simile. Reade ha detto che all’epoca denunciò l’accaduto a Marianne Baker, assistente esecutiva di Biden dal 1982 al 2000, che però ha detto di non aver mai ricevuto lamentele da nessuno, e ai consulenti Dennis Toner e Ted Kaufman, quest’ultimo amico di lunga data di Biden. Entrambi dicono di non ricordare niente di simile. Altri, come l’ex assistente di Biden Melissa Lefko, che ci lavorò tra il 1992 e il 1993, hanno detto che l’ambiente era «molto incoraggiante per le donne»: «quando lavori al Congresso, tutti sanno chi sono i buoni e i cattivi, e Biden era uno dei buoni».
Nonostante le smentite delle persone vicine a Biden, le indagini giornalistiche degli ultimi giorni hanno dato qualche solidità all’accusa di Reade, che è arrivata in corrispondenza della sostanziale vittoria di Biden delle primarie. Dopo il ritiro di Bernie Sanders è rimasto infatti l’unico candidato principale per i Democratici, e salvo sorprese a oggi difficilmente immaginabili sarà confermato dalla convention estiva. Ma come era prevedibile, con l’aumentare della concretezza dell’accusa di Reade, Biden è stato criticato e attaccato, e questo potrebbe avere delle conseguenze.
Alcune importanti leader del Partito Democratico, come le senatrici Kamala Harris, Amy Klobuchar e Kirsten Gillibrand, e la deputata dello stato della Georgia Stacey Abrams, hanno difeso Biden dicendo che non credono che l’accusa sia vera. Ma la storia sta già creando imbarazzi nel partito, specialmente alle donne, anche perché Biden era già malvisto dalle attiviste femministe perché nella prima parte della sua carriera politica ebbe posizioni conservatrici sull’aborto, e perché accusato di essere stato complice del trattamento riservato a Anita Hill, la donna che nel 1991 accusò di molestie sessuali sul lavoro Clarence Thomas, che stava per essere confermato giudice della Corte Suprema.
L’accusa di Reade rischia inoltre di complicare particolarmente la scelta del suo vice. Biden ha promesso che sceglierà una donna, ma come ha scritto Rebecca Traister su The Cut ci sono due strade: se verrà scelta una politica con una rispettata storia di attivismo per i diritti delle donne, questa sarà criticata estesamente e accusata di ipocrisia; se verrà scelta una donna che non è conosciuta per il suo impegno su questi temi, sarà comunque una sconfitta per chi li ha a cuore.
«Qualunque donna sarà scelta come vice presidente finirà per bere un calice avvelenato. Perché […] sarà costretta a rispondere – ancora e ancora – dei comportamenti di Biden con le altre donne, inclusa la grave accusa di violenza di Tara Reade». Se ne stanno già avendo delle anticipazioni: la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, popolarissima nella sinistra americana e che si era duramente opposta a Biden durante le primarie, ha confermato che voterà per lui, ma ha detto le accuse di Reade vanno prese seriamente.
L’alternativa a Biden, d’altronde, è Trump, che è stato accusato di abusi sessuali e molestie da moltissime donne, e che fu peraltro registrato mentre si vantava di prendere le donne «dalla figa» e di farla franca perché famoso, senza che questo impedisse la sua vittoria alle elezioni. I Repubblicani hanno già cominciato a dire che c’è un “doppio standard” per come vengono prese in considerazione le accuse, nonostante quelle contro Trump siano molte di più e in certi casi più gravi. Ma l’accusa contro Biden potrebbe aggiungere un ulteriore elemento di debolezza alla sua candidatura. Secondo Traister «se Biden perde, indipendentemente dalla candidata a vicepresidente, e nonostante adesso le femministe siano accusate di ipocrisia perché non lo condannano più duramente, saranno sempre le femministe e le donne che verranno incolpate per la sua sconfitta».