La risposta del Vietnam al coronavirus
Ha ricevuto apprezzamenti ma anche critiche e dubbi – i casi ufficiali sono meno di 300 su quasi 100 milioni di abitanti – e ora il governo ha vietato la diffusione di "notizie false"
Da oggi in Vietnam è in vigore un decreto che prevede pesanti multe per chi diffonde “fake news” e informazioni false attraverso internet. Il decreto ne aggiorna uno del 2013, introducendo nuove regole e aumentando le sanzioni previste. Da oggi chi sarà ritenuto colpevole dovrà pagare tra i 10 e i 20 milioni di dong, pari a circa 400-500 euro, cioè alcuni mesi del salario minimo vietnamita. Il nuovo decreto parla espressamente di notizie false sul coronavirus, ed è solo l’ultima di una serie di misure prese dal governo per fermare il contagio: alcune sono state lodate dai giornali internazionali, mentre altre – soprattutto quelle più repressive – sono state giudicate con diffidenza, così come i dati molto molto bassi sui contagiati locali.
Il timore di molti osservatori è che il partito comunista vietnamita – al potere dal 1975, l’anno della riunificazione del paese – possa sfruttare l’emergenza legata al coronavirus per aumentare il suo controllo su quel che viene fatto e scritto online. Da più di un anno, infatti, è in vigore una legge “per la sicurezza informatica” che rende illegale criticare su internet il governo.
Un altro timore è che il decreto possa permettere al governo di censurare anche notizie non false sul coronavirus. A questo proposito, molti esperti e osservatori hanno espresso preoccupazione sul fatto che il Vietnam stia gestendo in modo poco limpido la situazione legata al coronavirus. Il paese, che condivide più di mille chilometri di confine con la Cina, dice di aver finora individuato meno di 300 casi di contagio, e che per ora nessuno è morto dopo aver contratto la COVID-19.
Se è certo, come per ogni altro paese al mondo, che i casi individuati siano meno di quelli reali, non è chiaro quanto grande sia questa differenza, e quanto il governo stia cercando di nascondere la dimensione del problema.
Una possibilità è che il Vietnam sia davvero riuscito a contenere il contagio meglio di altri: da quando fu individuato il primo, il 23 gennaio, il paese ha preso piuttosto rapidamente misure per il contenimento del contagio imponendo già a febbraio la chiusura della maggior parte delle scuole e vietando, sempre a febbraio, i voli per la Cina. Il 13 febbraio il Vietnam fu anche il primo paese dopo la Cina a isolare quasi del tutto una grande area residenziale abitata da oltre 10mila persone: nella provincia di Vinh Phuc, a nord della capitale Hanoi e vicino al confine con la Cina.
Fu per iniziative di questo tipo che già a marzo il Financial Times aveva apprezzato il «modello low-cost» del paese, focalizzato sulla quarantena e il tracciamento dei contatti. Le restrizioni e le decisioni del Vietnam sono state apprezzate anche da Kidong Park, che rappresenta l’OMS nel paese e ha parlato di «una risposta rapida ed energica».
Allo stesso tempo il Financial Times aveva fatto notare che i risultati del Vietnam erano stati ottenuti anche grazie alla mobilitazione forzata di operatori sanitari e militari e attraverso «la sorveglianza e l’intrusione» nella vita delle persone. Il South China Morning Post ha parlato, a questo proposito, di cartelli e annunci che per le strade della città di Ho Chi Minh ricordano che chi non indossa una mascherina o infetta altre persone può rischiare fino a 12 anni di carcere; il giornale cita anche il caso di una persona condannata a nove mesi di prigione per essersi rifiutata di indossare una mascherina.
Recenti statistiche ufficiali parlano di più di 75mila persone in isolamento e di oltre 120mila test finora fatti. L’intero paese è in “lockdown” dal primo aprile (gran parte del paese ci resterà almeno per un’altra settimana) e Nguyen Xuan Phuc – segretario generale del partito comunista e, dal 2018, presidente del paese – ha paragonato la risposta del paese al virus alla resistenza del 1968 fatta dai vietcong durante la guerra in Vietnam.
Diversi esperti ritengono però quantomeno improbabile che un paese come il Vietnam – relativamente povero, con oltre 95 milioni di abitanti, vicino alla Cina – possa avere solo qualche centinaio di casi. Il dubbio è che il paese non stia riuscendo a individuare molti contagi o che, pur facendolo, stia evitando di renderli noti.
Da questo punto di vista, il nuovo decreto sulle “fake news” potrebbe quindi tornare utile per censurare chiunque denunci la situazione. Tanya O’Carroll, responsabile dell’area di Amnesty International che si occupa di tecnologia, ha detto che «il decreto offre una nuova e potente arma all’arsenale vietnamita per la repressione dell’attività online».