Quante sono davvero le persone contagiate?
L'Imperial College di Londra stima che in Italia sia stata contagiata una persona su dieci e che le restrizioni abbiano salvato migliaia di vite, ma sono numeri da prendere con cautela
L’Imperial College London – una delle più importanti università pubbliche del Regno Unito – ha pubblicato un nuovo rapporto sull’epidemia da coronavirus, stimando che le limitazioni agli spostamenti imposte in buona parte dell’Europa nelle ultime settimane abbiano contribuito a evitare fino a 120mila morti. I ricercatori hanno inoltre valutato che a oggi le infezioni da coronavirus abbiano interessato tra il 2 e il 12 per cento della popolazione europea, una quantità di persone ben superiore rispetto ai casi positivi rilevati tramite i test. Lo studio, che va preso con qualche cautela, invita i paesi europei a proseguire con le misure di distanziamento sociale, necessarie per contenere l’epidemia e per ridurre lo stress sui sistemi sanitari in grandi difficoltà.
Il rapporto è stato realizzato da matematici e statistici dell’Imperial College London nell’ambito di una collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per stimare l’andamento delle epidemie e le loro evoluzioni. Periodicamente viene prodotto un nuovo rapporto, che può poi essere utilizzato dai governi nazionali e dalle organizzazioni internazionali per valutare l’efficacia dei loro provvedimenti in ambito sanitario.
Il rapporto
Lo studio è basato su modelli statistici e di previsione dell’epidemia, partendo dai dati reali forniti dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), l’agenzia dell’Unione Europea che si occupa di malattie infettive. Tra le sue attività, l’ECDC si fa carico di raccogliere i dati provenienti dai vari paesi europei, cercando di coordinare le loro attività di rilevazione su nuovi contagi, casi totali e decessi dovuti a malattie come la COVID-19.
Il modello utilizzato nell’ultimo rapporto si è concentrato sul numero di riproduzione di base (R0), cioè il numero di persone che in media vengono contagiate da una persona infetta. Più il numero è alto, più l’epidemia ha possibilità di diffondersi tra la popolazione, mentre se scende al di sotto di 1 l’epidemia inizia a rallentare.
I ricercatori hanno assunto che i cambiamenti in R0 siano un buon indicatore per capire l’andamento delle misure restrittive, in tempi relativamente brevi. Dalle loro analisi statistiche è emerso che in effetti i paesi dove sono state adottate le limitazioni hanno ridotto R0 sensibilmente, rallentando quindi la diffusione dell’epidemia.
Fino a 120mila morti in meno
L’analisi ha interessato 11 paesi europei: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Il modello dice che grazie alle misure restrittive si sono evitate tra le 21mila e le 120mila morti al 31 marzo. Secondo le stime degli autori del rapporto, nelle prossime settimane potranno essere salvate altre decine di migliaia di vite, considerato che molte persone hanno contratto il coronavirus nell’ultima settimana e devono ancora sviluppare i sintomi. La COVID-19 ha un periodo di incubazione fino a 14 giorni, quindi significa che dal momento in cui si viene contagiati a quando si sviluppano i primi sintomi possono trascorrere fino a due settimane.
Negli ultimi giorni il modello dell’Imperial College ha mostrato di mantenersi aderente ai dati reali. La previsione per l’Italia, per esempio, era che entro il 28 marzo si registrassero circa 10mila morti a causa del coronavirus: non si è discostata di molto dalla rilevazione di 10.023 morti. Secondo il modello, a fine marzo grazie alle misure restrittive si sono evitate 38mila morti legate al coronavirus solo in Italia; il dato è compreso nell’intervallo tra 13mila e 84mila.
Come è piuttosto evidente ormai da giorni, il numero effettivo di morti in Italia è comunque superiore a quello comunicato dalla Protezione Civile, sulla base delle informazioni fornite dalle Regioni. Solo nella provincia di Bergamo, la più interessata dall’epidemia, si è registrato un aumento considerevole di decessi rispetto agli anni precedenti, che fa sospettare una grande quantità di morti che non sono state ricondotte alla COVID-19.
I ricercatori hanno usato il loro modello per fare una stima sui contagiati, considerato che il sistema con i test fornisce un quadro molto parziale della situazione. Secondo il rapporto, si stima che a oggi siano stati contagiati tra i 7 e i 43 milioni di persone negli 11 paesi compresi nell’analisi. Questo significherebbe che sarebbe stata coinvolta tra il 2 e l’11 per cento circa della popolazione.
Secondo il modello in Italia sarebbe ormai stato contagiato il 9,8 per cento della popolazione, con un intervallo tra il 3,2 e il 26 per cento. Secondo i dati della Protezione Civile, i casi positivi rilevati finora sono 101.739 (lo 0,2 per cento della popolazione), quindi una frazione di quelli stimati con il modello del rapporto: l’Italia risulterebbe il secondo paese con il maggior numero di persone contagiate, quasi 6 milioni, rispetto ad altri paesi europei dove l’epidemia è iniziata più tardi e quindi non ha ancora avuto modo di diffondersi. Il modello stima che in Spagna sia stato ormai contagiato il 15 per cento della popolazione, con un intervallo tra il 3,7 e il 41 per cento.
Quindi?
Il nuovo rapporto dell’Imperial College sta facendo molto discutere sia per i risultati sia per le modalità con cui è stato costruito il modello per fare le previsioni. La base stessa del modello non è la stima dei casi totali positivi, ma la valutazione degli effetti delle misure restrittive su R0, che come abbiamo visto indica quante persone vengono contagiate in media da ogni infetto.
Complice la scarsa aderenza alla realtà dei dati su casi positivi rilevati e decessi, le stime del modello mantengono una considerevole incertezza. Prendiamo per esempio l’intervallo dell’Italia sulla percentuale di popolazione contagiata: nella stima più ottimistica è il 3,2 per cento, in quella più pessimistica è il 26 per cento. Nel primo caso vorrebbe dire che sarebbero interessati quasi 2 milioni di persone, nel secondo quasi 16 milioni: non è una differenza da poco. Se spalmassimo sulle prossime settimane il dato più pessimistico, arriveremmo in poco tempo al contagio dell’intera popolazione, circostanza alquanto improbabile.
Per il loro modello, i ricercatori hanno utilizzato un tasso di letalità – cioè la percentuale di persone infette con sintomi che muore di COVID-19 – pari allo 0,9-1,1 per cento per tutti i paesi compresi nello studio. Lo scopo della ricerca non era infatti stimare il tasso di letalità, ma utilizzare il tasso noto per fare previsioni sulla quantità di popolazione contagiata.
Diversi esperti hanno invitato a prendere con molta cautela i risultati del rapporto, considerato che a pochi mesi dall’inizio dell’epidemia non ci sono ancora statistiche solide per fare previsioni affidabili. Gli stessi autori segnalano nella loro ricerca che i risultati sono fortemente condizionati da Italia e Spagna, i paesi con il maggior numero di casi positivi rilevati e di decessi.
Pur con le cautele che si devono sempre adottare leggendo un rapporto con stime e modelli predittivi, il lavoro dell’Imperial College è tra i primi a fornire qualche valutazione sull’efficacia delle misure restrittive adottate per ridurre la diffusione dell’epidemia da coronavirus. In assenza di quei provvedimenti, diversi paesi non solo avrebbero avuto un maggior numero di contagi in breve tempo, ma avrebbero anche registrato un numero più alto di morti a causa del collasso dei loro sistemi sanitari.