Alle elezioni in Corea del Sud ha stravinto il partito del presidente Moon Jae-in
Il suo partito di centrosinistra ha ottenuto la maggioranza parlamentare più ampia degli ultimi 30 anni e l'affluenza è stata altissima, nonostante tutto
Il Partito Democratico sudcoreano del presidente Moon Jae-in ha vinto le elezioni per l’Assemblea nazionale (il parlamento della Corea del Sud), ottenendo la maggioranza più ampia degli ultimi trent’anni.
Nonostante si sia votato durante l’emergenza della pandemia da coronavirus, e nonostante le misure adottate per ridurre il contagio durante le operazioni di voto (disinfezione delle mani ai seggi, obbligo di indossare mascherine, guanti monouso, rilevazione della temperatura corporea, seggi appositi per chi si trova in quarantena) l’affluenza è stata del 66,2 per cento, la più alta dal 1992 (quando era arrivata al 71,9 per cento). Le elezioni erano cominciate il 10 aprile e si sono concluse ieri.
Il Partito Democratico di Moon ha ottenuto insieme ai suoi alleati del Partito dei Cittadini 180 seggi sui 300 dell’Assemblea nazionale, la maggioranza più ampia dal 1988. I conservatori del Partito Unito del Futuro, la prima forza d’opposizione, e i suoi alleati hanno ottenuto invece 103 seggi. Queste elezioni sono state le prime dopo l’approvazione della nuova legge elettorale che ha consentito per la prima volta il voto ai diciottenni e che ha introdotto un sistema misto maggioritario e proporzionale per l’assegnazione dei seggi.
Sono stati quindi confermati i sondaggi che avevano rilevato una riconquistata popolarità del presidente Moon e del suo partito, da ricollegare, secondo i media internazionali e quelli locali, al modo in cui è stata gestita l’emergenza coronavirus, che ha fatto del paese un modello per il resto del mondo. In particolare si è parlato molto della Corea del Sud per la strategia di test a tappeto per individuare i positivi al virus, e isolarli dai non contagiati, oltre che per le pratiche di tracciamento meticoloso dei contatti di chi aveva contratto la malattia.
Il partito di Moon si è quindi imposto convincendo gli elettori anche dopo gli scandali per abuso di potere che avevano coinvolto alcuni membri del governo, il rallentamento della crescita economica e l’atteggiamento nei confronti della Corea del Nord, giudicato dalla maggioranza dei sudcoreani, fino a pochi mesi fa, troppo accomodante.
L’ex primo ministro Lee Nak-yon, che ha guidato la campagna del Partito Democratico, ha commentato le proiezioni che davano i democratici in testa dicendo che «In linea con il mandato che la gente ci ha dato, daremo la massima priorità al superamento della crisi nazionale del coronavirus e al rallentamento dell’economia». Lee Nak-yon ha quindi confermato come il risultato delle elezioni venga valutato come un referendum sull’operato del governo durante l’emergenza sanitaria, in un paese dove, nonostante la vicinanza con Cina, primo epicentro dell’epidemia, risultano ufficialmente 10.613 casi di contagio e 229 morti.
Il Partito Democratico ha vinto oltre l’80 per cento dei seggi nella capitale Seul e nella provincia di Gyeonggi ha ottenuto 43 seggi su 60. L’opposizione ha vinto solo nelle aree tradizionalmente conservatrici, come le province di Busan, a Ulsan e a Daegu, la città dove è stato rilevato il maggior numero di contagi. I giornali sudcoreani hanno parlato molto della sfida tra Lee Nak-yeon e Hwang Kyo-ahn per il seggio del quartiere di Jongno a Seul: entrambi sono stati in passato primi ministri e di entrambi si parla come possibili prossimi candidati alla presidenza. Il seggio è stato vinto da Lee con circa il 53 per cento dei voti.
È stato eletto con l’opposizione anche Thae Yong-ho, già vice-ambasciatore nordcoreano nel Regno Unito, che nel 2016 aveva disertato con la sua famiglia diventando il funzionario di più alto grado ad abbandonare la Corea del Nord per chiedere asilo politico alla Corea del Sud. Thae Yong-ho, che era candidato nel ricco distretto Gangnam di Seul e ha vinto con il 58,4 per cento, è diventato il primo disertore nordcoreano ad essere eletto al parlamento della Corea del Sud.