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  • Mercoledì 22 aprile 2020

Le notizie di mercoledì sul coronavirus in Italia

I casi rilevati in totale sono 187.327 e i morti da ieri sono 437, ma continuano a diminuire sia le persone positive che quelle ricoverate in terapia intensiva

(AP Photo/Andrew Medichini)
(AP Photo/Andrew Medichini)

I contagi da coronavirus totali registrati ufficialmente dall’inizio dell’epidemia in Italia, secondo gli ultimi dati diffusi oggi dalla Protezione Civile, sono 187.327, 3.370 in più di ieri. I morti sono 25.085, un incremento di 437 rispetto a ieri. I nuovi pazienti “guariti o dimessi” registrati sono 2.943, per un totale di 54.543. Le persone attualmente positive sono 107.699 (in calo per il terzo giorno di seguito, anche se oggi solo 10 in meno), mentre quelle ricoverate in terapia intensiva sono 2.384, 88 in meno rispetto a ieri. Le persone ricoverate in altri reparti scendono sotto le 24mila.

In Lombardia, la regione italiana più colpita, i morti registrati nelle ultime 24 ore sono stati 161, portando il totale a 12.740: i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 817, 34 in meno rispetto a ieri.

Leggendo i comunicati ogni giorno dalla Protezione Civile bisogna usare alcune cautele: in primo luogo per la distinzione tra il numero delle persone attualmente positive e quello complessivo dei contagiati, che può creare un po’ di confusione; e in secondo luogo perché sappiamo ormai che i contagiati e i morti sono molti di più di quelli rilevati dai dati. Inoltre c’è un problema su cosa intenda la Protezione Civile quando parla di “guariti”: si è scoperto infatti che questo dato comprende anche le persone dimesse dagli ospedali, ma che potrebbero essere ancora malate.

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Le altre notizie di oggi
La nota agenzia di rating Fitch ha stimato che nel 2020 il PIL italiano diminuirà dell’8 per cento, in linea con diverse altre analisi pubblicate nelle scorse settimane. Per l’agenzia il mondo affronterà una recessione senza precedenti, e il PIL mondiale dovrebbe calare del 3,9 per cento nel 2020. Sempre secondo Fitch, il PIL degli Stati Uniti si contrarrà del 5,6 per cento e quello del Regno Unito del 6,3 per cento.

Negli Stati Uniti, a due mesi esatti dal primo decesso di un paziente affetto da coronavirus in Italia, avvenuto il 21 febbraio, l’ufficio sanitario della contea di Santa Clara in California ha rivelato che la prima morte nel paese è avvenuta il 6 febbraio, tre settimane prima di quanto si pensasse. Fino ad oggi infatti il primo decesso accertato per coronavirus era considerato quello di un cinquantenne di Washington, avvenuto il 29 febbraio.

Nelle prime settimane di febbraio negli Stati Uniti venivano sottoposti ai test soltanto i soggetti che avessero dichiarato di aver viaggiato in paesi dove l’epidemia si era già diffusa (in particolare provenienti dalla Cina) o che chiedessero assistenza medica manifestando i sintomi della malattia. La notizia della morte in California potrebbe ora permettere di migliorare la comprensione di come l’epidemia si sia diffusa negli Stati Uniti, dove i morti hanno superato i 45.000 e i casi confermati di contagio sono più di 810.000.

È salito invece a 22 il numero delle residenze sanitarie assistenziali (Rsa) in Lombardia coinvolte nell’inchiesta che sta valutando la loro gestione del coronavirus. Le accuse vanno dall’epidemia colposa all’omicidio colposo plurimo, ma anche la violazione delle norme per la sicurezza sul lavoro. Si ipotizza che molti lavoratori delle Rsa siano stati contagiati assistendo i pazienti positivi: sarebbe da considerarsi un infortunio sul lavoro e pertanto si cerca di capire se agli operatori siano stati forniti in tempo i dispositivi di protezione idonei per evitare il contagio.

Parallelamente la Guardia di Finanza sta continuando a raccogliere la documentazione relativa alle disposizioni ricevute dalle stesse Rsa. In particolare si cerca di verificare le affermazioni di alcuni gestori delle strutture che sostengono di esser stati obbligati a lavorare «in assenza di un reale piano pandemico». Ieri il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano ha iniziato a raccogliere le prime testimonianze dei lavoratori e di alcuni parenti degli anziani morti nel Pio Albergo Trivulzio di Milano dove dall’inizio di marzo si sono registrate decine di morti sospette.

– Leggi anche: Chi non ha fatto il tampone non esiste

Come leggere questi dati
Per prima cosa bisogna fare attenzione alla distinzione tra il numero delle persone attualmente positive e quello complessivo dei contagiati, che può creare un po’ di confusione. Sappiamo anche ormai che i dati sull’epidemia sono largamente sottostimati, sia per quanto riguarda le persone contagiate sia quelle morte. Le diverse scelte e politiche regionali su quanti test eseguire e a chi non permettono di avere un quadro chiaro di quante siano davvero le persone contagiate in Italia.

Inoltre c’è un problema su cosa intenda la Protezione Civile quando parla di “guariti”: questo dato infatti comprende anche le persone dimesse dagli ospedali, ma che potrebbero essere ancora malate, e non comprende tutte le persone che sono state malate di COVID-19 ma non hanno mai fatto il tampone, e quindi non risultano né nel conteggio dei malati né, in un secondo momento, in quello dei guariti.

Perché i casi aumentano ancora?
Una conseguenza della scarsa precisione dei dati raccolti fin qui è che anche ora che la situazione sembra complessivamente migliorare (il calo dei ricoveri in terapia intensiva ne è un segnale) il numero dei nuovi casi sembra ancora molto alto.

Una possibile risposta è che l’aumento del numero dei casi confermati sia legato all’aumento del numero di tamponi effettuati: più test si fanno, più casi si trovano, come ha detto Luca Richeldi, pneumologo del Policlinico Gemelli di Roma, durante la conferenza stampa del 13 aprile. Questo dimostrerebbe anche che nelle prime settimane dall’inizio dell’epidemia il basso numero di test non aveva permesso di identificare tutti i casi, che sono stati (e sono ancora oggi) più di quanti dicano i numeri ufficiali.

– Leggi anche: La complicata questione dei test sierologici