Cosa potrebbe fare il coronavirus in Yemen
Nel paese con la peggiore crisi umanitaria al mondo è stato accertato il primo caso positivo: si teme un disastro, ma intanto potrebbe finire la guerra
Venerdì in Yemen è stato accertato il primo caso positivo al test del coronavirus. L’uomo, un 60enne lavoratore del porto della città di Al Shihir, sulla costa meridionale del paese, potrebbe avere contratto il virus da qualche pescatore straniero. Ora è ricoverato in ospedale, ma per prudenza le autorità locali hanno isolato completamente la città e hanno ordinato all’esercito di controllare che tutti stiano chiusi in casa propria. Se il coronavirus dovesse diffondersi, sostengono diverse organizzazioni umanitarie, potrebbe accadere un disastro. Sarebbe «uno scenario da incubo», ha detto l’International Rescue Committee, ong che si occupa di aiuti e sviluppo.
Da cinque anni, infatti, in Yemen si combatte una violenta guerra civile tra i ribelli houthi, sostenuti dall’Iran, e una coalizione di paesi arabi che appoggia il governo dell’ex presidente yemenita e che è guidata dall’Arabia Saudita.
La guerra ha provocato la peggiore crisi umanitaria oggi in corso nel mondo: ha ucciso decine di migliaia di persone, distrutto diverse città e ha contribuito alla diffusione di alcune malattie, tra cui il colera, a causa soprattutto della mancanza di acqua potabile e dello smantellamento di buona parte del sistema sanitario del paese. Venerdì, inoltre, il Programma alimentare mondiale dell’ONU ha annunciato la sua intenzione di dimezzare gli aiuti inviati a certe aree dello Yemen per mancanza di fondi.
«Se il coronavirus dovesse diffondersi, 30 milioni di persone sarebbero pericolosamente vulnerabili al contagio», ha scritto il giornalista Ben Hubbard sul New York Times.
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Per ora, comunque, le autorità hanno comunicato solo un caso in tutto il paese e il timore per la diffusione del coronavirus ha provocato conseguenze inaspettate.
Mercoledì, due giorni prima della notizia del primo positivo, l’Arabia Saudita aveva annunciato infatti un cessate il fuoco unilaterale per permettere l’avvio di negoziati con i ribelli houthi. Allo stesso tempo, i ribelli avevano presentato un proprio piano di pace in otto punti. L’ONU, che da anni sta tentando di mettere fine alla guerra, aveva detto di sperare che i negoziati tra le parti potessero iniziare la prossima settimana.
Non è ancora chiaro se l’intenzione delle due parti sia effettivamente quella di fare la pace: le posizioni sono molto distanti e le rispettive richieste non sono cambiate, nonostante il timore di un’epidemia da coronavirus. In particolare, i ribelli houthi chiedono la fine dell’embargo imposto dai sauditi sullo Yemen, responsabile di gran parte della crisi umanitaria in corso.
Alcuni credono che l’Arabia Saudita potrebbe davvero spingere per arrivare a un accordo, per diverse ragioni. La guerra, iniziata nel marzo 2015, era stata voluta da Mohammed bin Salman, oggi principe ereditario e persona più potente del regno. Il regime saudita pensava di poterla vincere rapidamente, ma le cose sono andate diversamente: i ribelli houthi hanno conquistato la capitale Sana’a e hanno costretto il precedente governo a scappare, e poi ad andare in esilio. Per l’Arabia Saudita, il costo della guerra in Yemen si è fatto sempre più grande, e potrebbe essere diventato insostenibile con la pandemia da coronavirus, che sta provocando un crollo della domanda mondiale di petrolio.
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Per il momento non è chiaro come i ribelli houthi risponderanno al cessate il fuoco unilaterale annunciato dall’Arabia Saudita. Nonostante abbiano presentato un piano di pace, infatti, i combattimenti non si sono mai fermati del tutto. Non è chiaro nemmeno come potrebbe influire una diffusione del coronavirus sulle sorti del conflitto. L’unica cosa certa, dicono autorità locali e organizzazioni internazionali, è che le conseguenze per la popolazione potrebbero essere devastanti.