Perché “La casa di carta” piace così tanto
Dove inizia e come si è costruito il successo di questo "fenomeno globale", i cui primi episodi andarono in onda piuttosto inosservati sulla tv spagnola
È ora disponibile su Netflix la quarta parte di La casa di carta, la serie non in inglese più vista del servizio e, secondo i dati di Netflix, la sua serie in assoluto più popolare nel 2019 in Italia. La casa di carta è il più evidente esempio di quanto in poco tempo Netflix abbia stravolto il mercato in cui opera: solo qualche anno fa la serie non sarebbe nemmeno uscita dalla Spagna, mentre ora è uno dei prodotti di punta di un servizio che opera in quasi 200 paesi e ha 167 milioni di abbonati. È successo per una serie di incastri fortunati, ma anche e forse soprattutto perché Netflix – che certamente ha molti modi per capire e analizzare i gusti dei suoi utenti – ha voluto e saputo farlo succedere.
La casa di carta per chi non la guarda
Per chi è qui giusto per curiosità, la prima cosa da dire sulla Casa di carta è che – anche lasciando da parte i gusti personali – non è un capolavoro. Ma non lo è allo stesso modo in cui non lo è un qualsiasi Fast & Furious. Eppure entrambi hanno successo, perché danno a un gran pezzo di pubblico quello che quel pubblico vuole. Altre serie e altri film vincono premi e sotto molti versi sono facilmente definibili migliori, ma a moltissimi spettatori piacciono meno.
Nel caso della Casa di carta, gli ingredienti sono una storia semplice nelle premesse ma vivace nelle evoluzioni – basta aspettare qualche minuto, in qualsiasi episodio, perché ci sia qualche colpo di scena – e un azzeccato misto di scene d’azione, momenti da soap-opera, passaggi drammatici e dialoghi divertenti. La trama entra in tre righe: un gruppo di criminali senza niente da perdere, ognuno con un soprannome che è anche il nome di una città, prova a fare una complicatissima rapina. La rapina inizia dopo 15 minuti della prima puntata della prima stagione e, come ha scritto BBC, più che chiedersi come andrà la rapina, spesso ci si chiede «quali drammi interpersonali emergeranno tra i rapinatori, i loro ostaggi e i poliziotti».
Chi ha provato a spiegare come mai La casa di carta piaccia così tanto parla di solito dell’uso di certe immagini (i rapinatori indossano e fanno indossare una maschera di Salvador Dalì) e slogan (frasi perfette per diventare meme e girare su internet), e di un misto di elementi spagnoli (riferimenti a cose a volte oscure per uno spettatore italiano) ed elementi internazionali (come le citazioni di film americani o l’uso di una canzone come “Bella Ciao” e, nella quarta parte, di alcune altre canzoni italiane).
La serie, che tra gli altri piace molto a Stephen King, impiega alcune decine di ore per raccontare la sua storia perché ha diversi flashback, perché mette i suoi rapinatori davanti a problemi sempre nuovi da risolvere e perché, in tutto ciò, si dedica molto alle relazioni – spesso drasticamente volubili – che i protagonisti hanno uno con l’altro. Capita più volte, per esempio, che in un paio di episodi mutino alleanze e gerarchie.
Tutto lascia pensare che anche la quarta parte della serie sarà molto seguita. Sono infatti diversi giorni che La casa di carta è tra le serie più viste in Italia, grazie a chi stava vedendo o rivedendo i precedenti episodi in attesa di quelli nuovi. I pochi dati comunicati da Netflix parlano, per le prime tre stagioni, di diverse decine di milioni di spettatori complessivi.
Nel 2017 invece, quando il primo episodio della prima stagione andò in onda in Spagna in televisione, fu vista solo da 4 milioni di persone: andò molto bene (anche perché fu trasmesso subito dopo un’importante partita di Champions League tra Real Madrid e Atletico Madrid) ma non così tanto da far parlare di possibile futuro fenomeno globale. Anzi. Qualche mese fa uno degli sceneggiatori della serie ha detto che la prima stagione televisiva della serie fu «un fallimento».
Cos’era La casa di carta
La serie fu ideata da Álex Pina, ex giornalista diventato sceneggiatore, che ora ha 52 anni. Pina si era fatto notare in Spagna per la scrittura di altre serie (per esempio Vis a vis, nel frattempo anch’essa arrivata su Netflix) e nel 2016 aveva fondato Vancouver Media, la sua casa di produzione. Per il suo primo progetto con Vancouver Media era indeciso se scrivere una commedia o narrare la storia di una rapina. Scelse la seconda opzione, raccontando poi che gli parve un tema poco esplorato nella serialità televisiva. Ci lavorò con un po’ di persone con cui aveva collaborato nei suoi progetti passati, con un titolo di lavorazione che era Los Desahuciados (“gli sfrattati”). Uno degli scrittori ha raccontato che il processo di scrittura seguì spesso il modo di ragionare del “Professore” (l’uomo che assolda e guida i rapinatori): pensare a possibili problemi e ostacoli e farsi venire idee su come risolverli (cercando, quando serve, di rendere i rapinatori molto sagaci e i poliziotti tonti quanto basta).
Vancouver Media trovò un accordo con Antena 3, uno dei più seguiti canali televisivi spagnoli, che tra le altre cose trasmette o ha trasmesso Los Simpson, ¿Quién quiere ser Millonario? e La Ruleta de la suerte. Le prime due parti della serie furono girate tra il gennaio e l’agosto 2017: per il primo episodio ci volle quasi un mese, per ognuno degli altri un paio di settimane, in media. Netflix non ebbe nessun ruolo.
La prima parte della prima stagione andò in onda su Antena 3 il martedì sera, tra maggio e giugno; la seconda parte, spostata al lunedì, fu trasmessa tra ottobre e novembre. Nel frattempo gli spettatori erano calati notevolmente, fino a dimezzarsi. Dopo un ottimo inizio la serie, pensata comunque per non andare oltre la prima stagione, non sembrava destinata a essere particolarmente ricordata o rimpianta.
E poi Netflix
Nel frattempo, nel luglio 2017, un po’ di settimane dopo che Antena 3 aveva trasmesso la prima parte della prima stagione, Netflix Spagna mise online a sua volta la prima parte della serie, in base a un accordo simile per cui è stato possibile vedere Don Matteo su Netflix oltre che sulla Rai.
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Forse perché guidata da qualche dato positivo, o magari anche solo per l’intuito di qualcuno, negli ultimi mesi del 2017 Netflix decise, nonostante i non entusiasmanti risultati spagnoli, di acquisire i diritti per mostrare La casa di carta in tutto il mondo.
Prima di farlo, però, Netflix cambiò un po’ la serie. Su Antena 3 erano andati in onda 15 episodi lunghi ognuno più di un’ora, com’era solito in base agli standard spagnoli. Netflix decise di montarli in un altro modo e alla fine ottenne, ovviamente senza girare nessuna scena nuova, 22 episodi lunghi ognuno meno di un’ora, in genere 45-50 minuti. Fu possibile anche perché la serie aveva così tanti colpi di scena che era pieno di momenti in cui far finire un episodio con la ragionevole certezza che la maggior parte degli spettatori avrebbe voluto guardare il successivo. Netflix fece anche doppiare la serie per chi avesse voluto guardarla senza sottotitoli.
La prima parte di questa rinnovata versione della Casa di carta fu resa disponibile, anche fuori dalla Spagna, nel dicembre 2017, senza essere molto promossa. La seconda parte arrivò nell’aprile 2018.
La svolta più importante arrivò nel luglio 2018, quando la serie divenne in tutti i sensi una serie di Netflix: nel senso che fu fatto un accordo direttamente con Pina per la realizzazione insieme di una seconda stagione (a sua volta divisa in due parti) da rendere disponibile direttamente su Netflix e in tutto il mondo. La terza parte arrivò online – tutta in una volta, come da tradizione su Netflix – nel luglio 2019. Secondo Netflix, 24 milioni di spettatori la guardarono tutta in meno di una settimana. La quarta è arrivata adesso ed è probabile che, anche per via delle molte persone con più tempo libero del solito, possa avere risultati persino migliori.
Cosa è successo
La riduzione della durata degli episodi certamente ha aiutato, ha ammesso lo stesso Pina: a vederla ora sembra pensata apposta per essere consumata online, un episodio dopo l’altro. Ed è certo che la terza e la quarta parte abbiano goduto delle maggiori possibilità di spesa messe a disposizione da Netflix e, in generale, di tutte le competenze acquisite dalla piattaforma (sebbene anche chi lavori alla Casa di carta, così come moltissimi altri collaboratori di Netflix, abbia detto di apprezzare molto la libertà creativa lasciata dall’azienda).
Qualcuno sostiene che la serie, spesso descritta come “anti-sistema” e da qualcun altro addirittura “grillina”, abbia sfruttato un’onda favorevole legata a diversi tipi di proteste che proprio tra il 2018 e il 2019 ebbero successo in diverse aree del mondo.
Dalla terza stagione in poi si può dire che La casa di carta stia avendo successo anche per come e quanto Netflix la promuove. Ma la serie ebbe successo anche prima. Qualche mese fa Javier Gómez Santander, uno degli sceneggiatori della Casa di carta, ha detto a El Mundo che «su Netflix la serie finì in mezzo a tante altre, che è come finire in un cassetto di calzini dove nessuno guarda mai» e che da lì fu «salvata dall’algoritmo», che evidentemente la propose a un numero di utenti sufficiente per fare sì che se ne parlasse e che le maschere di Dalì diventassero, un po’ come anni prima le maschere di Guy Fakes di V per Vendetta, un simbolo usato in gran parte del mondo (e qualcosa di simile è successo anche a “Bella ciao”).
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La realtà quindi è che non c’è un’unica spiegazione. Netflix all’inizio si ritrovò la serie in un mazzo, insieme ad altre, e solo dopo diversi mesi decise di investirci direttamente. La casa di carta ha di certo alcune peculiarità e caratteristiche che, sebbene non piacciano a diversi critici, la rendono particolarmente efficace e godibile agli occhi di molti. Ha avuto la fortuna e il merito di farsi strada quel tanto che bastava per far capire a Netflix di puntarci forte. Il suo successo, quindi, dice anche molto di quello che sta riuscendo a fare Netflix: puntare su produzioni locali anche per il suo mercato internazionale, sapendo che più aumenta l’offerta di serie e più può capitare che salti fuori una serie come La casa di carta.