In Belgio c’è un archivio di lieviti madri
Ne conserva 125 da 25 paesi diversi, facendo da banca per panettieri di tutto il mondo: il New York Times ne ha raccontato storia e obiettivi
Fare pizza, pasta e pane in casa è una delle attività a cui moltissime persone si stanno dedicando per passare il tempo, come dimostrano numerosissime foto di prove culinarie condivise sui social network e la carenza di farina e lievito in molti supermercati. In molti stanno facendo esperimenti anche con una cosa più difficile da fotografare: la produzione casalinga di lievito, cioè di quello che comunemente viene chiamato lievito madre. In breve, si tratta di “coltivare” i lieviti naturalmente presenti nella farina (sono funghi microscopici) per ottenerne in quantità sufficiente per far gonfiare focacce e panini durante la cottura, anche quando al supermercato è finito il lievito di birra.
Normalmente a “coltivare” i lieviti per la panificazione – anche se forse “allevare” è il termine è più adatto, dato che un lievito madre deve essere nutrito – sono i panettieri che, nel caso di lunghe tradizioni familiari, continuano a tenere vivi lieviti ereditati dai propri genitori o nonni: per questo si dice che ci siano lieviti che hanno decine, se non centinaia, di anni, anche se ovviamente pure nelle colture di lieviti si avvicendano le generazioni. Vecchi o non vecchi, tutti questi lieviti sono unici: ognuno ha caratteristiche diverse a seconda del tipo di farina con cui viene nutrito e delle specie di lieviti (cioè dei microfunghi) che contiene. Per questo dal 2013, in Belgio, esiste un archivio di lieviti madri fondato per conservarli: ne ha raccontato la storia il New York Times.
Questo archivio, chiamato “Biblioteca del lievito madre”, è a Sankt Vith, un paesino con meno di 10mila abitanti dove la lingua più usata è il tedesco. Si trova all’interno del “Centro per il sapore del pane” di Puratos, un’azienda che produce e vende in tutto il mondo ingredienti per panettieri e pasticceri. Nella pratica è una stanza in cui ci sono una serie di frigoriferi dove sono conservati – a oggi – 125 lieviti madri da 25 paesi diversi, dal Perù a Singapore, alla temperatura di 4 °C. Al loro interno ci sono circa 700 specie di lieviti e più di 1.500 di batteri lattici. Ogni due mesi i barattoli contenenti i lieviti vengono aperti e i lieviti sono nutriti usando la stessa farina con cui erano fatti crescere dai loro creatori: in questo modo continuano a vivere.
Karl De Smedt, il “bibliotecario” che si occupa dei lieviti madri, ha raccontato al New York Times che l’idea di aprire un archivio per conservare i lieviti madri arriva da un panettiere siriano, specializzato nella produzione di tradizionali biscotti di farina di ceci: contattò Puratos per sapere se l’azienda fosse disposta a conservare il suo lievito madre perché i suoi due figli, eredi dell’attività familiare, volevano sostituirlo con lieviti industriali. La Biblioteca si è poi arricchita, e continua a farlo tuttora, proponendo a panettieri e pasticceri di tutto il mondo di fare proprio questo: conservare i loro lieviti madri nel caso in cui quello che usano venga danneggiato o perso. L’unico impegno da parte dei creatori dei lieviti conservati è di rifornire ogni anno la Biblioteca con la farina (o le altre sostanze) adatte ad alimentarli, per preservarne le qualità.
Il primo lievito madre entrato nell’archivio proviene da Altamura, il comune della provincia di Bari noto proprio per il suo pane; viene alimentato con la farina di grano duro. Il lievito numero 100 è giapponese ed è prodotto a partire dal sakè di riso. Il numero 72 viene dal Messico e viene alimentato da una miscela di uova, lime e birra.
Non si sa con certezza quale di questi lieviti sia il più vecchio perché dato che le colture sono vive e si rigenerano, non c’è modo di usare la datazione con il carbonio 14 per dare loro un’età: De Smedt può solo riportare l’età riferitagli dai panettieri che glieli hanno affidati.
Normalmente viaggia per il mondo alla ricerca di nuovi tipi di lievito: in particolare vorrebbe archiviare quelli usati per fare tipi di pane tradizionali, quelli ottenuti a partire da ingredienti inconsueti e quelli che, per quanto si sa, sono vecchi di secoli. Per trovarli visita scuole di cucina, pizzerie e panetterie artigianali.
Due anni fa aggiunse alla collezione un lievito donatogli dall’86enne Ione Christensen, ex sindaca di Whitehorse, capoluogo del territorio dello Yukon, nel nord-ovest del Canada: il suo lievito le era arrivato dal suo bisnonno Wesley David Ballentine, che lo aveva cominciato a tenere nel 1897. Come molti cercatori d’oro dell’epoca, tra le provviste che si era portato dietro per sopravvivere un anno in quei territori inospitali c’era del lievito. Nelle notti fredde lui e i suoi compagni dormivano abbracciati ai contenitori del lievito, in modo che rimanessero al caldo e continuassero a vivere – al freddo i lieviti vanno come in letargo. Oggi il lievito di Ballantine è il numero 106 della Biblioteca del lievito madre.
La Biblioteca non è aperta al pubblico ma ha un sito dove è possibile fare un tour virtuale e imparare qualcosa a proposito di molti dei lieviti conservati guardando dei video. Non ha scopo di lucro ma viene usata da Puratos per fare ricerca sulle qualità dei lieviti. Tra gli altri collabora con la Biblioteca l’italiano Marco Gobbetti, microbiologo degli alimenti e professore dell’Università di Bari e dell’Università di Bolzano, che studia la digeribilità del pane prodotto con il lievito madre.
Un altro studio sul lievito madre commissionato da Puratos fu fatto dalla North Carolina State University nel 2018: a panettieri provenienti da 16 paesi fu chiesto di produrre un nuovo lievito madre a partire dallo stesso tipo di farina e usando la stessa ricetta. L’obiettivo era capire come i diversi microbi presenti sulle mani dei panettieri – anche lavandosi le mani qualcuno ne rimane – avrebbero influito sulla composizione del lievito e quindi sul sapore del pane. Pronti i lieviti, i panettieri si trovarono a Sankt Vith, dove ognuno di loro preparò del pane col proprio lievito. In quella stessa occasione i ricercatori della North Carolina State University raccolsero i microbi presenti sulle loro mani. Dopo averli analizzati scoprirono che non sono i microbi delle mani dei panettieri a influire sulla composizione del lievito, ma il contrario: sulle mani dei panettieri è facile trovare i microbi presenti nei lieviti.
Come i suoi concittadini, De Smedt al momento esce di casa solo per fare la spesa, ma il 27 aprile dovrà andare alla Biblioteca per nutrire i lieviti madri: hanno “mangiato” per l’ultima volta il 24 marzo.