Gli sbagli del Post
Si impara da quelli vecchi, se ne fanno di nuovi, si cerca di stare attenti
Al Post si fanno degli sbagli. Si cerca di non farli, si fa del proprio meglio per non farli, non ci si perdona di farli. E alla fine se ne fanno lo stesso, meno possibile. Su quelli piccoli funziona un sistema esteso di revisioni e doppi e tripli controlli, che comprende riletture all’interno della redazione, controlli di refusi sia prima che dopo la pubblicazione, e infine attenzione alle preziose segnalazioni dei lettori. A volte capita che refusi sfuggiti vengano corretti su articoli di anni prima.
La “politica” del Post è di non ingombrare o distrarre dal testo con segnalazioni di correzioni avvenute, quando queste riguardino dettagli non sostanziali o avvengano immediatamente a ridosso della pubblicazione. E invece di segnalarle con incisi e aggiornamenti laddove creino una differenza di senso, in ciò che era descritto o raccontato, rispetto a una versione precedente che fosse già cospicuamente circolata.
In tutto questo, capitano molti errori piccoli, a volte divertenti e a volte disarmanti per noi stessi. E capitano anche rari errori grandi, che restano nella storia del Post con un alone di colpa e fallimento e una lezione preziosa per il futuro. Questi ultimi si devono quasi sempre a una prudenza nel pubblicare cose non certe al cento per cento che avrebbe dovuto essere ancora maggiore.
Il Post ha dovuto affrontare anche alcune cause legali, sebbene in numero limitatissimo (più frequenti sono le minacce intimidatorie di cause legali, che si sgonfiano rapidamente): quelle perse si contano sulle dita di una mano, e avanzano dita: in alcuni casi per ragioni che riteniamo discutibili, in un paio di altri per effettive trascuratezze, che delle sentenze hanno ritenuto danneggiassero i coinvolti. Ne siamo dispiaciuti e seccati con noi stessi.
Questo articolo fa parte di una serie che vuole raccontare il Post nei giorni in cui compie dieci anni.