Cosa succede quando il calcio si ferma
L'ultima volta che i campionati furono sospesi, in Italia e in Ungheria si diffusero le idee che portarono il calcio nella modernità: cosa potrebbe cambiare oggi?
di Pietro Cabrio
Il gioco del calcio, uno dei più grandi fenomeni culturali esistenti e tra le forme di intrattenimento più diffuse al mondo, si è fermato ovunque a causa della diffusione del coronavirus. Non sappiamo ancora con certezza quanto tempo ci vorrà per rivedere una partita di Serie A, Premier League o UEFA Champions League: sicuramente non succederà prima dell’estate, nel migliore dei casi.
Ci sono grosse questioni aperte sul piano economico e gestionale: anche le squadre di calcio sono aziende, e come ogni altra azienda hanno visto ridursi moltissimo i loro introiti con conseguenze che porteranno a ridiscutere contratti, sponsorizzazioni e regole condivise come quelle del cosiddetto Fair Play Finanziario.
Ma oltre a sconvolgere la stagione in corso, una sospensione così lunga e omogenea potrà avere ripercussioni anche a lungo termine, nell’evoluzione del gioco. È quello che accadde infatti oltre settant’anni fa, quando la Seconda guerra mondiale fermò il calcio in tutta Europa. In quegli anni si diffusero le idee alla base dei successi di squadre che fecero la storia del calcio, e che lo portarono nella modernità.
Insieme agli stati dell’Europa danubiana, l’Italia fu uno dei paesi protagonisti di questo sviluppo nella metà del Novecento. Il “Grande Torino” degli anni Quaranta fu infatti la prima squadra moderna e vincente del campionato italiano. Grazie al lavoro del presidente Ferruccio Novo, del commissario tecnico Vittorio Pozzo e dell’allenatore ungherese Erno Erbstein — quest’ultimo morto a Superga con il resto della squadra — quel Torino diede slancio all’evoluzione del calcio europeo e divenne una delle basi per le successive “rivoluzioni” calcistiche.
Fu Erbstein in particolare a rendere il Torino — dal 1938 in poi — una squadra come in Italia non si era mai vista. Anche durante la guerra, nonostante le persecuzioni a cui dovette sfuggire con la famiglia tra Italia, Germania e Ungheria, continuò a lavorare per la società e riuscì a far prevalere le sue idee ispirate allo stile di gioco offensivo dell’allenatore inglese Herbert Chapman — ideatore del “WM”, il sistema che introdusse il modulo del 3-4-3 — che già nel 1943 erano valse uno Scudetto.
Il “sistema” di Erbstein entrò in competizione con la filosofia “metodista” di Vittorio Pozzo, il più influente allenatore italiano dell’epoca, il quale preferiva un gioco più difensivo e l’uso di un centro mediano metodista davanti alla difesa come fulcro imprescindibile del gioco. Il calcio italiano era ancora molto legato al “metodo” con cui erano stati vinti i Mondiali del 1934 e del 1938, e quasi tutte le squadre erano solite giocare con il modulo 2-3-5. Ma i successi della prima squadra “sistemista” a vincere lo Scudetto cambiarono le carte in tavola.
Prima della guerra era stata l’Austria ad anticipare il “sistema” con il suo Wunderteam d’ispirazione britannica, che venne poi superato dalla vicina Ungheria, la quale divenne l’avanguardia calcistica dell’epoca. Tutto partì durante la sospensione dei campionati, quando l’allenatore ungherese Marton Bukovi ideò una variante del “sistema” con una trovata ritenuta ancora oggi una delle più influenti nella storia del calcio.
Capovolse la “M” del “WM” spostando due giocatori in attacco e tre a sostegno. In questo modo allontanò il centravanti dall’area di rigore, facendolo diventare quasi un centrocampista, ma con licenza di lanciarsi in profondità verso l’attacco: nacque così il modulo 4-2-4 e il ruolo del “falso 9” reso famoso nei nostri anni da Lionel Messi grazie alle intuizioni del suo ex allenatore Pep Guardiola (che in merito disse la celebre frase: «Non abbiamo bisogno di centravanti, il nostro centravanti è lo spazio»).
Successivamente, un altro allenatore ungherese, Gusztav Sebes, completò il lavoro. Influenzato in precedenza dal “sistema” del Torino di Erbstein, si ispirò alla trovata di Bukovi per introdurre un’ultima e definitiva variazione alla fase offensiva. Quest’ultimo, infatti, aveva inventato il “falso 9” mentre allenava la Dinamo Zagabria per sopperire alla mancanza di centravanti di stazza. Sebes però un centravanti lo aveva eccome: si chiamava Sándor Kocsis, formidabile colpitore di testa.
Pensò quindi di mantenere una coppa di attaccanti e di spostare dietro di loro, e al centro, Nandor Hidegkuti, un giocatore tecnico e rapido con un gran tiro dalla distanza, che divenne il primo trequartista nella storia del calcio. Nei primi anni cinquanta, insieme a una generazione di fenomeni capitanata dal fuoriclasse Ferenc Puskás, Sebes formò la “squadra d’oro” ungherese, ricordata ancora oggi come una delle più importanti nella storia del calcio.
Le innovazioni introdotte dagli allenatori ungheresi diedero al calcio un forma moderna strettamente collegata alle tendenze dei nostri giorni. In quell’epoca, tuttavia, il calcio era ancora una disciplina “giovane” e quindi più soggetta a grandi e rapidi cambiamenti. Oggi il calcio si trova invece in una fase di massima evoluzione in cui le innovazioni hanno impatti ridotti: riguardano principalmente la cura di quanti più dettagli possibili, come ha spiegato sul Guardian il giornalista inglese Jonathan Wilson in un recente articolo sui cambiamenti che potremmo vedere quando si ritornerà a giocare.
Come dimostrato dalle vittorie internazionali più recenti, soprattutto quelle della Francia di Didier Deschamps ai Mondiali in Russia e del Liverpool di Jürgen Klopp in Europa, negli ultimi anni si è imposto uno stile di gioco fatto di aggressività, pressing e transizioni rapide verso l’attacco. Questo ha prevalso sul tiqui-taca, il sistema di gioco costituito principalmente da un prolungato possesso palla usato per sbilanciare gli avversari che ha fatto le fortune del Barcellona e del calcio spagnolo.
Poco prima della sospensione delle coppe, però, il Liverpool emblema del calcio di questi anni è stato eliminato in Champions League dall’Atletico Madrid, squadra famosa per il suo gioco difensivo e attendista, esattamente l’opposto delle ultime tendenze. Una sola sconfitta non cambia molto, ma in una dimensione professionistica dove il numero di partite è sempre maggiore a discapito del tempo dedicato allo studio e agli allenamenti, una sospensione così lunga potrà favorire lo sviluppo di nuove teorie. Non è quindi escluso che il calcio si possa ripresentare diverso da come lo abbiamo lasciato.