5 risposte sulla decisione del Consiglio Europeo
Cosa sarà esattamente il "Fondo europeo per la ripresa"? Come verrà finanziato? I soldi verranno prestati o versati a fondo perduto?
di Luca Misculin
Giovedì sera il Consiglio Europeo, l’organo dell’Unione Europea che comprende i capi di stato e di governo, ha approvato la creazione di un “Fondo europeo per la ripresa” per contrastare meglio il coronavirus. Il Fondo sarà probabilmente una delle principali misure europee di sostegno agli stati nazionali per mitigare gli effetti della crisi economica provocata da quella sanitaria, oltre a quelle prese nelle scorse settimane dalla Banca Centrale Europea. Dopo la riunione di ieri restano comunque diversi punti in sospeso, che saranno chiariti soltanto fra settimane e mesi di nuove trattative.
Cosa è stato deciso esattamente?
Il Consiglio non ha diffuso un documento finale con le conclusioni raggiunte, come succede nella maggior parte dei casi, ma l’accordo è stato sintetizzato in una conferenza stampa tenuta dal suo presidente, Charles Michel, e spiegato dai leader europei ai giornalisti di ciascun paese.
Per prima cosa, il Consiglio ha approvato le misure prese dall’ultimo Eurogruppo, fra cui la linea di credito “agevolata” del MES, la cassa di integrazione europea e un ampio intervento della Banca europea degli investimenti. Il pacchetto vale in tutto circa 540 miliardi di euro – fra cui sono compresi anche i 240 miliardi del “nuovo” MES, che però sono calcolati come se tutti i paesi ne facessero richiesta – e il Consiglio ha chiesto che diventi operativo a partire da giugno.
Per buona parte della riunione i leader europei hanno discusso invece della creazione di un Fondo europeo per la ripresa, di cui si parlava già da qualche giorno. La creazione del fondo è «necessaria e urgente», ha detto Michel: la sua dotazione sarà «di grandezza sufficiente, studiata per aiutare i settori e i paesi europei più colpiti, e si occuperà di gestire questa crisi senza precedenti».
Il passaggio qui sopra è stato l’unico che Michel ha dedicato al Fondo nelle sue conclusioni. Chi vuole vedere il bicchiere mezzo pieno considera comunque la decisione molto positiva, dato che fino a poche settimane fa i paesi del Nord – più rigidi dal punto di vista economico – si erano opposti alla creazione di un Fondo del genere. I più critici si stanno invece concentrando sull’assenza di dettagli nel compromesso trovato ieri sul Fondo.
Cos’è rimasto in sospeso?
Il Financial Times ha osservato che l’incontro di ieri si è concluso con «più domande che risposte». I leader non hanno trovato un accordo su come finanziare il Fondo, sulla sua entità, sullo strumento per versare i soldi agli stati – prestiti o sussidi – e sulle modalità e i tempi dell’eventuale rimborso. Alla Commissione Europea sono state date due settimane per mettere in piedi una proposta concreta.
Per quanto riguarda il finanziamento del Fondo, la soluzione più probabile sembra un aumento significativo del contributo di ciascuno stato al bilancio pluriennale dell’Unione Europea. Al momento il contributo al budget attuale, che scade alla fine del 2020, è stato fissato all’1,16 per cento del PIL nazionale. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha parlato della necessità di raddoppiare per alcuni anni il contributo nazionale, fino ad arrivare al 2 per cento. Ci vorrà parecchio per trovare un compromesso, considerato che pochi mesi fa le trattative sul nuovo bilancio per il periodo 2021-2027 si erano arenate intorno a un compromesso che prevedeva un contributo dell’1,07 per cento sul PIL nazionale.
L’entità del fondo dipenderà sia dal compromesso sul nuovo bilancio, sia sulla possibilità di usare quei soldi come garanzia per emettere titoli di stato, e reperire nuovi capitali sui mercati. Nei giorni scorsi l’approvazione di questa proposta, fatta circolare anche dalla Germania, sembrava scontata. Nelle conclusioni di Michel e nelle interviste dei leader non ce n’è alcuna traccia: una notizia trapelata ieri sera sulla possibilità che il Fondo abbia una capienza da 323 miliardi di euro – molto inferiore a quella discussa nei giorni scorsi – fa capire che non c’è ancora chiarezza né sulla cifra che serve né sulla necessità o meno di ricorrere a titoli di stato comunitari.
Ma la trattativa più significativa ruota intorno alle modalità con cui il Fondo verserà i soldi agli stati. I paesi del Sud spingono affinché il Fondo comprenda sussidi senza obbligo di restituzione, chiedendo sostanzialmente all’Unione Europea di contrarre un debito perenne (cioè che non verrà mai restituito interamente, ma saranno pagati solo gli interessi) con gli investitori per permettere ai singoli paesi di non indebitarsi ulteriormente (qualsiasi prestito, anche se contratto a interessi molto favorevoli, contribuirebbe ad aumentare il debito pubblico già enorme di alcuni paesi).
La proposta è sostenuta da Francia, Italia, Spagna e Portogallo, ed era stata messa insieme nei giorni scorsi dal governo spagnolo. I paesi del Nord preferiscono invece che il Fondo emetta dei prestiti, per evitare che l’Unione Europea sia costretta a fare debito (cosa che i paesi del Nord considerano «un tabù», scrive il Financial Times).
Von der Leyen ha suggerito che il Fondo comprenderà sia prestiti sia sussidi, aggiungendo che gli stati dovranno accordarsi su quale equilibrio trovare tra le due misure: ma per alcuni stati farà parecchia differenza ricevere uno o l’altro, e quasi sicuramente i futuri negoziati sul Fondo si concentreranno su questo punto.
Va bene, ma di quanti soldi stiamo parlando?
Il bilancio pluriennale del 2014-2020 aveva a disposizione in tutto 1.082 miliardi di euro, spalmati su sette anni. La proposta di Michel di qualche mese fa proponeva di mantenerlo praticamente invariato, cioè a 1.094 miliardi. Se davvero la Commissione proporrà di raddoppiare il contributo di ciascuno stato per due o tre anni – considerando comunque che l’economia europea si contrarrà di alcuni punti a causa del coronavirus – si potrebbero raccogliere facilmente alcune centinaia di miliardi di euro.
Il problema è che gli stati del Sud chiedono molti più soldi, cioè una cifra compresa fra 1.000 e 1.500 miliardi soltanto per il Fondo. A meno di un improbabile accordo per aumentare ulteriormente il contributo nazionale al bilancio europeo, questi soldi dovranno essere necessariamente reperiti emettendo dei titoli di stato comunitari. Anche von der Leyen sembra pensarla in questo modo: nelle interviste successive al Consiglio di ieri ha spiegato che il Fondo avrà una capacità in «migliaia di miliardi», e non in «miliardi».
L’Unione Europea, però, quando parla dei propri progetti si riferisce al totale dei soldi «mobilitati», cioè dei fondi europei sommati a quelli messi da ciascuno stato (i progetti europei finanziati al 100 per cento dall’UE sono rarissimi: la norma è il cofinanziamento). Il timore di alcuni è che le «migliaia di miliardi» evocati da Von der Leyen si riferiscano a qualche centinaio di miliardi prelevati dal budget, che arrivano a qualche migliaia soltanto grazie agli ulteriori contributi degli stati.
Sembra che il presidente francese Emmanuel Macron si riferisse a questo meccanismo, quando ieri sera durante il Consiglio ha chiesto agli altri partecipanti di non stanziare soldi «finti», e nella conferenza stampa dopo la riunione ha auspicato il versamento di sussidi «veri».
Secondo diversi giornalisti che si occupano di politica europea, durante la conversazione di ieri Macron è stato uno dei leader più netti. Il Guardian scrive che a un certo punto avrebbe detto che «l’Europa non ha futuro» se non riuscirà a trovare una risposta adeguata all’emergenza in corso.
Che ruolo ha giocato l’Italia?
Già da qualche giorno il governo italiano sembrava avere abbandonato la sua posizione piuttosto intransigente sui cosiddetti “eurobond” (cioè titoli di stato comunitari emessi con garanzie dei singoli stati nazionali). Lo aveva confermato ieri anche il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che al Financial Times aveva spiegato di non essere più «attaccato» all’idea – che in realtà non è mai stata concretamente sul tavolo – e di aderire alla proposta avanzata dagli altri paesi del Sud.
Italy's finance minister Roberto Gualtieri tells @ftbrussels briefing that Rome is no longer "attached" to coronabonds and would back commission handing out grants or very long term loans for the recovery fund. https://t.co/y5kV32POxH pic.twitter.com/N2MiVv8JYF
— Mehreen Khan (@MehreenKhn) April 23, 2020
Durante le trattative, poi, Conte si è effettivamente allineato alla proposta spagnola, chiedendo un Fondo fino a 1.500 miliardi che possa aiutare gli stati nazionali con sussidi senza obbligo di restituzione.
Secondo Politico, Conte ha spinto inoltre per inserire nel discorso di Michel gli aggettivi «necessaria e urgente» per descrivere la creazione del Fondo. Come già successo in altre riunioni del Consiglio, Conte ha trovato un’intesa piuttosto inaspettata con Macron, con cui «si è messo in testa alla fazione che chiede i sussidi», sempre secondo Politico.
Il tono generale della conversazione è stato più sereno di altre recenti riunioni. Il giornalista Jorge Valero di Euractiv ha scritto che «nessuno ha minacciato di mettere veti, ma nemmeno di discutere seriamente» dei punti più complessi.
L’impressione è che quello di ieri sia stato il primo passo per una trattativa che potrebbe durare diverse settimane o addirittura diversi mesi, dato che il nuovo bilancio pluriennale dovrà entrare in vigore nel 2021. Nei mesi precedenti, inoltre, l’aumento dei contributi nazionali dovrebbe essere discusso e approvato dai parlamenti nazionali.
Il Fondo potrebbe anche entrare in vigore prima del 2021: sembra che gli stati del Sud lo vogliano attivo a partire dall’1 luglio 2020. In questo caso però gli stati dovrebbero anticipare dei soldi o usare parte del proprio bilancio come garanzia, e al momento un’ipotesi del genere sembra remota.
Quando se ne riparla?
La Commissione dovrebbe presentare la sua proposta il 6 maggio: probabilmente nelle prossime due settimane dovrebbe sentire i governi degli stati per cercare di trovare un accordo di partenza per facilitare i lavori del prossimo Consiglio («non dimenticate di sentirci», sembra abbia detto Angela Merkel a Ursula von der Leyen durante la riunione di ieri). Per il 18 maggio è fissata una nuova riunione dell’Eurogruppo, ma il suo presidente Mario Centeno ha fatto capire che potrebbe essere anticipata.
Le trattative dovrebbero proseguire anche in estate: l’auspicio del Consiglio che il primo pacchetto di aiuti – che comprende anche il “nuovo” MES – venga attivato già a giugno significa che i capi di stato e di governo potrebbero prendersi ancora un po’ di tempo per mettere a punto il Fondo. Al momento, quindi, la soluzione più ottimistica è che possa essere attivato all’inizio del 2021: lo confermano anche fonti della Commissione Europea, secondo cui a causa delle trattative e del passaggio parlamentare nei vari paesi la speranza è quella di poter disporre del Fondo all’inizio del 2021.