Chi sono i “congiunti”
Il governo ha dato le prime rassicurazioni sul fatto che sono inclusi “gli affetti stabili”, ma non c'è ancora grande chiarezza su chi si potrà andare a trovare dal 4 maggio
Dal 4 maggio saranno consentiti in Italia «gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie», come previsto dal decreto (PDF) emanato dal governo il 26 aprile. Il decreto contiene le misure della cosiddetta “fase 2”, che prevedono un allentamento delle restrizioni per contenere il contagio da coronavirus, come ha annunciato domenica sera il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte; sarà valido fino al 17 maggio.
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Il riferimento ai “congiunti” ha provocato dubbi e confusione su chi si potrà effettivamente andare a trovare, specificando il motivo dello spostamento nel modulo di autocertificazione. Questa confusione è condivisa anche da avvocati e giuristi: nell’ordinamento giuridico italiano, né nel diritto penale né in quello civile, non esiste una definizione dell’espressione “congiunti”. Non è quindi chiaro chi si potrà andare a trovare ed è possibile che il governo lo specifichi successivamente, come aveva fatto in merito alle restrizioni approvate con i primi decreti.
Lunedì pomeriggio, la ministra dei Trasporti e delle Infrastrutture Paola De Micheli ha dato il primo chiarimento ufficiale da parte del governo sulla definizione, spiegando che i congiunti «sono persone con le quali si intrattengono rapporti affettivi stabili, anche se non formalizzati sul piano giuridico: quindi penso ai fidanzati, sicuramente sono inclusi in questa dicitura».
Nella serata di lunedì, Conte ha precisato rispondendo alle domande dei giornalisti durante la sua visita a Milano che «congiunti è una formula un po’ ampia, generica, per dire che non si potrà – adesso poi lo preciseremo anche con le F.A.Q. – andare a trovare amici a fare feste. Si andranno a trovare le persone con cui c’è un rapporto di parentela, con cui ci sono stabili relazioni affettive e via discorrendo».
Anche questa spiegazione lascia spazio a vari dubbi, in particolare sulla definizione di “affetti stabili”, che si può prestare evidentemente a molte interpretazioni: immaginare come possa essere verificata, nel momento di un eventuale controllo delle forze dell’ordine, la “stabilità” di un legame affettivo rimane molto difficile. La stessa De Micheli ha detto piuttosto chiaramente che molto sarà affidato alla responsabilità individuale dei cittadini.
Stando a quanto detto da De Micheli e Conte, che probabilmente dovrà comunque essere ufficializzato e spiegato meglio nelle circolari e nelle risposte alle domande frequenti che il governo dovrebbe pubblicare nelle prossime ore, l’espressione “congiunti” usata nel decreto ha un senso molto più esteso e flessibile rispetto alla legge italiana.
Cercando in normattiva.it – un portale che raccoglie tutti gli atti normativi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, dal 1861 a oggi – la parola “congiunti” ricorre infatti in 561 atti, senza una definizione precisa. Esiste invece la definizione di “prossimi congiunti”, nell’articolo 307 del codice penale, quello sull'”Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata”. Il codice stabilisce che non è punibile chi commette questo reato «in favore di un prossimo congiunto», dove per prossimi congiunti si intende «gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole». L’articolo stabilisce che la definizione vale «ai fini della legge penale».
Secondo questa definizione – posto che i “congiunti” del decreto del governo siano assimilabili ai “prossimi congiunti” – si potrebbe andare quindi a trovare genitori, figli, suoceri, nuore e generi (cioè gli affini di primo grado), il coniuge (sia dell’unione matrimoniale, sia civile), fratelli, sorelle, zii e nipoti. Non si potrebbe andare a trovare gli affini (quindi suoceri, nuore o generi) se è morto il coniuge e non ci sono figli, né amici e partner con cui non si sia sposati o uniti civilmente. La norma si rifà al codice Rocco, il codice penale italiano approvato durante il fascismo; il riferimento alla «parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso» è stata aggiunta in seguito all’approvazione delle unioni civili, avvenuta in Italia l’11 maggio 2016.
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Sempre nel codice penale, l’articolo 649 – sulla “Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti” – definisce come congiunti il «coniuge non legalmente separato», la «parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso», «un ascendente o discendente» (quindi un genitore o un figlio), «un affine in linea retta» (nuora, suoceri, genero), «l’adottante o dell’adottato», «un fratello o di una sorella che con lui convivano». In questo caso si potrebbero quindi visitare, genitori, figli, coniugi (che si tratti di matrimonio o unione civile), genitori e figli adottivi, nuore, suoceri e generi tra loro, e infine fratelli e sorelle se conviventi. La legge, sempre risalente all’idea di famiglia che c’era negli anni Trenta, considerava non punibili i reati come il furto e la truffa se erano stati compiuti verso i “congiunti”, sacrificando alcuni diritti individuali all’idea di famiglia.
L’avvocato penalista Carlo Blengino ha spiegato al Post che entrambi gli atti fanno riferimento a un’idea superata di famiglia e di congiunti. La Corte Costituzionale aveva dichiarato, nella sentenza n. 223 del 05/11/2015, che «la fisionomia della istituzione familiare sarebbe mutata, rispetto all’epoca in cui la disciplina è stata concepita, dal punto di vista sociale, culturale ed economico, e la stessa frequenza degli illeciti intrafamiliari, di conseguenza, non sarebbe paragonabile a quella in origine apprezzata dal legislatore».
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Inoltre, spiega sempre Blengino, il decreto potrebbe sollevare una questione di costituzionalità, perché potrebbe risultare contrario all’articolo 3 della Costituzione, che stabilisce il principio di uguaglianza. In particolare, infatti, l’articolo stabilisce che situazioni uguali tra loro debbano ricevere lo stesso trattamento, cosa che in questo caso non accadrebbe. Come ha spiegato Blengino, «Se posso uscire di casa per andare a trovare un congiunto e la norma che mi consente di farlo ha alla base i rapporti affettivi, ci sarà una violazione del principio perché non vengono tutelati dei rapporti affettivi che la società riconosce uguali o superiori ad alcuni che vengono invece tutelati». Per esempio, se l’applicazione del decreto si attenesse alle definizioni più stringenti di “congiunti”, si permetterebbe di andare a trovare lo zio ma non il fidanzato, anche se il rapporto affettivo con il fidanzato potrebbe essere considerato più importante dal soggetto.
C’è un’altra sentenza della Corte di cassazione, la n. 46351 del 16 ottobre – 10 novembre 2014, che ha riconosciuto come “congiunto” la fidanzata non convivente di una vittima di illecito civile, che ottenne così il risarcimento relativo. La Corte aveva stabilito infatti che «è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l’ingiustizia del danno ed a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate […] a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali». Considerando anche questa sentenza, dal 4 maggio si potrebbero incontrare anche le coppie che non convivono e non hanno contratto alcun tipo di vincolo davanti allo Stato.
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