Il primo e unico Scudetto del Cagliari
Lo vinse il 12 aprile del 1970, con Gigi Riva e Manlio Scopigno: fu un momento storico per tutta la Sardegna
di Pietro Cabrio
Nella prima metà del secolo scorso la Sardegna non aveva ancora conosciuto la modernizzazione. Rimaneva un posto sotto molti aspetti arcaico, abitato in prevalenza da comunità di contadini, allevatori e pescatori. Il settore turistico di fatto non esisteva e la malaria, così come in altre regioni italiane, non era stata ancora debellata. Quell’isola storicamente a sé stante non era ancora stata interessata dai primi effetti del “miracolo economico italiano” del dopoguerra.
Le cose iniziarono a cambiare tra gli anni Sessanta e Settanta grazie agli incentivi statali per favorire gli investimenti industriali nelle regioni più povere. La crescita economica e la diffusione del benessere che si verificarono in seguito in Sardegna furono rappresentate simbolicamente da un evento sportivo: la storica vittoria del campionato di calcio del 1970 da parte del Cagliari, il primo e finora unico Scudetto sardo.
Arrica, Rovelli e Moratti
Quando negli Cinquanta la malaria fu debellata, le coste settentrionali della Sardegna iniziarono a essere frequentate da alcune ricche famiglie italiane, che le raggiungevano a bordo delle loro imbarcazioni. Fu così che nel 1964 i discendenti dell’antica famiglia veneziana dei Donà dalle Rose crearono dal nulla Porto Rotondo, mentre poco più a nord il principe Karim Aga Khan IV, imam dei musulmani ismailiti, inaugurò Porto Cervo, che negli anni divenne il principale centro del comprensorio della Costa Smeralda.
Gli investimenti nel turismo servirono più a favorire una certa immagine della Sardegna che a migliorare le condizioni di vita dalla popolazione, per le quali furono invece fondamentali gli investimenti di alcuni industriali lombardi. Nei primi anni Sessanta, sfruttando gli incentivi statali, il petroliere milanese Angelo Moratti, presidente dell’Inter, fondò la SARAS (Società Anonima Raffinerie Sarde) e costruì a Sarroch, poco distante da Cagliari, la più importante raffineria di petrolio del Mediterraneo. Quasi in contemporanea, ma a Porto Torres, l’imprenditore lombardo Angelo Rovelli mise in attività uno dei più vasti poli petrolchimici d’Europa per l’epoca.
In quegli anni Rovelli e Moratti divennero anche i due finanziatori “occulti” della squadra di calcio del Cagliari, fondata nel 1920. Come era usanza nel calcio italiano dell’epoca, Rovelli e Moratti usarono la squadra di calcio del posto per farla diventare una sorta di emblema del territorio e per consolidare la loro presenza in Sardegna, la quale garantiva già migliaia di posti di lavoro. A coinvolgerli fu il manager e dirigente sportivo sardo Andrea Arrica, vice presidente e di fatto amministratore delegato del Cagliari, il quale strinse anche una stretta collaborazione con l’Inter di Moratti che fu alla base dei successi ottenuti in seguito.
Gigi Riva
Nella Sardegna in fase di industrializzazione, la storia del Cagliari cambiò quando, per una serie di coincidenze, il vice presidente Arrica e l’allenatore dell’epoca, Arturo Silvestri, trovarono un giocatore molto promettente nel Legnano, squadra lombarda allora in Serie C. Si chiamava Gigi Riva, era un ragazzo cresciuto sul lago Maggiore e nel 1963 giocava con il Legnano da un anno, dopo essersi messo in mostra nelle categoria minori lombarde.
Riva aveva avuto un’infanzia difficile, se non triste: era nato in una famiglia povera, orfano di padre a nove anni, cresciuto in collegio e allevato dalla sorella dopo la morte della madre. Se sembrava schivo e taciturno, in campo dava tutt’altra idea. Era forte, rapido, con un sinistro di rara potenza, senza paura e bravo anche nelle acrobazie, quasi un centravanti dei giorni nostri, ma cinquant’anni fa. Di lui si diceva: «Dove gli altri ci mettono il piede, Riva ci metta la testa».
Nei suoi ultimi mesi al Legnano si parlava di possibili trasferimenti a Torino, Varese e Milano. Lui stesso fu sorpreso quando venne venduto al Cagliari per 38 milioni di lire: «Dalla provincia di Varese non ero praticamente mai uscito, mi ritrovai con il trasferimento a Cagliari e in un primo momento pensai a uno scherzo. Presi quasi paura». Dai campi in erba della Lombardia, Riva arrivò in quelli sardi in terra battuta. Ebbe bisogno di tempo ma alla fine si abituò e nel suo primo anno in Sardegna contribuì con otto gol alla prima promozione in Serie A.
Dalla B allo Scudetto
In Serie A il Cagliari divenne subito una sorpresa e concluse al sesto posto la stagione del debutto. Riva si confermò anche nella categoria superiore e divenne nel tempo il capo carismatico di una squadra affamata e ambiziosa, composta da giocatori scartati dai grandi club del Nord e altri con un passato non facile, simile a quello di Riva.
Nel corso degli anni Sessanta, dalla collaborazione con l’Inter arrivarono grandi giocatori, anche se in fasi diverse delle loro carriere. Il primo fu Roberto Boninsegna, cresciuto nelle giovanili milanesi ma continuamente scartato dalla prima squadra. Boninsegna venne comprato dal Cagliari nel 1966 e tre anni dopo fu ridato all’Inter in cambio di Angelo Domenghini, già campione d’Europa con Helenio Herrera, oltre ai giovani Sergio Gori e Cesare Poli.
Dalla Fiorentina arrivò invece il portiere della Nazionale, Enrico Albertosi, che a Firenze era stato scalzato da Franco Superchi, mentre dalla Juventus la mezzala brasiliana Claudio Olinto de Carvalho, detto Nené. Dal Verona fu comprato nello stesso anno di Riva il centrocampista difensivo Pierluigi Cera, che a Cagliari divenne capitano.
In varie fasi, questi furono i protagonisti dell’ascesa del Cagliari, iniziata con Silvestri come allenatore e proseguita dal 1966 in poi con Manlio Scopigno, soprannominato “il filosofo” per i metodi poco rigidi che usava con i giocatori. Scopigno era stato esonerato dal Bologna nella stagione precedente e nel frattempo “prenotato” dall’Inter in caso di dimissioni di Helenio Herrera. Con lui il Cagliari si avvicinò ogni anno sempre di più allo Scudetto, ma nel 1967 dovette frenare la sua corsa a causa del grave infortunio di Riva, che nel marzo di quell’anno si fratturò il perone durante l’amichevole Italia-Portogallo.
Lo Scudetto venne sfiorato nel campionato del 1969, concluso in seconda posizione a pari merito con il Milan di Nereo Rocco e a soli quattro punti dalla Fiorentina campione d’Italia. L’anno successivo, alla quinta giornata, proprio una vittoria a Firenze fece capire ai giocatori del Cagliari che avrebbero potuto vincere lo Scudetto: consapevolezza che rimase tale anche quando, a metà stagione, il difensore titolare Giuseppe Tomasini si ruppe il ginocchio terminando in anticipo il campionato, o quando Scopigno venne squalificato per il resto della stagione dopo un litigio con un guardalinee a Palermo.
A marzo, con il Cagliari primo in classifica, ci fu lo scontro diretto a Torino contro la Juventus — che aveva tentato più volte di comprare Riva, senza mai riuscirci — seconda a due punti di distanza. Dopo un autogol di Comunardo Niccolai — non a caso conosciuto come il “re dell’autogol” — e il successivo pareggio di Riva, nel secondo tempo il celebre arbitro Concetto Lo Bello fischiò un rigore alla Juventus: il rigore, che molti considerarono “generoso”, fu sbagliato dalla Juventus, ma Lo Bello decise di farlo calciare nuovamente per irregolarità nella battuta; alla seconda possibilità la Juventus segnò.
Pochi minuti dopo, però, Lo Bello fischiò un rigore a favore del Cagliari per una trattenuta in area ai danni di Riva e lo stesso Riva segnò, pareggiando. Il capitano del Cagliari, Cera, raccontò in seguito che era stato Lo Bello a suggerirgli di lanciare la palla verso Riva in area di rigore, facendogli capire che avrebbe fischiato rigore anche per il Cagliari, per compensare.
Dal pareggio di Torino il Cagliari mantenne il primo posto in classifica fino alla terzultima giornata, il 12 aprile 1970, quando con la vittoria in casa contro il Bari nel vecchio stadio Amsicora divenne la prima squadra isolana e del meridione d’Italia a vincere lo Scudetto. Il giornalista della Gazzetta dello Sport, Gianni Brera — lo stesso che aveva dato a Riva il soprannome “Rombo di tuono” — scrisse in seguito: «Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia. Fu l’evento che sancì l’inserimento definitivo della Sardegna nella storia del costume italiano. La Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l’ha avuta con il calcio, battendo gli squadroni di Milano e Torino, tradizionalmente le capitali del football italiano. Lo Scudetto le ha permesso di liberarsi da antichi complessi di inferiorità ed è stata un’impresa positiva, un evento gioioso».
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