Da oggi in Irlanda del Nord si può abortire
La legge che lo permette era entrata in vigore dieci giorni fa, ma parte del governo stava cercando di renderla di fatto inapplicabile per via dell'epidemia
Il 31 marzo in Irlanda del Nord è entrato in vigore il Northern Ireland Act 2019, una legge approvata dal parlamento britannico lo scorso luglio per estendere anche all’Irlanda del Nord una serie di diritti civili già in vigore nel resto del Regno Unito, tra cui l’interruzione volontaria di gravidanza. Nonostante questo, e fino a qualche ora fa, alle donne nordirlandesi continuava ad essere negato l’accesso all’aborto poiché il ministero della Salute locale non aveva dato la propria approvazione formale alle strutture sanitarie, sbloccando così i fondi. Dopo che i movimenti femministi e altre reti a favore della Salute riproduttiva avevano minacciato azioni legali, è infine arrivata la decisione del ministero che ha reso possibile abortire.
Prima dell’estensione della legislazione del Regno Unito sull’aborto, nell’Irlanda del Nord era in vigore il Criminal Justice Act, legge del 1945 che permetteva l’aborto solo in caso di rischio per la vita della donna, mentre lo vietava perfino in caso di stupro, incesto o malformazioni gravi del feto.
I due principali partiti del nuovo governo che si era formato lo scorso gennaio, gli unionisti del Partito Democratico Unionista (DUP) e i repubblicani del Sinn Féin, avevano posizioni opposte rispetto all’interruzione volontaria di gravidanza: il DUP, il maggiore partito protestante del paese guidato dalla prima ministra Arlene Foster, era contrario all’aborto in tutte le circostanze, mentre il Sinn Féin della vice prima ministra Michelle O’Neill era a favore della nuova legislazione che era ufficialmente entrata in vigore lo scorso 31 marzo.
Ciononostante, il dibattito si era bloccato su come gestire l’accesso al servizio di interruzione volontaria di gravidanza. Ma erano in molti a sospettare, aveva scritto tra gli altri il New York Times, che il ministro della Salute e la prima ministra stessero cercando di rallentare il processo, sperando di ostacolarlo del tutto, con il sostegno dei vescovi cattolici che avevano da poco pubblicato una lettera in cui mettevano in relazione l’aborto alle morti per COVID-19 e in cui chiedevano all’Assemblea dell’Irlanda del Nord di «non accettare docilmente la promulgazione» della legge.
Il problema principale della discussione, che in molti avevano giudicato pretestuosa, aveva a che fare con l’aborto farmacologico in telemedicina. Negli ultimi giorni, nel mezzo della pandemia, con gli ospedali sovraffollati per l’assistenza ai malati di COVID-19 e con il personale e i posti letto che scarseggiano, per garantire la possibilità di abortire il Regno Unito aveva approvato delle misure straordinarie per introdurre l’aborto telemedico in casa, cioè effettuato con farmaci e l’assistenza a distanza di un medico, estendendo il tempo limite dell’aborto farmacologico da 9 a 10 settimane.
Il RCOG, Royal College of Obstetricians and Gynaecologist, aveva poi emanato delle raccomandazioni sull’assistenza all’aborto volontario che, durante il periodo di pandemia da coronavirus, prevedono la sospensione delle normali procedure in uso: raccomanda la consultazione da remoto (video, telefono) per la valutazione pre e post aborto e suggerisce di evitare l’ecografia pre-aborto, sulla base dell’anamnesi, così come il prelievo di sangue.
Lunedì scorso, dopo una riunione del governo nordirlandese sulla questione, Foster aveva detto che sarebbe stata necessaria una «discussione approfondita» e che il ministro della Salute Robin Swann – che si è definito un pro-vita, cioè un antiabortista – avrebbe presentato dei documenti che sarebbero poi stati presi in considerazione. E aveva aggiunto: «Non penso sia un segreto che non ritengo che l’aborto su richiesta dovrebbe essere disponibile in Irlanda del Nord. Penso che sia un passo molto retrogrado per la nostra società». O’Neil aveva invece dichiarato di sostenere gli aborti per telemedicina, definendoli «un’assistenza sanitaria moderna». Mentre avveniva tutto questo, ci si chiedeva però perché la decisione sulla telemedicina avrebbe dovuto ritardare la possibilità di accedere all’interruzione di gravidanza nelle strutture sanitarie, come imponeva l’entrata in vigore della legge.
Il ministero della Salute non aveva infatti ancora dato il proprio via libera ai fondi per le interruzioni volontarie di gravidanza, e senza fornire spiegazioni, ma dicendo soltanto che l’accordo doveva essere rivisto alla luce dell’epidemia da coronavirus. Fiona Bloomer, ricercatrice presso la Ulster University, aveva detto che l’unica conclusione che si poteva trarre è che si trattava di una decisione politica: «Bloccare l’attuazione della legge». «Per essere chiare: il ministro della Salute sta dicendo alle persone in gravidanza di farsi un giro in traghetto di otto ore per Liverpool, di prendere un taxi per la clinica e poi di fare il lungo viaggio di ritorno immediatamente dopo l’appuntamento. Ciò che il ministro sta suggerendo è un grave pericolo per la salute pubblica che sarebbe incaricato di salvaguardare». I movimenti femministi, e diverse altre organizzazioni per la salute riproduttiva delle donne avevano dunque minacciato di portare la questione in tribunale.
Giovedì 9 aprile è infine arrivata la decisione del ministero che ha confermato che gli aborti potranno ora essere effettuati negli ospedali dell’Irlanda del Nord. I movimenti femministi stanno comunque continuando a chiedere l’approvazione, viste le circostanze eccezionali, anche dell’aborto farmacologico per telemedicina, già previsto nel resto del Regno Unito.