Come sarà l’ospedale nella Fiera di Milano
Avrà duecento posti letto, soprattutto di terapia intensiva, e sarà costruito in poche settimane: una cosa mai vista
di Luca Misculin
Da alcuni giorni sono iniziati i lavori per costruire un ospedale di emergenza all’interno della Fiera di Milano, un centro congressi enorme e parzialmente abbandonato vicino al centro della città. L’ospedale è stato progettato per ospitare i pazienti che hanno bisogno di cure contro il coronavirus. Anche in altre città lombarde si stanno attrezzando o sono già stati attrezzati alcuni ospedali “da campo” per gestire le centinaia di pazienti che non trovano più posto negli ospedali; quello di Milano sarà però il più grande, e in un certo senso l’unico del suo genere per la quantità delle risorse mobilitate e il sostegno che potrà garantire agli altri ospedali lombardi.
L’ospedale nella Fiera sarà costruito nei padiglioni 1 e 2 della cosiddetta FieraMilanoCity, cioè il vecchio centro congressi di Milano, sostituito nel 2005 da quello di Rho (il centro che nel 2015 ospitò Expo). Si trova a nordovest del centro della città, fra il Parco Sempione e l’ippodromo di San Siro, in una delle zone meglio collegate della città. La sua posizione ha probabilmente avuto un certo peso nella scelta di questo spazio.
Le prime strutture di FieraMilanoCity furono costruite nel 1906 per ospitare l’Esposizione universale dei Trasporti.
Nel secolo successivo l’area fu ingrandita più volte, fino a comprendere 26 padiglioni, che però nel 2006 furono quasi tutti demoliti per lasciare spazio a un nuovo quartiere chiamato CityLife. Sono rimasti in piedi soltanto quattro padiglioni, i più periferici. Ancora oggi i padiglioni 3 e 4 ospitano fiere ed esposizioni, mentre i padiglioni 1 e 2 sono rimasti vuoti e semi-abbandonati. Almeno fino a tre settimane fa, quando la regione Lombardia li ha scelti per ospitare il nuovo ospedale.
«Il primo problema è stato proprio quello di creare un ospedale in un posto strutturato per ospitare esposizioni», ha raccontato al Post Carlo Settembrini, che sta collaborando alla realizzazione dell’ospedale come referente del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta (CISOM), la divisione dell’ordine religioso cattolico che lavora a stretto contatto con la Protezione Civile.
Parliamo di un’area grande circa 25mila metri quadri, cioè come tre campi da calcio, dai soffitti altissimi e del tutto simile a un enorme, polveroso garage. Il contrario, insomma, di come si immagina un ospedale.
In Italia un progetto del genere non è mai stato realizzato, soprattutto nel mezzo di un’emergenza sanitaria in evoluzione che costringe a rivedere ogni giorno i piani: è una difficoltà che hanno sottolineato tutte le persone con cui il Post ha parlato del nuovo ospedale.
Il progetto è cambiato più volte, l’ultima a pochi giorni dall’inizio dei lavori. La prima idea era quella di mettere in piedi una struttura di emergenza da 400 posti letto e poco altro: più o meno come i tendoni che stanno spuntando all’esterno degli ospedali lombardi più coinvolti nell’emergenza.
I piani iniziali sono stati ribaltati poco dopo che la Regione Lombardia aveva deciso di assumere come consulente l’ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso. Da metà marzo, la realizzazione dell’ospedale in Fiera è stata messa quasi completamente nelle sue mani e in quella del suo staff. Bertolaso ha chiamato 15-20 persone dal CISOM, il Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta, fra ingegneri, architetti, esperti di gestione delle emergenze e manager dalla competenze più varie. Qualche giorno fa è arrivato anche lo chef Carlo Cracco, che ha cucinato risotto e frittata alle verdure per tutti.
Allo staff di Bertolaso si sono aggiunte diverse altre figure: i due ingegneri che hanno curato il progetto finale, i funzionari della Fondazione Fiera, che possiede materialmente i padiglioni, alcuni consulenti scientifici come Massimo Galli, il noto infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, e naturalmente gli operai. I lavori sono iniziati il 19 marzo e non si sono mai fermati: 200 persone si sono organizzate per coprire tre turni diversi su tutte le 24 ore, in modo da finirlo nei tempi più rapidi possibili.
«Da quello che ho capito, è più facile costruire un ospedale in uno spazio vuoto che adattare una struttura esistente», ha detto Settembrini.
È un problema di impianti elettrici che vanno adattati, stanze che devono essere riprogettate, competenze che devono essere incrociate per essere sicuri di non sbagliare nulla. E di tempo, soprattutto in questo caso. Per tutte queste ragioni, la soluzione più rapida è stata quella di affidarsi a strutture prefabbricate: dei container, in pratica.
I container sono chiamati moduli e possono ospitare stanze fino a dieci posti letto, ma non solo. «Non abbiamo voluto creare un lazzaretto, non abbiamo voluto creare capannoni con brandine», ha spiegato di recente Bertolaso: «Sarà una grande struttura dotata di tutti i servizi diagnostici per un centro di questo livello».
Dalle ultime informazioni disponibili, l’ospedale in Fiera avrà una sala operatoria, un reparto di radiologia e uno di cardiologia, per poter gestire al meglio i pazienti con un quadro clinico complesso, oltre a stanze per la decontaminazione, sale di svago per il personale sanitario e tutto quello che si trova negli ospedali delle grandi città.
A rendere questo ospedale diverso dagli altri sarà la destinazione. Una volta completato, l’ospedale in Fiera comprenderà circa 200 posti letto dedicati esclusivamente a due reparti: terapia intensiva e sub-intensiva. Sono quelli che accolgono i pazienti più gravi affetti da coronavirus, che ormai da giorni gli ospedali della regione non sono in grado di gestire da soli.
La maggior parte dei posti letto dovrebbe essere assegnata alla terapia intensiva, dove sono ricoverati i pazienti intubati (i più gravi). Il numero di posti letto delle terapie intensive è molto superiore rispetto a quello registrato in “tempo di pace”: al momento in tutta la Lombardia sono circa 1.200 i pazienti nelle terapie intensive, mentre prima della crisi i posti letto erano 724.
Nei giorni scorsi la Fiera aveva parlato di 154 posti letto in terapia intensiva a regime, le ultime ipotesi in ordine di tempo ne stimano 180, ma ad oggi è difficile stabilire con precisione quanti saranno: molto dipenderà dalle esigenze effettive, una volta che inizieranno ad arrivare.
Qualche giorno fa è successo un imprevisto diverso da tutti gli altri: Bertolaso è stato trovato positivo al coronavirus ed è stato costretto ad isolarsi dai suoi collaboratori e dal cantiere. «L’intoppo è durato quindici minuti, il tempo di rendersi conto di quello che era successo e dire: “andiamo avanti”», ha minimizzato Settembrini, secondo cui Bertolaso è rimasto in contatto con le persone che seguono il cantiere.
Del resto, la prima fase dei lavori si sta per concludere. I primi quattro moduli con 32 posti letto saranno resi disponibili nella prima settimana di aprile. Gli altri apriranno nelle settimane successive. Sembra infatti che siano state trovate anche le cose che mancavano per rendere i due padiglioni della Fiera un vero ospedale: il personale sanitario e i macchinari per la rianimazione.
Dal punto di vista formale, l’ospedale sarà considerato un distaccamento del Policlinico di Milano, l’ospedale della città più coinvolto nell’emergenza, che già oggi destina un terzo dei suoi 900 posti letto ai pazienti affetti da COVID-19. Nei giorni scorsi, ancora prima che il suo ruolo diventasse ufficiale con una delibera della regione Lombardia approvata il 27 marzo, il Policlinico si era attrezzato per farsi trovare pronto. Oggi ha praticamente finito di costruire il sistema informatico che gestirà le cartelle cliniche dei pazienti, e ha già stabilito che due dei suoi primari specializzati nella terapia intensiva coordineranno i lavori nell’ospedale in Fiera.
Altri dipendenti del Policlinico saranno coinvolti nella formazione delle persone che lavoreranno in Fiera, che saranno esterne. In parte si attingerà ai due bandi che la Lombardia aveva attivato nei giorni scorsi per richiamare in servizio medici e infermieri in pensione, e altri che si sono appena specializzati; in parte saranno chiamati alcuni medici che hanno risposto al recente bando della Protezione Civile per assumere 300 persone da distribuire negli ospedali più coinvolti nella gestione del contagio.
Intervistato qualche giorno fa da Unomattina, l’assessore della regione Lombardia alla Protezione Civile, Pietro Foroni, aveva aggiunto che «tramite la Croce Rossa internazionale dovrebbe arrivare un importante quantitativo di medici dalla Cina», ma non è chiaro se l’ipotesi sia ancora in piedi.
Sul sito dell’ospedale, inoltre, chiunque voglia lavorare nella struttura è invitato a mandare il proprio curriculum ad alcuni indirizzi mail del CISOM: i curriculum saranno poi selezionati dalla Regione.
Per quanto riguarda i macchinari, una settimana fa Foroni aveva parlato di «difficoltà» legate «all’approvvigionamento dei respiratori e dei ventilatori», cioè dei macchinari necessari in un reparto di terapia intensiva. La Regione aveva fatto sapere che avrebbe cercato i macchinari necessari «sul mercato internazionale», cioè direttamente dalle aziende che li producono. Già il 21 marzo, però, il Corriere della Sera aveva scritto che «sul fronte macchinari le certezze che servivano sono arrivate e l’approvvigionamento di materiali è quasi completato».
La famiglia di imprenditori monzesi Rovati ha comprato 260 ventilatori polmonari da un’azienda cinese, pagandoli circa due milioni di euro. La società Arexpo, proprietaria dei terreni dove si è tenuto Expo 2015, ha donato lettini, carrelli, armadi per i farmaci e altro materiale. «Tutto è pronto o sta arrivando nei tempi corretti», ha detto Settembrini.
Il costo totale dell’ospedale non è noto, ma secondo fonti della Regione il fondo che ha raccolto sia le grandi donazioni dei privati e delle aziende sia quelle più piccole coprirà le spese necessarie. A questo punto, manca solo una cosa: i pazienti.
Quando sarà pronto, l’ospedale rientrerà nelle strutture gestite dall’Unità di crisi della Regione per le terapie intensive, coordinata da Antonio Pesenti, direttore del reparto di Terapia Intensiva del Policlinico e uno dei più importanti studiosi mondiali delle insufficienze respiratorie. Dentro all’unità di crisi lavorano il Policlinico stesso, le Agenzie di Tutela della Salute (ATS), gli ospedali lombardi e la Regione.
Da qualsiasi fonte arrivi la necessità di un posto in terapia intensiva per un paziente in gravi condizioni, l’unità di crisi lo smista negli ospedali a seconda dei posti letto disponibili: è successo così fino ad ora, riguardo ai pazienti affetti da COVID-19. L’ospedale in Fiera, quindi, potrà ricevere verosimilmente pazienti da tutta la regione, trasferiti da quelle strutture che sono particolarmente in difficoltà, e che non hanno posto per ricoverare tutti i pazienti gravi.
Una volta finita l’emergenza, l’ospedale dovrebbe essere smantellato e riconsegnato alla Fondazione Fiera. Ma nessuno, al momento, ha un’idea precisa di quando succederà.