Diventare – e smettere di essere – Greta Garbo
Una storia che inizia nel 1905 in un quartiere povero di Stoccolma, passa per Hollywood e finisce trent'anni fa a New York
Il 15 aprile 1990, che quell’anno era il giorno di Pasqua, al Cornell Medical Center di Manhattan fu dichiarata morta Greta Garbo: aveva 84 anni ed era stata un’attrice per meno di venti. Quegli anni, e i meno di trenta film che girò, furono però più che sufficienti per farla diventare una della più grandi attrici di sempre, sia nel cinema muto che in quello sonoro. Ma la sua storia è anche la storia di come la svedese Greta Lovisa Gustafsson, nata a inizio Novecento in un quartiere popolare di Stoccolma, divenne appunto Greta Garbo; e del perché a un certo punto decise che non voleva più esserlo.
La storia di Greta Lovisa Gustafsson iniziò il 18 settembre 1905, il quartiere popolare si chiama Södermalm. Era il posto in cui si erano insediati i tanti operai arrivati da fuori e la famiglia Gustafsson, di cui Greta era la terza figlia, viveva in una casa che lei avrebbe poi descritto così, in una delle sue rare interviste: «Dove stavamo noi, tutte le case e gli appartamenti erano uguali, e la loro bruttezza era uguale a quella di tutto quel che ci stava intorno». Il padre di Greta, operaio, morì nel 1920, per quelle che probabilmente furono complicazioni successive all’influenza spagnola.
Greta Lovisa Gustafsson lasciò la scuola a tredici anni e si mise a lavorare come commessa e dedicandosi alla modisteria. Un negozio in cui lavorava la scelse come modella per una pubblicità su un giornale e in seguito fu scelta anche per un breve film, sempre con finalità promozionali. Nei primi anni Venti, quando era ancora adolescente, ebbe una piccola parte nel suo primo film, dopo il quale ottenne una sorta di borsa di studio per studiare arte drammatica a Stoccolma. Studiò e nel 1924 il regista Mauritz Stiller – finlandese scappato in Svezia per evitare di finire nell’esercito (allora l’esercito dell’impero russo) – la volle come protagonista nel suo I cavalieri di Ekebù.
Stiller, che aveva il doppio degli anni di lei, la guidò e consigliò in molti modi; sembra che fu lui a consigliarle di mantenere il nome ma di cambiare il cognome in Garbo, perché suonava meglio di Gustafsson (le versioni sul perché fu scelto proprio “Garbo” sono tante e nessuna mai del tutto confermata).
I cavalieri di Ekebù fu stroncato in Svezia ma poi, accorciato e rimontato, fu un successo a Berlino, cosa che permise a Greta Garbo di continuare la sua carriera recitando in La via senza gioia, girato in Germania e diretto dall’austriaco Georg Wilhelm Pabst.
Garbo entrò quindi in contatto con Louis B. Mayer, produttore cinematografico a capo della Metro-Goldwyn-Mayer: la MGM, una delle più grandi case cinematografiche di quegli anni. Fu così che Garbo partì per New York accompagnata da Stiller e, dopo alcuni mesi di incertezza dovute all’assenza di contatti con Mayer, riuscì infine a firmare un contratto e diventare un’attrice della MGM (allora le case cinematografiche erano solite fare con registi e interpreti contratti per più film, così da poterli avere più o meno in esclusiva).
Appena ventenne, senza parlare inglese, guidata da Stiller (il cui nome è spesso accompagnato dalla dicitura “il suo pigmalione”) e con giusto due veri film a curriculum, Garbo era diventata un’attrice di Hollywood. La lingua non era un problema, tanto il cinema era muto: e Garbo divenne in pochissimo tempo uno dei volti più noti e una delle interpreti più richieste.
Stiller, che l’aveva portata a Hollywood e aveva a sua volta firmato un contratto da regista con la MGM, ci era rimasto giusto un paio di anni; incompreso, era tornato in Svezia, dove si era suicidato nel 1928. Garbo invece restò molto a Hollywood, e visto quel che andava di moda allora, le furono spesso dati ruoli da tentatrice o da amante sofferente: recitò tra gli altri in La donna divina, La donna misteriosa, Orchidea selvaggia e Donna che ama.
Nel frattempo cambiò il cinema e arrivò il sonoro, che stroncò le carriere di molti interpreti dalla grande presenza e dalla brutta voce o, semplicemente, di attori e attrici stranieri il cui accento divenne un problema. Il primo film in cui gli spettatori sentirono la voce di Garbo fu Anna Christie, un film drammatico (ma quasi ogni suo film fu un film drammatico) che fu promosso con due parole: “Garbo talks“, cioè “Garbo parla”. A Garbo, che la MGM aveva provato a tenere più lontano possibile dai film non muti, fu fatto interpretare un personaggio svedese, Anna “Christie” Christofferson, e si dice che lei, che nel frattempo aveva notevolmente migliorato il suo inglese, accentuò volutamente il suo accento straniero.
Le prime parole che Garbo disse in un film furono: «Gimme a whisky, ginger ale on the side, and don’t be stingy, baby!». Il personaggio di Garbo chiedeva cioè un whisky, con ginger ale a parte, invitando il barista a «non essere tirchio» col whisky.
Garbo continuò a essere una grande star di Hollywood anche parlando, con apprezzatissimi ruoli in film come Grand Hotel e Anna Karenina, del 1932 e del 1935. Piacque molto anche il dramma storico La regina Cristina, che finiva inquadrandole il viso.
Nella seconda metà degli anni Trenta Garbo – che in pochi anni era passata da ingaggi di 350 dollari a 270mila dollari a film – sembrò passare di moda, o comunque i suoi film iniziarono a piacere molto meno. Nel 1938 un articolo poi diventato famoso definì lei e altri grandi interpreti del cinema di quegli anni “box office poison“: “veleno da botteghino”, in riferimento agli scarsi incassi di alcuni loro film, a fronte di grandi investimenti e altissimi compensi.
Garbo seppe rilanciarsi alla grande in un film del tutto fuori da quelle che si pensavano essere le sue corde: la commedia Ninotchka, di Ernst Lubitsch. Anche questo caso il film fu promosso con due parole: “Garbo laughs“, cioè “Garbo ride”.
Il film andò bene e due anni più tardi, nel 1941, Garbo provò a continuare a ridere e far ridere in un’altra commedia: Non tradirmi con me. Fu il suo ultimo film.
Non tradirmi con me andò male, anche perché gli incassi furono compromessi dal fatto che in Europa era nel frattempo iniziata la Seconda guerra mondiale, e pare che Garbo ne parlò come della sua “tomba”. Non è mai stato del tutto chiarito il perché, ma dopo quell’insuccesso, quello che sembrò essere un temporaneo “addio alle scene” divenne definitivo.
La vita da attrice di Greta Garbo finì quindi meno di vent’anni dopo il suo primo film, a meno di quarant’anni.
Subito dopo la guerra qualcuno la accusò anche di non aver fatto niente per aiutare gli Alleati durante il conflitto; lei non rispose, ma negli anni Settanta un librò parlò di un suo ruolo nell’individuare per i britannici simpatizzanti nazisti in Svezia.
Nei suoi anni a Hollywood Garbo si era fatta notare per la sua timidezza: si racconta che quando riusciva, cioè quasi sempre, chiedeva di poter girare alla presenza di pochissimi membri della troupe (spesso nemmeno del regista) e, anche quando non recitava, concesse pochissime interviste e lasciò trapelare pochissimi dettagli sulla sua vita privata.
In quanto attrice, fu apprezzata per il modo in cui sapeva suggerire grandi sentimenti con pochissimi movimenti. Clarence Brown, suo regista in molti film, disse che non la diresse mai «con qualcosa più di un sussurro» e che anche quando certe scene sembravano sbagliate non le rigirava, perché sapeva che «una volta sullo schermo Garbo avrebbe moltiplicato l’effetto di ogni scena, grazie a un qualcosa che nessun altro ha mai avuto». Garbo è nota, infatti, per aver introdotto una sottigliezza recitativa spesso sconosciuta nel cinema di quegli anni; in genere andando oltre a personaggi in realtà non particolarmente interessanti e sfaccettati. «La cosa più bella di un film di Garbo era Garbo», scrisse il New York Times dopo la sua morte, ricordando anche che «nessuno sapeva soffrire come lei». L’articolo aggiungeva che «la sua espressione, straordinaria e mistica, era stata spesso paragonata a quella della Gioconda». Bette Davis disse di lei che nessun altro «aveva lavorato così bene davanti a una cinepresa», George Cukor che «bastava un suo piccolo movimento per far sì che l’intero schermo prendesse vita».
Come successo ad altri, più Garbo cercò di isolarsi dal mondo, e più il suo isolamento finì al centro dell’attenzione di molti. Visto l’attrice che era stata, in diversi provarono a farle cambiare idea: per esempio per recitare il ruolo della diva malinconica di Viale del tramonto. Ci sono versioni secondo le quali in un paio di occasioni lei sembrò fare qualche apertura alla possibilità di tornare a recitare, ma alla fine non si decise mai.
Nel 1951 Garbo prese la cittadinanza statunitense e poco dopo acquistò a Manhattan, sulla 52esima strada, la casa in cui visse fino al giorno della sua morte. Ancor più che nel suo periodo da attrice, le foto di lei in quegli anni sono spesso rubate o scattate di sfuggita, con il suo volto almeno in parte coperto. Ma è sbagliato pensare che Garbo visse chiusa nella sua casa di New York. Viaggiò molto e frequentò diverse importanti personalità di quegli anni. Che si sappia, non si sposò mai e la gran parte delle informazioni sulla sua vita affettiva sono voci difficilmente confermabili.
Nell’articolo pubblicato dopo la sua morte, il New York Times scrisse che «Garbo era solita passeggiare e fare compere, in genere da sola, nel suo quartiere di New York», «vestita alla moda ma in modo semplice, con grandi cappelli, scarpe basse e praticamente niente trucco». «Esco e guardo gli esseri umani», aveva detto lei, pochi mesi prima, in una rara intervista.
Per gran parte della sua carriera, e per grandissima parte della sua vita, Garbo non solo non diede interviste: non rispose nemmeno alle lettere dei fan, non partecipò alle anteprime dei suoi film e non firmò autografi. Si racconta che nei suoi anni da attrice fosse solita minacciare chi non voleva ascoltare le sue opinioni che sarebbe “tornata in Svezia” e che la frase in genere bastava a far sì che si facesse come voleva lei. Sulla sua nota richiesta di recitare con meno persone possibile attorno a lei, disse: «Se sono sola, la mia faccia fa cose che altrimenti non riesco a fare». Di lei si racconta che fosse molto attenta a quel che mangiava, ma anche che fumasse e bevesse molto. Si raccontò che visse in modo frugale, ma si sa per certo che fece diversi ottimi investimenti e comprò diversi quadri di grande valore. Sembra che il ruolo che avrebbe voluto fare, e che nessuno le fece fare, fu quello di Giovanna d’Arco.
Si racconta anche che a un passante che, riconoscendola tra la folla, le chiese se fosse proprio Greta Garbo, lei rispose: «Lo ero». È certo, invece, che – come lei stessa fece notare – in nessuno dei suoi film disse la frase «voglio essere sola», bensì «voglio essere lasciata sola».