L’ospedale alla Fiera di Milano serve o no?
Ha aperto una settimana fa, è costato 21 milioni di euro e per ora accoglie solo dieci pazienti: abbiamo provato a capire quali critiche siano fondate e quali no
di Luca Misculin
Il 6 aprile sono stati ammessi i primi due pazienti nell’ospedale in costruzione alla Fiera di Milano, messo in piedi in poche settimane per fronteggiare meglio l’emergenza legata al coronavirus. Dell’ospedale in Fiera si è parlato moltissimo: sia perché una struttura del genere non era mai stata costruita – a regime dovrebbe ospitare il reparto di terapia intensiva più grande in Italia – sia perché la sua costruzione è stata una delle misure più visibili prese dal governo regionale della Lombardia, molto criticato per diversi altri aspetti nella gestione del contagio.
Dopo i primi giorni di attività, però, le critiche verso il governo regionale si sono estese anche all’ospedale in Fiera. «Mi chiedo se non sarebbe stato meglio potenziare una singola struttura già esistente», ha detto per esempio a Business Insider Giuseppe Bruschi, cardiochirurgo e dirigente medico dell’ospedale Niguarda. Altre critiche si sono concentrate sull’utilizzo dei soldi spesi – 21 milioni di euro, secondo il governo regionale, tutti coperti dai privati – e soprattutto sui numeri esigui dei pazienti ricoverati: al momento sono 10.
Martedì pomeriggio, durante la sua conferenza stampa giornaliera, l’assessore al Welfare della regione Lombardia, Giulio Gallera, ha respinto le critiche sull’ospedale in Fiera spiegando che il suo scarso utilizzo è una cosa di cui «siamo contenti: vuol dire che oggi c’è un bisogno sanitario inferiore».
Una volta a regime, l’ospedale dovrebbe ospitare circa 200 posti letto dedicati esclusivamente a due reparti: terapia intensiva e sub-intensiva. Sono quelli che accolgono i pazienti più gravi affetti da coronavirus, che nei giorni di picco dell’emergenza gli ospedali lombardi non riuscivano più a gestire. Al momento però ne sono occupati soltanto una piccola parte, e il Policlinico di Milano – che gestisce la struttura come se fosse un suo distaccamento – prevede che entro pochi giorni possano aumentare a 18: troppo pochi, secondo alcuni, per un progetto di queste dimensioni.
«È una critica che in condizioni normali accetterei al cento per cento», spiega al Post Nino Stocchetti, professore di Anestesia e Terapia intensiva del Policlinico e responsabile sanitario dell’ospedale in Fiera. «Ma questo è un ospedale costruito per fronteggiare una pandemia, che di normale non ha niente».
Stocchetti spiega che per giustificare questi numeri vanno spiegate alcune cose. Per prima, la gradualità con cui bisogna mettere in piedi una struttura del genere. Nei primi giorni c’è voluto del tempo per provare i ventilatori e i loro monitor, tutte le altre attrezzature e la funzionalità delle stanze.
I reparti di terapia intensiva hanno bisogno inoltre di un numero ingente di personale. Per evitare di mandare allo sbaraglio persone che non hanno mai avuto a che fare con persone contagiose o bisognose di attenzioni particolari, ogni nuovo dipendente viene prima addestrato a proteggersi, poi affiancato a una figura con più esperienza (i curriculum sono selezionati dalla regione e dal Policlinico, e le selezioni sono tuttora aperte). All’ospedale in Fiera ci sono un infermiere ogni due pazienti, anche di notte, mentre di giorno lavora un medico ogni tre pazienti: come nei reparti di terapia intensiva di alto livello.
Un’altra critica rivolta alla regione riguarda proprio la destinazione dell’ospedale. Da diversi giorni in Lombardia i ricoveri nei reparti della terapia intensiva stanno diminuendo. La situazione negli ospedali più colpiti rimane difficile, anche per quanto riguarda la cura dei pazienti non affetti da COVID-19, ma è nettamente migliore rispetto a qualche settimana fa: il 13 aprile i ricoverati in terapia intensiva in Lombardia erano 1.143, circa duecento in meno rispetto agli inizi di aprile. Di conseguenza, hanno sostenuto alcuni critici, è stato inutile aprire un ospedale che si occupasse di terapie intensive dopo aver superato il picco di presenze negli ospedali: soprattutto se sarà operativo soltanto in maniera graduale, e quindi almeno per il momento non allevierà la pressione sugli ospedali lombardi.
Carlo Borghetti, capogruppo del Partito Democratico nella commissione Sanità della regione Lombardia, ha proposto per esempio di convertire i posti ancora vuoti nell’ospedale in Fiera per ospitare i pazienti di fatto guariti ma ancora positivi che necessitano di cure a bassa intensità (data anche la difficoltà a trovare posti per ospitarli); oppure persone che vivono nelle case di riposo, una categoria molto più esposta di altre a contrarre il coronavirus.
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Stocchetti ha risposto alle critiche sostenendo che l’emergenza non si esaurirà affatto nelle prossime settimane, e fa notare che se fosse necessario «abbiamo personale necessario a gestire numeri più alti» (i moduli costruiti finora possono ospitare fino a 53 pazienti, mentre le stanze per gli altri 150 dovrebbero essere finite nelle prossime settimane).
Per ora, continua Stocchetti, l’ospedale in Fiera non riceve un flusso costante di pazienti anche perché gli altri ospedali non hanno intenzione di smontare i reparti di terapia intensiva costruiti in tutta fretta per ospitare i pazienti più gravi affetti da COVID-19: «con i vari reparti di terapia intensiva ci sentiamo due volte alla settimana, e nell’ultima riunione tutti i colleghi notavano che la pressione comincia ad essere minore: ma nessuno voleva smobilitare».
«Certo, si potrà pensare di chiudere i reparti di emergenza e inviare qualche paziente in Fiera per tornare verso la normalità. La mia impressione è che per fare questo passo abbiamo bisogno di più dati e di più tempo, perché i colleghi ritengono che la situazione non permetta di abbassare la guardia», spiega Stocchetti, facendo notare che prima dell’emergenza legata al coronavirus i posti in terapia intensiva in Lombardia erano circa 700, ancora molti di meno rispetto a quelli occupati oggi.
Il tema di un utilizzo diverso dell’ospedale rispetto alla sola terapia intensiva è ritenuto legittimo anche da Federico Lega, che insegna Economia aziendale applicata al sistema sanitario all’Università Statale di Milano. Parlando col Post, Lega ha spiegato che dal punto di vista della regione «è stato ragionevole» costruire una struttura del genere, e che ora va soltanto capito come utilizzarla.
Secondo Lega, oltre a ospitare pazienti di terapia intensiva destinati ad altri ospedali e consentire così un «ritorno alla normalità della rete ordinaria», l’ospedale in Fiera dovrebbe anche ospitare i pazienti costretti alla quarantena – come suggerito anche da Borghetti – e inoltre ospitare «quei pazienti che escono dalla terapia intensiva e hanno ancora bisogno di essere assistiti», perché magari hanno difficoltà a respirare in autonomia. «La Lombardia ha una grande opportunità», ribadisce Lega, dicendosi sicuro che i tecnici della sanità lombarda si stiano ponendo le stesse questioni.
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Non tutti ritengono di riporre le loro speranze nell’ospedale in Fiera. In un post su Facebook poi diventato virale, il cardiochirurgo Giuseppe Bruschi ha sostenuto che nonostante gli sforzi quello in Fiera non sarà mai un vero ospedale perché «una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell’ospedale», chiedendosi inoltre se le energie e i soldi dei privati non sarebbero stati più utili se impiegati «per ristrutturare o riportare in vita alcuni dei tanti padiglioni abbandonati degli ospedali lombardi».
La seconda critica è condivisa anche dal PD, che negli ultimi anni ha spesso accusato la regione Lombardia di avere puntato in maniera eccessiva sulle strutture ospedaliere “di eccellenza” perdendo di vista tutte le altre, nonché le forme di assistenza domiciliare: in un certo senso, anche in questo caso la più forte risposta della regione all’emergenza ha riguardato la costruzione di un altro ospedale nonché una struttura unica nel suo genere, in cui concentrare risorse e persone da contesti di eccellenza.
La scelta di costruire un’unica struttura potrebbe anche essere stata legata ai costi. Quando si parla di strutture pubbliche ventuno milioni di euro non sono tantissimi, e oggi «costa di più ricostruire un vecchio ospedale piuttosto che costruirne uno nuovo», spiega Federico Lega: «rimodernare un padiglione poteva avere costi superiori a una struttura di questo tipo, evidentemente costruita con materiali funzionali», cioè strutture prefabbricate simili a dei container, facilmente smantellabili.
Altre critiche rivolte all’ospedale in Fiera possono essere attribuite alle aspettative enormi, forse eccessive, che il governo regionale aveva creato nelle scorse settimane. Una volta finita la costruzione del primo modulo, Gallera, aveva detto che l’ospedale in Fiera sarebbe stato «al servizio di tutto il paese, e magari al servizio di tutta Europa». Durante la controversa conferenza stampa di presentazione dell’ospedale, il presidente della regione Attilio Fontana aveva ribadito che l’ospedale potesse diventare «un punto di riferimento per tutto il paese», lasciando intendere che avrebbe potuto accogliere pazienti da altre regioni italiane.
In realtà la gestione dell’ospedale è stata affidata all’Unità di crisi della regione per le terapie intensive, coordinata da Antonio Pesenti, direttore del reparto di Terapia Intensiva del Policlinico e uno dei più importanti studiosi mondiali delle insufficienze respiratorie. L’unità di crisi lavora soltanto con gli ospedali lombardi, e a meno di sorprese o gravi emergenze difficilmente accoglierà pazienti provenienti da altre regioni.
Al momento non sappiamo neppure se alla fine dell’emergenza sarà smantellato o meno: ma non è chiaro nemmeno quanto durerà l’emergenza, mentre è evidente che con la graduale riapertura delle attività e la rimozione delle restrizioni sugli spostamenti esiste la concreta possibilità che tornino ad aumentare i contagi e quindi anche il numero dei pazienti da ricoverare in terapia intensiva. Sembrano non sapere cosa sarà dell’ospedale neppure gli enti più coinvolti: durante la conferenza stampa di inaugurazione, il presidente della Fondazione Fiera Enrico Pazzali ha auspicato di poterlo «smontare il prima possibile», ma poco dopo Fontana lo ha contraddetto lasciando intendere che per quanto riguarda la regione potrebbe rimanere aperto in maniera definitiva.
«È dall’inizio dell’emergenza che Fontana e soprattutto Gallera mantengono un atteggiamento autocelebrativo che trovo fuori luogo», ha detto Borghetti, secondo cui l’ospedale in Fiera è stato «pompato» talmente tanto che era inevitabile che qualcuno rimanesse deluso dal risultato finale.
«Anche a Milano dev’essere pronta una diga, o un argine, come lo vogliamo chiamare, per fronteggiare qualsiasi peggioramento della situazione», ha spiegato Stocchetti. «Continueremo a prepararci per potere accogliere tanti pazienti con la stessa mentalità dei vigili del fuoco: non ci auguriamo che scoppi un incendio, ma se succederà non ci troveremo impreparati come lo eravamo due mesi fa».