Cosa sta succedendo negli Stati Uniti
È il paese con più contagi al mondo: il governo ha approvato grossi aiuti economici, ma le amministrazioni di stati e grandi città dicono di non avere le risorse per affrontare l'epidemia
Sono ora più di 100mila le persone risultate positive al coronavirus (SARS-CoV-2) negli Stati Uniti, che già giovedì scorso erano diventati il paese con il maggior numero di contagi al mondo, superando Cina e Italia.
A oggi negli Stati Uniti ci sono focolai di coronavirus in diversi stati e la situazione più grave è intorno alla città di New York. La gestione della crisi è resa più complicata dal fatto che i singoli stati hanno diverse competenze in materia di sanità e si stanno comportando in maniera assai varia, con risorse molto diverse. I sindaci di 213 città degli Stati Uniti hanno dichiarato che non hanno risorse sufficienti per fornire al personale sanitario i dispositivi di protezione individuale, e che non hanno modo di procurarli.
New York
Lo stato di New York, dove si concentra poco meno della metà dei contagi a oggi individuati, ha migliaia di nuovi casi al giorno e secondo la stima del governatore Andrew Cuomo il picco dell’epidemia è atteso fra due o tre settimane.
A venerdì, nello stato, erano più di 44.600 i casi confermati di coronavirus, con un aumento di 7.300 contagi dal giorno precedente. Le morti legate al coronavirus sono state finora in tutto 519 e il governatore dello stato ha prolungato la chiusura delle scuole fino al 15 aprile.
Nella città di New York, il numero dei contagi ha superato i 26mila, e i morti per coronavirus sono stati 450. Durante una conferenza stampa tenuta venerdì, il sindaco di New York Bill de Blasio ha fatto sapere che sta prendendo in considerazione di mettere una sanzione di 500 dollari a coloro che violeranno le restrizioni e ignoreranno i richiami della polizia. De Blasio ha anche detto che la città ha risorse sufficienti per gestire l’epidemia fino al 5 aprile, e ha ribadito la necessità di un intervento da parte del governo federale.
La Louisiana e New Orleans
I casi confermati in Louisiana sono circa 2700: pochi ma in rapida crescita. Il governatore dello stato John Bel Edwards ha detto che la velocità a cui crescono i contagi nello stato è paragonabile a quella dell’Italia e della Spagna. Trump ha approvato che Bel Edwards dichiarasse lo stato di calamità, un istituto che permette di sbloccare fondi federali aggiuntivi per cercare di contenere l’epidemia.
Una delle ragioni che potrebbe spiegare l’alto numero di contagi nello stato è che l’ultima settimana di febbraio a New Orleans si è festeggiato, come ogni anno, il Mardi Gras, una settimana di partecipatissime feste pubbliche, concerti e parate che affollano i locali e le strade. È l’evento più famoso della città, che potrebbe aver favorito enormemente la diffusione dei contagi, hanno spiegato gli epidemiologi.
A New Orleans sono tre gli ambulatori dove si può ricevere un tampone, ma venerdì uno dei tre ha raggiunto in due ore il limite di 250 test giornalieri che è in grado di esaminare.
Gli altri stati
La California è il terzo stato degli Stati Uniti per numero di contagi, dopo lo Stato di New York e il New Jersey, dove sono stati fin qui registrati 9.000 casi: finora, si sono registrati quasi quattromila casi, e 78 persone sono morte, delle quali quasi un terzo nell’area di Los Angeles. Anche a San Francisco ci sono stati molti casi, ma sono stati fatti progressi significativi nell’abbattimento della curva dei contagi. È successo anche a Seattle, nello stato di Washington, che ha un numero di casi registrati paragonabile alla California.
In Michigan il numero dei casi confermati è arrivato a 3.600 circa, ed era 350 soltanto una settimana fa. A Detroit ci sono quasi 500 gli agenti di polizia in quarantena, dopo che 39 di loro sono risultati positivi al coronavirus. In Illinois, Chicago si sta preparando per un picco di casi: i centri congressi della città saranno trasformati in centri di cura per i contagiati, come è stato già fatto a New York.
Gli aiuti pubblici
Per rispondere all’emergenza, il Parlamento statunitense ha approvato un piano da 2mila miliardi di dollari per tutelare l’economia dalle ricadute della pandemia di coronavirus, elaborando quello che è stato definito il più grande piano di salvataggio economico della storia del paese. L’accordo è stato il risultato di difficili negoziati con la Casa Bianca, ed è stato adottato alla fine con il sostegno di Democratici e Repubblicani. Il pacchetto prevede un assegno da 1.200 dollari per gli adulti al di sotto di un certo reddito, più 500 dollari per i bambini; stabilisce prestiti agevolati e aiuti alle aziende più colpite dalla crisi e comprende un aumento della spesa per i contributi di disoccupazione e per gli ospedali. Il presidente Donald Trump lo ha firmato venerdì trasformandolo in legge, e ha ringraziato «Democratici e Repubblicani per aver collaborato mettendo l’America al primo posto».
I respiratori, General Motors e il Defense Production Act
Dopo aver ricevuto moltissime critiche da parte delle amministrazioni di stati e grandi città che avevano chiesto aiuto nella gestione sanitaria dell’epidemia di coronavirus, Trump ha annunciato che il governo federale comprerà migliaia di respiratori da diversi produttori, anche se sembra improbabile che possano essere effettivamente prodotti in tempo, dato che moltissimi ospedali sono già travolti dall’emergenza.
Trump ha anche detto che, per imporre ad aziende come General Motors di cominciare a produrre respiratori, applicherà il Defense Production Act, una legge federale del 1950, che era stata emanata all’inizio della guerra di Corea e mai abrogata, che permette al governo federale di obbligare le aziende a riconvertire la propria produzione abituale nella produzione di beni necessari al paese.
Per settimane Trump era sembrato riluttante ad applicare il Defence Production Act: aveva dichiarato che la legge si avvicinava un po’ troppo alla nazionalizzazione della libera impresa e aveva fatto addirittura paragoni con il governo socialista del Venezuela.
L’ha però applicata il 18 marzo, quando ha firmato un decreto per dare priorità nell’assegnazione di risorse al dipartimento della Salute, e il 23 marzo, quando ha firmato un decreto per vietare alla popolazione di accumulare dispositivi sanitari.
Lo ha applicato una terza volta venerdì firmando, appunto, un decreto che obbliga General Motors, con cui aveva negoziato fino a poco prima, a produrre respiratori. «General Motors stava perdendo tempo» ha detto Trump spiegando la sua decisione di interrompere le negoziazioni con l’azienda.