Il ritorno di Elián González, 20 anni fa
La storia del bambino conteso al centro di una lotta politica internazionale tra gli Stati Uniti e Cuba, e di una fotografia famosissima
Il 22 aprile di vent’anni fa un bambino cubano, Elián González, venne riportato dal padre a Cuba: era arrivato a Miami su una barca che era affondata e sulla quale la madre era morta, ed era stato affidato ad alcuni parenti che già si trovavano in Florida. Il padre sostenne che il bambino gli era stato portato via senza il suo permesso, e iniziò così una questione legale e familiare che in breve tempo si trasformò in una lotta politica internazionale tra gli Stati Uniti e Cuba. La storia di Elián divenne famosa in mezzo mondo e fu seguita dai principali mezzi di informazione.
Elián González era nato a Cuba nel 1993. Il 21 novembre 1999 Elizabeth Brotons, sua madre, era partita con lui e altre 12 persone su una piccola imbarcazione per scappare da Cuba verso Miami, in Florida, il punto più semplice da raggiungere per molti cubani anticastristi fin dagli anni Cinquanta. La barca affondò per un guasto al motore, causando la morte di 11 passeggeri su 14. Il bambino e altri due passeggeri riuscirono a sopravvivere in acqua per due giorni. Il 25 novembre 1999 due pescatori li trovarono, li salvarono e consegnarono il bambino alla Guardia costiera degli Stati Uniti. Il servizio immigrazione affidò Elián González ai parenti paterni, che erano già residenti in Florida: in particolare alla figlia di Lázaro González (il prozio del bambino), Marisleysis González.
Il padre di Elia, Juan Miguel González, cugino di Marisleysis e nipote di Lázaro, chiese subito che il bambino facesse ritorno a Cuba, sostenendo che la madre l’avesse portato via senza chiedere il suo permesso. Le due nonne del bambino volarono dall’Avana agli Stati Uniti per cercare di riportarlo indietro, si mossero membri del Congresso statunitense e si espresse sul caso anche il ministro degli Esteri spagnolo (dicendo che il diritto internazionale imponeva il ritorno a Cuba del bambino).
Il prozio Lázaro González e la figlia chiesero agli Stati Uniti di concedere il diritto d’asilo a Elián González, e al padre del bambino il permesso di lasciare Cuba e trasferirsi anche lui a Miami: gli offrirono una macchina e una casa a patto che lui abbandonasse la causa legale intrapresa. Juan Miguel González rifiutò l’offerta e tra gennaio e febbraio del 2000 scrisse diverse lettere aperte, indirizzate al governo degli Stati Uniti, per chiedere il rientro del figlio a Cuba.
Gli Stati Uniti respinsero la richiesta di asilo dello zio di Elián e la procuratrice generale Janet Reno fissò il 13 aprile 2000 come data limite per il rientro del bambino a Cuba; poco dopo il sindaco di Miami, Alex Penelas, un americano di origine cubana, giurò pubblicamente che non avrebbe fatto nulla per aiutare l’amministrazione americana e le autorità federali a portare via Elián.
I parenti paterni opposero resistenza alla decisione del governo e non accettarono di lasciare andare il bambino. Si avviò così una settimana di trattative: il governo tentò di proporre diverse soluzioni al prozio Lázaro González, ma lui non le accettò. Il 20 aprile 2000 il governo chiese alle autorità federali di intervenire direttamente. La mattina di sabato 22 aprile otto agenti federali si presentarono alla porta della casa di Lázaro González e si identificarono. Nessuno rispose e gli agenti, armati, fecero irruzione per portare via il bambino. Nella confusione di quella mattina Alan Diaz riuscì a entrare in casa e a scattare la foto che fece il giro del mondo e gli sarebbe poi valsa il premio Pulitzer.
A distanza di poche ore dal raid degli agenti federali Elián venne riconsegnato al padre, che nel frattempo era arrivato a Miami, ma rimase negli Stati Uniti fino a giugno 2000 per attendere che il ricorso per la richiesta di asilo degli zii venisse nuovamente respinto. La Corte Suprema americana respinse il ricorso sostenendo che Elián era troppo piccolo per avanzare attivamente e spontaneamente la richiesta. Il 28 giugno 2000 Elián González e il padre fecero ritorno a Cuba.
Oggi Elián ha ventisei anni e vive a Cárdenas, una cittadina portuale nel nordovest di Cuba. Ha aderito all’Unione dei giovani comunisti (UJC), lavora come ingegnere ed è considerato un simbolo del castrismo. Non ha parlato molto spesso pubblicamente, ma in un’intervista di due anni fa, indossando una maglietta con il volto di Che Guevara, ha spiegato l’amore che prova per la sua città e per il suo paese: «Non professo alcuna religione, ma se lo facessi, ovviamente la mia religione sarebbe Fidel».