Il Brasile ha due problemi: il coronavirus e il presidente Bolsonaro
I casi accertati sono quasi tremila, ma Bolsonaro continua a sostenere che la COVID-19 sia come un raffreddore e i brasiliani «non prendono niente»
Il Brasile, il più grande paese dell’America Latina e il sesto al mondo per popolazione, è la nazione che nella regione ha finora individuato più casi di contagio da coronavirus e più casi accertati di morti che avevano la COVID-19. I dati più recenti parlano di quasi tremila casi (più del doppio rispetto all’inizio di questa settimana) e di almeno 77 morti. Molti degli oltre 200 milioni di abitanti del paese vivono in condizioni di povertà e un contagio non controllato potrebbe avere gravissime conseguenze. Eppure il presidente del paese, Jair Bolsonaro, da giorni sta minimizzando il problema ed evitando di prendere serie contromisure. Il 24 marzo ne ha parlato anche in un arrogante messaggio televisivo al paese, pieno di opinioni personali senza alcun fondamento scientifico.
Bolsonaro, che già in precedenza aveva parlato del coronavirus come di una «fantasia» creata dai media, ha detto che l’isolamento imposto da alcuni governatori di stati brasiliani è un «confinamento di massa», perché secondo lui il coronavirus è solo un «piccolo raffreddore». Bolsonaro ha inoltre chiesto che senso avesse la chiusura delle scuole (anche questa decisa da diversi stati, non dal suo governo) dato che secondo lui sono a rischio solo le persone con più di 60 anni. Bolsonaro ha invitato i brasiliani a tornare al lavoro e si è detto contrario alla chiusura di spazi pubblici e attività commerciali, che ha definito eccessiva e guidata solo da una «isteria» generale. «Passerà in fretta», ha detto: «Le nostre vite devono continuare, il lavoro deve andare avanti».
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Bolsonaro, che ha 65 anni, ha anche detto: «Con il mio passato da atleta, se dovessi venire infettato dal virus, non avrei niente di cui preoccuparmi. Non sentirei niente o, se anche dovessi sentire qualcosa, sarebbe solo una piccola influenza o un piccolo raffreddore». Secondo lui – ma non secondo i dati che arrivano da tutto il mondo – «il 90 per cento dei brasiliani non avrebbero sintomi, se contagiati». Bolsonaro ha aggiunto anche che i brasiliani «non prendono mai niente» e ha sostenuto – di nuovo senza dati – che «molte persone sono già state contagiate in Brasile dal coronavirus, settimane o mesi fa», e che quindi queste persone avrebbero già sviluppato una sorta di immunità in grado di fermare la diffusione del virus.
Non c’è praticamente niente di vero in quanto detto da Bolsonaro: ci sono contagi asintomatici e la COVID-19 è in genere più grave per gli anziani, ma non è di certo un raffreddore, non è detto che un “passato da atleta” possa fare da scudo contro la malattia ed è assurdo sostenere che i brasiliani “non prendono niente”.
Tra le altre cose, come ha scritto BBC, non è nemmeno certo che Bolsonaro non abbia avuto la COVID-19: lui ha detto di essere stato testato risultando negativo, ma non ha fornito prove. Di certo molti alti funzionari brasiliani – molti dei quali entrati in contatto con lui – hanno avuto il coronavirus. C’è chi sostiene, quindi, che Bolsonaro possa in effetti aver contratto il virus in forma lieve e abbia scelto di non comunicarlo per non dover andare in isolamento.
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Basandosi sulle informazioni di due fonti separate Reuters ha scritto che il discorso di Bolsonaro, lungo circa 5 minuti, è stato preparato senza consultare il suo ministro della Salute Luiz Henrique Mandetta, da giorni sempre più critico delle posizioni di Bolsonaro. Sempre Reuters scrive che i problemi tra i due sono iniziati il 15 marzo, quando trascurando le linee guida del ministero della Salute Bolsonaro salutò e toccò diversi suoi sostenitori a un evento pubblico.
Il Washington Post ha scritto che nel suo discorso – «fatto da solo davanti alla telecamera, attaccando i media, screditando gli avversari politici e insistendo su punti che usa da giorni nonostante l’allarmante realtà abbia smentito le sue speranzose previsioni» – Bolsonaro è apparso «isolato» e che, come molte altre volte, ha dato l’idea di voler seguire le posizioni del presidente statunitense Donald Trump, con il problema però di guidare un paese molto diverso, in cui le conseguenze sanitarie ed economiche delle sue dichiarazioni sarebbero ancora più gravi.
Anche dopo il discorso di martedì – e le tante critiche e proteste che ha generato – Bolsonaro ha continuato sulla sua linea. Giovedì, per esempio, ha deciso che i luoghi di preghiera vanno ritenuti “servizi essenziali” e che, nonostante decisioni diverse prese dai governatori di alcuni stati, devono restare aperti nonostante il coronavirus. E parlando con alcuni giornalisti fuori dalla sua residenza ha detto che «quello che alcuni sindaci e governatori [di stati brasiliani] stanno facendo è un crimine» e che stanno «distruggendo il Brasile».
In realtà le misure prese da molti stati brasiliani sono in linea, e per ora addirittura quasi sempre molto meno drastiche, di quelle prese da molti paesi con un caso di contagi accertati paragonabile a quello del Brasile. Mentre anche in Brasile, come prima in molti altri paesi, la crescita dei casi è stata rapida. Il primo caso accertato nel paese è del 25 febbraio, quando a risultare positivo fu un uomo di 61 anni di San Paolo, di ritorno in Brasile dopo essere stato in Lombardia. A marzo, in seguito a diversi casi di contagio interni al paese, i casi sono rapidamente aumentati: il 13 marzo sono stati superati i 100 casi, il 21 marzo i 1.000.
Ma anche a prescindere dai conteggi ufficiali, da qualche giorno i giornali brasiliani stanno raccontando casi di ospedali sempre più pieni e il 26 marzo il giornale Folha de São Paulo ha parlato di un «vertiginoso aumento» di persone ricoverate con problemi respiratori. Altri giornali raccontano invece come in diverse favelas del paese – luoghi in cui per la densità di persone, la loro povertà e le pessime condizioni igieniche, la diffusione del coronavirus sarebbe di difficilissima gestione – sono state addirittura le gang che ne controllano ampie parti a imporre una sorta di coprifuoco.