Un po’ di chiarezza sul MES e il coronavirus
Il Meccanismo Europeo di Stabilità è tornato a generare polemiche e bufale, mentre nove paesi europei – tra cui l'Italia – ne chiedono un particolare intervento
In questi giorni si è tornati a parlare molto del Meccanismo Europeo di Stabilità, il famoso MES, l’istituzione europea che ha lo scopo di aiutare i paesi in difficoltà e di cui diversi governi europei, tra cui quello italiano, hanno chiesto l’intervento per fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia da coronavirus. Ma in una riunione tra capi di governo avvenuta in teleconferenza giovedì, i rappresentanti dell’Europa centrale e settentrionale, tra cui Germania, Austria, Paesi Bassi e Finlandia, hanno rifiutato la possibilità di utilizzare il MES o di introdurre altri strumenti di solidarietà europei nelle modalità che erano state richieste.
Ma anche in Italia non tutti sono d’accordo nella richiesta di far intervennire il MES. Partiti come la Lega e Fratelli d’Italia, insieme a diversi esponenti del Movimento 5 Stelle, accusano il MES di essere uno strumento concepito per danneggiare il nostro paese ed espropriare la nostra sovranità. Il leader della Lega, Matteo Salvini, lo ha definito in questi giorni un «trattato infernale che mette a rischio i risparmi ed il futuro degli italiani». Su WhatsApp e nelle pagine Facebook complottiste circolano teorie ancora più estreme sul MES, indicato come uno strumento perverso, in grado di causare la rovina di milioni di italiani.
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Il MES è un’istituzione molto più noiosa di come viene descritta dai suoi critici. È un’organizzazione intergovernativa a cui partecipano gli stati che hanno adottato l’euro come moneta (ed essendo frutto di un accordo separato tra stati non è parte delle istituzioni europee). All’apparenza funziona come un normale fondo di investimento, che con il suo capitale vende e compra titoli, ma in sostanza è più simile a una sorta di gigantesca assicurazione destinata a proteggere gli stati che hanno adottato l’euro.
Gli stati membri del MES, infatti, hanno tutti versato una certa quantità di denaro nelle sue casse, un totale di 80 miliardi di euro pagati grossomodo in proporzione al proprio PIL, e hanno promesso di versarne altri se ce ne fosse bisogno. Con queste risorse comuni, effettivamente versate o promesse, il MES può farsi prestare soldi dagli investitori privati e poi, a sua volta, può prestarli agli stati membri che dovessero trovarsi in difficoltà. L’idea, insomma, è che quando uno stato è così in difficoltà da non riuscire a farsi prestare denaro da nessuno, il MES può farseli prestare al posto suo e poi girarglieli.
Il problema del MES, almeno dal punto di vista di un stato molto indebitato e percepito come “a rischio” come l’Italia, è che questo aiuto non arriva senza condizioni. L’aiuto del MES è infatti condizionato all’accettazione di un piano di riforme la cui applicazione sarebbe sorvegliata dalla famosa “Troika”, il comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale.
I piani di riforme richiesti andrebbero concordati caso per caso ma avrebbero lo scopo di riportare al pareggio i conti pubblici degli stati in crisi. Quando sono stati approvati in passato hanno sempre incluso misure molto poco popolari, come riforma delle pensioni, privatizzazioni, liberalizzazioni e flessibilizzazione delle leggi sul lavoro, allo scopo di rendere nuovamente sostenibili i conti pubblici. Fino a oggi Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda hanno usufruito di programmi di aiuto del MES; alcuni di questi, come Portogallo e Irlanda, sono poi usciti rapidamente dai momenti di difficoltà. Da questa condizionalità degli aiuti derivano però le leggende e le bufale secondo cui, per esempio, una volta attivato il MES preleverà soldi direttamente dai conti correnti degli italiani.
Ma se le condizioni necessarie per attivare il MES sono così impopolari, perché il governo italiano ha chiesto che venisse attivato? La risposta è che il governo ha chiesto di attivare il MES in una modalità di “emergenza”, cioè senza condizioni, oppure con condizioni così generiche da non essere davvero vincolanti. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo ha chiesto esplicitamente in un’intervista al Financial Times pubblicata venerdì scorso, e il piano è stato appoggiato dal commissario europeo per l’Economia Paolo Gentiloni.
Questa proposta è stata equiparata all’introduzione dei famosi “eurobond”, ribattezzati in questi giorni “coronabond”. Gli eurobond sono un progetto che chiedono da anni i paesi del Mediterraneo, insieme ad alcuni partiti socialdemocratici di numerosi paesi del Nord, ed è ritenuto da molti un passo fondamentale nell’ulteriore integrazione europea. Sono – sarebbero – titoli da cedere ai mercati finanziari in cambio di denaro in prestito, ma sarebbero garantiti non da un singolo stato ma dall’insieme dei paesi dell’eurozona. Quindi potrebbero essere messi sul mercato in quantità maggiori e con un tasso di interesse più basso rispetto ai titoli di stato dei singoli paesi.
Il MES è considerato da molti il veicolo ideale, anche se non l’unico, per l’emissione di questo tipo di titoli. Giovedì, i governi di nove paesi europei, oltre all’Italia anche Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio, hanno chiesto al prossimo Consiglio europeo di valutare la loro introduzione. La proposta però è stata respinta dai paesi noti per posizioni più rigorose sui conti pubblici. Il MES, hanno detto, potrà dare aiuti solo in presenza di determinati impegni di riforma da parte dei paese che ne riceveranno l’aiuto, mentre l’idea di introdurre qualsiasi forma di eurobond è stata respinta.
Sono molti però quelli che sostengono che in questa situazione di crisi, piuttosto che dare agli stati aiuti condizionati, con i problemi politici che questo comporta, è meglio non attivare il MES, almeno per il momento. La BCE, con il suo straordinario annuncio di un programma di acquisto di titoli di stato potenzialmente senza limiti, avrebbe già fornito ai paesi più in difficoltà sufficiente margine di manovra economico per aiutare i lavoratori e le imprese. Anche per questo, nonostante sia divenuto chiaro che l’Europa si prepara alla peggiore recessione della sua storia, da diversi giorni gli spread, compreso quello italiano, sono in calo.