Avremo una nuova grande recessione
In Italia sarà profonda almeno quanto quella del 2008, se non peggiore, ma a differenza di dieci anni fa governi e istituzioni europee hanno deciso di cambiare strategia
A un mese di distanza dalla scoperta dei primi casi di COVID-19 in Italia e a due settimane dalla decisione di imporre al paese una quarantena senza precedenti, l’impatto della pandemia da coronavirus sull’economia italiana sta iniziando a delinearsi con maggiore chiarezza. Sarà un impatto fortissimo: pari se non superiore a quello che l’Italia subì nel 2008, durante il peggiore anno della grande crisi finanziaria. A differenza di dieci anni fa, però, governi e istituzioni europee hanno cambiato strategia e questo, sperano molti, aiuterà a limitare gli effetti peggiori di questa nuova grande crisi economica.
Le stime
È ancora presto però per avere stime ufficiali sulle dimensioni di questa crisi. L’ISTAT pubblicherà i dati sull’economia nel primo trimestre 2020 soltanto ad aprile, mentre il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, per ora si è limitato a dire che il governo si aspetta «una contrazione rilevante del PIL» (fonti anonime del ministero hanno parlato di ipotesi di studio vicine al -3 per cento).
Nel frattempo banche e centri studi privati hanno già pubblicato le loro ipotesi sul futuro. Secondo UBS e Morgan Stanley ipotizzano un calo tra il 5 e il 6 per cento del PIL, Fitch è più ottimista e ipotizza un calo di poco più del 3 per cento. I più pessimisti di tutti sono gli italiani di Ref Ricerche, che ipotizzano un calo fino all’8 per cento e Goldman Sachs, che nel suo ultimo rapporto stima per l’Italia una recessione superiore a 11 punti percentuali (e un calo del 9 per cento complessivo per l’economia europea). In generale, le stime ipotizzano che l’Italia sarà tra i paesi europei più colpiti dalla recessione, poco più della Germania e della Francia. In ogni caso, tutta Europa e gli Stati Uniti entreranno in recessione nel corso del 2020.
Le stime sul PIL vanno sempre trattate con estrema attenzione: calcolare il PIL – e soprattutto prevedere la sua evoluzione futura – è spesso un’arte più che una scienza. E ci sono moltissime variabili e cose che ancora non conosciamo. Per esempio: quanto ancora dureranno le misure di quarantena, quando saranno riaperti i confini, quanto sarà duro il colpo per l’economia cinese e quanto lo sarà per quella americana.
La crisi, in pratica
La recessione che sta colpendo il nostro paese è dovuta soprattutto alle misure di quarantena che hanno messo gran parte della nostra economia in una specie di stasi. Nessuno sa esattamente quanta parte dell’economia italiana si sia fermata, e non sappiamo nemmeno quante persone vanno ancora fisicamente al lavoro ogni giorno (una considerazione importante non soltanto dal punto di vista economico ma anche per la salute pubblica, visto che i luoghi di lavoro sono, insieme agli ospedali e ai supermercati, gli ultimi luoghi di aggregazione in cui il virus può ancora diffondersi liberamente). Possiamo però provare a fare delle ipotesi.
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Il turismo, per esempio, che con tutte le attività connesse vale normalmente nel corso dell’anno il 6 per cento del PIL, è completamente fermo. La ristorazione ha chiuso in tutta l’Italia, tranne per qualche locale che nelle grandi città opera a regime ridotto grazie ai servizi di consegne a domicilio. Le grandi aziende, da FCA a Luxottica, hanno sospeso le attività in tutti o gran parte dei loro stabilimenti; quelli rimasti aperti stanno venendo riconvertiti alla produzione di materiale sanitario, come le mascherine.
Il settore delle costruzioni è stato quasi completamente fermo in tutto il paese, con l’eccezione dei cantieri pubblici o di altri lavori urgenti o indifferibili. Con il blocco delle attività non essenziali deciso dal governo venerdì scorso ci sarà un ulteriore impatto sull’economia italiana, anche se non è chiaro quante saranno esattamente le imprese che non avevano già chiuso e che decideranno di sospendere l’attività in seguito al decreto.
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In tutto, secondo le principali stime, a marzo l’attività economica in Italia si è ridotta del 20, forse del 30 per cento. Dopo l’annuncio di venerdì, il governo e Confindustria hanno fornito cifre ancora più impressionanti: circa il 70 per cento dell’economia italiana potrebbe essersi fermato. Anche se le misure intraprese dal governo probabilmente limiteranno i licenziamenti e i fallimenti, l’impatto su milioni di lavoratori precari o in nero sarà enorme e si stima che la disoccupazione tornerà presto a superare il 10 per cento.
La risposta delle istituzioni
Il governo italiano e le autorità europee stanno cercando di attenuare l’impatto della crisi; fortunatamente, per il momento non sembra che ci troveremo ad affrontare di nuovo una situazione simile a quella della grande crisi del 2008-2012. All’epoca la recessione fu accompagnata da una severissima “stretta creditizia”: le banche non prestavano più soldi alle imprese e gli investitori si rifiutavano di acquistare titoli di stato italiani, poiché dubitavano della capacità dell’Italia di rimborsare i debiti contratti. In risposta i governi tagliarono le spese e alzarono le tasse, rendendo ancora più difficile la vita delle persone (la manovra economica del 2012, approvata dal governo Monti, prevedeva oltre 30 miliardi di euro tra tagli alla spesa e aumenti di imposte).
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Questa volta sembra che le cose andranno diversamente. Le autorità europee e i governi degli stati membri si sono accordati per spendere tutto quello che sarà necessario per fronteggiare la crisi. La Banca Centrale Europea si è impegnata a finanziare le banche e ad acquistare titoli di stato per evitare una nuova stretta creditizia, mentre i governi hanno varato piani economici per sostenere imprese e lavoratori.
In Italia il primo decreto per fronteggiare la crisi, il cosiddetto “Cura-Italia”, ha stanziato 25 miliardi, di cui più di venti andranno in aiuti all’economia (il resto sarà invece impegnato nella spesa sanitaria e nella protezione civile). I licenziamenti sono stati proibiti per i prossimi due mesi e sono state aumentate le risorse destinate alla cassa integrazione, lo strumento principale per permettere alle imprese di continuare a pagare almeno una parte degli stipendi anche se l’attività rimane bloccata. Misure simili sono state approvate in tutta Europa, mentre il governo italiano ha promesso un secondo pacchetto di aiuti per il mese di aprile.
Recessione da domanda o da offerta?
L’idea dietro queste misure è fornire all’economia una specie di “supporto vitale” mentre è in corso la “pausa” prodotta dalle misure per contrastare la pandemia. Per il momento, infatti, la recessione sembra causata soprattutto dalla mancanza di domanda: le persone sono chiuse in casa, non vanno al ristorante e non fanno shopping, le imprese non fanno nuovi investimenti e non aprono nuove linee di produzione. Il denaro riversato nell’economia da stati e banche centrali serve proprio a riempire almeno una parte di questo vuoto di domanda (ammesso che torni presto possibile fare degli acquisti diversi dalle strette necessità, anche avendone l’intenzione e la possibilità economica). Anche per questo, tutti gli indicatori mostrano che le aspettative di inflazione (cioè di aumento dei prezzi nel prossimo futuro) sono ai minimi storici. Per l’Italia diverse ricerche ipotizzano addirittura che il 2020 si concluderà in deflazione, cioè con un calo generalizzato dei prezzi.
La parte della recessione causata da mancanza di offerta, cioè dal fatto che le imprese smettono di produrre i beni richiesti dalla popolazione, sembra al momento meno rilevante e causata soprattutto dai problemi delle catene di distribuzione. La Cina, per esempio, è il principale fornitore di componenti e di semi-lavorati dell’industria mondiale e il blocco della sua produzione potrebbe avere effetti a lungo termine se non sarà invertito. Per il momento, però, le attività che rimangono aperte, come il settore farmaceutico e alimentare, hanno visto i loro affari aumentare considerevolmente. Coldiretti ha rilevato nelle prime settimane di marzo un aumento del fatturato dell’agricoltura di circa l’8 per cento, mentre la grande distribuzione ha aumentato il suo giro di affari di circa il 15 per cento.
Le azioni dei governi e delle banche centrali non possono risolvere i problemi dal lato dell’offerta, ma possono renderne meno gravi le conseguenze, fornendo alle famiglie e alle imprese il denaro con cui continuare ad acquistare beni di prima necessità, a pagare affitti e mutui, contribuendo a limitare i licenziamenti e fornendo supporto alle imprese affinché continuino a pagare i loro dipendenti. In questo modo la speranza è riuscire a far passare la tempesta senza subire troppi danni. Le iniezioni di liquidità di governi e banche centrali, insomma, dovrebbero servire come una specie di supporto vitale all’economia messa in stasi in attesa della ripresa.
La ripresa
Cosa accadrà dopo, quando gradualmente l’economia inizierà a ripartire, rimane oggi molto incerto. Nella migliore delle ipotesi, la recessione avrà la forma di una “V”. Dopo il crollo della produzione, appena l’economia sarà tolta dalla stasi in cui si trova, ci sarà un improvviso e rapido rimbalzo. Se davvero la crisi si rivelerà soprattutto una crisi da domanda, non appena quest’ultima riprenderà vigore con la riapertura di ristoranti, alberghi, negozi e imprese, l’economia dovrebbe recuperare rapidamente quanto perso nei mesi precedenti. Al momento, questo è lo scenario più diffuso nelle stime di banche e centri studi. Morgan Stanley, per esempio, ipotizza per l’Italia una crescita del 6,7 per cento nel 2021; Goldman Sachs stima che la ripresa italiana nel 2021 possa raggiungere addirittura l’8 per cento (sono livelli di crescita che il nostro paese non vede dagli anni Sessanta).
Ma è anche possibile lo scenario opposto, quello di una ripresa ad “L”, in cui a un calo verticale segue una ripresa lenta, che disegna una linea quasi orizzontale, come quella che il nostro paese ha vissuto dopo la grande crisi del 2008. Le possibili ragioni di questo scenario sono una domanda che rimane anemica anche dopo la fine della quarantena e un’offerta danneggiata in modo permanente a causa dei danni subiti dalle catene di distribuzione. Negozi e ristoranti riaprirebbero, ma le persone non avrebbero denaro da spendere o sarebbero troppo preoccupate dal futuro per farlo. Gli Stati Uniti, il più grande generatore di domanda del mondo, potrebbero subire una crisi più lunga e profonda del previsto e senza domanda dall’estero, quindi le imprese esportatrici resterebbero in crisi. Dal lato dell’offerta, invece, potrebbero esserci problemi se l’economia cinese non si dovesse riprendere abbastanza in fretta.
In questo scenario, il “supporto vitale” che il governo e la banca centrale hanno fornito all’economia durante la “pausa” dovrebbe essere prolungato ulteriormente, ma non è detto che sia una strada politicamente praticabile. Per quest’anno si ipotizza per l’Italia un deficit superiore al 5 per cento, e si prevede che il debito pubblico possa avvicinarsi al 150 per cento del PIL. È facile immaginare che, dopo la fine della pandemia, non saranno pochi coloro che, in Italia e in Europa, chiederanno un ritorno alla disciplina fiscale, tagli di spesa e altri sacrifici per riportare i conti in ordine. Se gli stimoli venissero tagliati in fretta e in una situazione di grandi difficoltà, non solo in Italia ma nel resto del mondo, la disoccupazione tornerebbe inevitabilmente a salire e le imprese ricomincerebbero a fallire, come dopo il 2008.