Il coronavirus a Cuba
L'epidemia è stata gestita tempestivamente, grazie al forte sistema sanitario locale, ma il crollo del turismo e le sanzioni americane potrebbero causare una grave crisi economica
I principali paesi che hanno attirato l’attenzione dei media per il modo in cui hanno gestito l’epidemia da coronavirus sono soprattutto europei e asiatici, dove la COVID-19 ha colpito di più e dove sono stati attuati gli sforzi più consistenti per contenerla. Uno dei pochi paesi americani di cui si è parlato, oltre ovviamente agli Stati Uniti, è Cuba: i motivi sono diversi e c’entrano con la particolarità del suo sistema sanitario, completamente nazionalizzato, e con l’ottima fama di cui godono i medici del paese, inviati in diversi paesi del mondo sia prima che durante l’epidemia (anche in Italia).
I dati aggiornati a venerdì 17 aprile dicono che a Cuba i casi registrati di persone affette da COVID-19 sono 862, e 27 persone che avevano preso il virus sono morte. I primi casi sono stati rilevati a metà marzo, e già dal 20 marzo (con 21 casi registrati) il governo aveva deciso di chiudere il paese ai turisti, nonostante il turismo sia una delle fonti di guadagno più importanti per i cittadini e le casse dello Stato.
Con l’aumento dei casi nelle settimane seguenti, poi, il governo ha allestito alcune strutture pubbliche per mettere velocemente in quarantena i casi sospetti, mentre i casi confermati sono stati subito ricoverati e i loro contatti tracciati e isolati; tra le misure per le fasce più deboli della popolazione, il governo cubano ha messo a disposizione pasti gratuiti per chi ha un reddito basso e da tempo, da prima dell’inizio dell’epidemia, c’è un sistema per cui lo stato fornisce pasti a prezzi agevolati alle persone anziane, particolarmente esposte al coronavirus: l’età media della popolazione cubana è tra le più alte di tutto il continente.
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Il punto di forza della sanità cubana è l’abbondanza di personale medico, che il paese da tempo utilizza anche come strumento diplomatico. Avendo uno dei più alti numeri di medici al mondo in rapporto alla popolazione – 8 ogni mille persone, quattro volte in più degli Stati Uniti – Cuba da decenni li esporta, stipulando accordi economici con quei paesi che invece sono carenti sotto questo punto di vista: nel 2018 Cuba ha guadagnato l’equivalente di 6,3 miliardi di dollari dall’esportazione di assistenza medica.
Prima che iniziasse la pandemia, peraltro, gli Stati Uniti avevano chiesto ai propri alleati di rimandare indietro i medici e gli infermieri cubani, soprattutto per motivi politici. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha detto di ritenere l’esportazione cubana di medici una forma di schiavitù, dato che i paesi che ne usufruiscono pagano lo stipendio dei medici al governo cubano, che ne trattiene una parte consistente. Alcuni alleati degli Stati Uniti, tra cui il Brasile e l’Ecuador, hanno interrotto o rinegoziato i rapporti di collaborazione con Cuba, rimandando indietro i medici, cosa che con l’inizio della pandemia ha messo questi paesi in seria difficoltà.
Nonostante l’abbondanza di personale medico, la sanità cubana – che è controllata dallo Stato e offre assistenza a tutta la popolazione – ha alcuni problemi nel mantenere le strutture a un livello adeguato, e inoltre in alcune zone del paese c’è scarsità di medicinali; per fronteggiare la carenza di attrezzatura, Cuba ha chiesto aiuto alla Cina che ha inviato mascherine, kit per i tamponi e ventilatori. Dall’inizio dell’epidemia Cuba ha aumentato di cinque volte la capacità di elaborare tamponi: questo, unito alla disponibilità di personale medico che ha ricostruito i contatti degli infetti casa per casa, ha permesso a Cuba di contenere i contagi.
Tuttavia condurre i test ha un costo elevato per la sanità cubana, e la mancanza del turismo e le sanzioni imposte dagli Stati Uniti (che si sono fatte ancora più pesanti a ottobre dello scorso anno e impediscono a Cuba di avere accesso agli aiuti internazionali) potrebbero causare una grossa crisi economica e alla lunga diminuire l’efficacia delle misure di contenimento del paese. Come scrive il sito The Conversation, «se la battaglia contro la COVID-19 dovesse prolungarsi, la mancanza di accesso alle risorse finanziarie potrebbe rivelarsi fatale».
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