Molti pazienti con coronavirus dicono di aver perso olfatto e gusto
È un sintomo ricorrente e ancora poco indagato: potrebbe servire per realizzare diagnosi più accurate, ma servono approfondimenti
I sintomi più ricorrenti della COVID-19, la malattia causata dal coronavirus, sono febbre e tosse secca, ma nelle ultime settimane numerosi medici hanno segnalato – sulla base della loro esperienza con i pazienti – una quantità consistente di persone che perde il senso dell’olfatto e del gusto. Il problema sembra interessare tra il 30 e il 60 per cento dei pazienti, a seconda delle segnalazioni, e ha indotto diversi esperti a fare approfondimenti, perché potrebbe consentire di effettuare diagnosi più accurate della malattia.
I virus che causano infezioni alle vie aeree sono spesso responsabili della temporanea perdita della capacità di riconoscere odori (anosmia) e sapori. La causa è talvolta dovuta alla congestione delle vie aeree superiori – il “naso chiuso” – per l’infiammazione delle mucose, che impedisce ai recettori di percepire gli odori e di inviare poi al cervello i segnali per riconoscerli. In alcuni casi la perdita temporanea è causata da altre condizioni, che non comportano necessariamente una consistente infiammazione delle vie aeree superiori (può capitare con alcuni virus influenzali, per esempio).
In una lettera aperta pubblicata sabato 21 marzo, la presidente dell’Associazione rinologica britannica, Claire Hopkins, scrive che non è così sorprendente che l’attuale coronavirus causi anosmia, considerato che ci sono oltre 200 tipi di virus conosciuti responsabili delle infezioni al sistema respiratorio. Hopkins segnala che nelle ultime settimane medici dalla Cina, dalla Corea del Sud e dall’Italia hanno segnalato “un numero significativo di pazienti con COVID-19 e anosmia”. Tra i pazienti sudcoreani il problema sembra riguardare il 30 per cento circa dei positivi, ed essere il sintomo principale nei casi più lievi.
La settimana scorsa il primario di Malattie infettive all’Ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, aveva confermato di avere riscontrato l’anosmia come un sintomo ricorrente tra i suoi pazienti risultati positivi al coronavirus. Galli aveva precisato di avere compiuto osservazioni cliniche su un numero ristretto di individui, quindi con un’esperienza diretta ma non sistematica, invitando a indagare meglio attraverso ricerche e approfondimenti.
Hopkins scrive che negli ultimi giorni sono aumentate le segnalazioni di individui positivi con l’anosmia come unico sintomo, e che questa circostanza potrebbe essere utile per effettuare diagnosi più accurate sui pazienti, confrontando i loro sintomi con quelli di altre malattie come l’influenza stagionale. Non è però ancora chiaro se la mancanza di olfatto si presenti nelle prime fasi dell’infezione, e possa quindi essere utile per una diagnosi precoce, o verso la fine della malattia come aveva indicato nei giorni scorsi Galli.
Avere come unico sintomo l’anosmia potrebbe indurre diverse persone a consultare un otorinolaringoiatra, senza essere a conoscenza di avere la COVID-19. Questo potrebbe esporre questi specialisti al rischio di contagio mentre visitano i loro pazienti, da qui la lettera aperta di Hopkins per invitare i colleghi a essere molto cauti in questo periodo.
Non è ancora chiaro per quanto duri la mancanza di olfatto e di gusto nei pazienti, superata la fase acuta della malattia. Secondo alcuni rapporti preliminari, la perdita è temporanea come avviene con diversi altri virus, e porta a un recupero nelle settimane successive alla guarigione.