La politica e il 4 maggio

La Lombardia ha chiesto al governo – sorprendentemente – che riaprano le attività produttive, ma pochi pensano che sia possibile

Attilio Fontana (ANSA/ MOURAD BALTI TOUATI)
Attilio Fontana (ANSA/ MOURAD BALTI TOUATI)

Quando venerdì scorso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha deciso di prorogare le misure restrittive fino al 3 maggio, ha lasciato intuire che dopo quella data alcune attività produttive potranno ricominciare a operare, con qualche cautela. «Vogliamo allentare quanto prima le misure per tutte le attività produttive, ma non siamo ancora in grado di ripartire a pieno regime», aveva spiegato Conte, aggiungendo che dichiarare qualsiasi data di riapertura con maggior precisione sarebbe stato prematuro.

Per capire come far ripartire il paese dopo quasi due mesi di quarantena, il governo ha istituito un comitato – anzi: una task force – composto da sociologi, psicologi, esperti dell’organizzazione del lavoro e manager, e che è coordinato da Vittorio Colao, importante manager ed ex amministratore delegato di Vodafone.

Al momento non è chiaro su cosa stiano lavorando Colao e gli altri esperti del gruppo che coordina – e i giornali stanno raccontando di sovrapposizioni non sempre semplici con le attività dei vari ministeri – ma mercoledì la Lombardia ha chiesto esplicitamente al governo che la ripresa delle attività produttive in regione avvenga a partire dal 4 maggio. In una nota diffusa nel pomeriggio, la Lombardia ha addirittura presentato un suo piano per la «nuova normalità», che poggerà sul rispetto di «Quattro D»: «Distanza (un metro di sicurezza tra le persone), Dispositivi (ovvero obbligo di mascherina per tutti), Digitalizzazione (obbligo di smart working per le attività che lo possono prevedere) e Diagnosi (dal 21 aprile inizieranno i test sierologici grazie agli studi in collaborazione con il San Matteo di Pavia)».

La richiesta della Lombardia è stata sorprendente, e non solo perché è la regione italiana di gran lunga con il maggior numero di contagi confermati e di morti. Soltanto due giorni prima, infatti, la regione aveva diffuso una nuova ordinanza che impediva anche alcune delle poche riaperture che il governo aveva concesso di fare a partire dal 14 aprile, come quelle di librerie e cartolerie.

Conte non ha risposto ufficialmente al piano della Lombardia, ma secondo fonti del governo citate da Repubblica la richiesta della regione sarebbe stata accolta «con sorpresa» e giudicata «intempestiva». Il Corriere riporta un’indiscrezione secondo cui anche Colao non avrebbe gradito la richiesta della Lombardia, perché fare ipotesi e piani su quel fronte spetterebbe invece alla task force guidata da lui.

Il piano della Lombardia è stato criticato anche dal ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, secondo cui «Ogni regione può restringere se vuole ma non può aprire senza un provvedimento del governo, perché è un’assunzione di responsabilità collettiva», specificando che c’è una «cabina di regia» che deciderà le modalità di riapertura a partire dal 4 maggio e che il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, «ne è parte integrante, quindi, ci dia i suoi contributi lì, è inutile fare un dibattito nel paese dando informazioni che possono non essere in linea con i provvedimenti».

Anche Nicola Zingaretti, presidente del Lazio e segretario del Partito Democratico, ha criticato la proposta della Lombardia dicendo che «l’uscita dal lockdown deve avvenire, ma avvenga dentro tempi e regole nazionali da individuare in fretta senza furbizie». A favore della proposta di Fontana si è invece espresso il leader della Lega Matteo Salvini, durante una diretta su Facebook mercoledì sera.

Secondo un retroscena pubblicato dal Corriere della Sera il governo sarebbe convinto che dietro il piano proposto dalla Lombardia, regione governata dalla Lega, ci sia proprio Matteo Salvini, in polemica con Conte da giorni intorno alla questione del MES. L’idea che il piano proposto da Fontana sia una mossa politica di Salvini è stata ribadita anche dal sindaco di Milano, Beppe Sala. In un video su Facebook, Sala ha detto che secondo lui «Matteo Salvini ha detto “gli italiani sono stufi di stare in casa” e la regione Lombardia ha eseguito».

Sala ha ricordato che la settimana scorsa, alla fine di una videoconferenza con la regione Lombardia, gli era stato detto che «la situazione a Milano è molto preoccupante» e gli era stato chiesto addirittura se fosse possibile introdurre misure ancora più restrittive in città, per limitare il contagio. Sempre la settimana scorsa l’assessore regionale Giulio Gallera si era detto molto preoccupato per i «dati non soddisfacenti», aggiungendo che «a Milano c’è troppa gente che si muove» nonostante gli stessi dati regionali sulla mobilità mostrino che Milano è il comune lombardo in cui ci si sposta meno. «Poi il governo chiede di riaprire le librerie», ha proseguito Sala, «le altre regioni dicono di sì, regione Lombardia dice di no. Infine ieri l’annuncio: riapriamo dal 4 di maggio. Cosa è successo ieri? Lascio a ognuno di voi le vostre riflessioni».

Parlando giovedì durante una riunione del Consiglio regionale, Attilio Fontana ha detto che bisogna «andare veloci» e da domani si cominceranno a fare piani più concreti per la riapertura, spiegando che una delle ipotesi in discussione sarà scaglionare il lavoro «su 7 giorni anziché su 5, con orari di inizio differenziati per evitare un uso eccessivo dei mezzi nelle stesse ore». Rimangono però i dubbi sollevati da Sala rispetto alle «Quattro D» cosiddette: non ci sono ancora protocolli di sicurezza per gli uffici, le mascherine in regione sono ancora molto difficili da reperire e sui tamponi i passi avanti della regione sono stati fin qui pochi e lenti.

Secondo Repubblica la squadra di esperti di Colao «è scettica sull’ipotesi di una ripresa fatta per fasce d’età. E lo è ancora di più sull’idea che chiusure e riaperture possano essere decise in base ai codici “ateco” che definiscono le diverse attività produttive. Quel che è necessario capire – per Colao – è quali filiere sono in grado di lavorare in sicurezza». Oggi comunque, continua Repubblica, Colao presenterà un rapporto al presidente del Consiglio «con i primi consigli, le raccomandazioni, soprattutto sui protocolli di sicurezza necessari per dare il via alle aperture di comparti o grandi fabbriche».