Come sta cambiando l’industria dello spettacolo a causa del coronavirus
È diventato difficile produrre film, programmi e serie tv, sta cambiando radicalmente il modo di distribuirli e – come in tanti altri settori – gli effetti si vedranno per mesi
di Gabriele Gargantini
Le limitazioni e le precauzioni prese ormai in gran parte del mondo per limitare la diffusione del coronavirus (SARS-CoV-2) hanno toccato ogni settore produttivo e aspetto della vita di molti. Tra questi c’è anche quello della produzione, distribuzione e fruizione di contenuti audiovisivi: tutto ciò che comprende il fare, il far vedere e il vedere film, serie o programmi tv. L’intrattenimento audiovisivo è un settore molto in vista e presente nella vita di chiunque, che si tratti di pubblicità viste, biglietti comprati o abbonamenti sottoscritti. Fa girare ogni anno miliardi di dollari e dà lavoro a milioni di persone: solo i cinema italiani, nel 2019, hanno incassato più di 600 milioni di euro; Disney, da sola, ha più di 200mila dipendenti.
È davvero troppo presto per fare stime o previsioni attendibili su quello che succederà all’intrattenimento nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Ma si può già dire che la COVID-19 avrà di certo un impatto di lunga durata su scelte, luoghi, tempi e modi di quello che, quantomeno per il prossimo anno, verrà prodotto e distribuito, nei cinema o su internet. Tutto questo sta succedendo tra l’altro in un settore che era già nel bel mezzo di un’importante trasformazione, dovuta al sempre maggior successo dei servizi di streaming: Disney, Comcast e AT&T – i tre più grandi conglomerati dell’intrattenimento – arrivano tutti da recenti e importanti acquisizioni e riposizionamenti. Nel suo articolo da copertina Variety, la più importante rivista del settore, ha scritto che le conseguenze finanziarie di questa situazione «potrebbero cambiare per sempre il settore dell’intrattenimento».
Tutto ruota intorno a un concetto molto semplice: gran parte dell’intrattenimento funziona grazie alla produzione di contenuti nuovi. Per via dell’isolamento dovuto al coronavirus, non solo questi contenuti non possono essere distribuiti nei cinema: non possono nemmeno essere prodotti.
Ma non si tratta solo di contenuti da produrre. I problemi, per chi ha investito nell’intrattenimento, vanno dalla chiusura dei parchi a tema di Disney al danno economico di qualsiasi società che aveva deciso di puntare, per acquisire abbonati e spettatori, sullo sport in diretta; per non parlare della cancellazione di ogni evento dal vivo di grande importanza promozionale. Vale, per tutto il settore dell’intrattenimento, quello che ha detto a Variety l’analista e professore Erik Gordon: «I mercati odiano l’incertezza e il coronavirus sta creando un’incertezza globale che non vedevamo da alcuni decenni».
Tutto questo tenendo conto che per ogni film che non esce, ogni serie tv che non viene prodotta o pubblicità che non viene venduta, ci sono centinaia di migliaia di persone che non stanno lavorando. Non ci sono solo i dirigenti della Disney o gli attori candidati agli Oscar, ci sono anche gli elettricisti dei set in cui non si girano film e i baristi dei cinema che restano chiusi.
Partiamo da cosa sta succedendo e succederà a breve al cinema, poi arriviamo a serie tv, televisioni e piattaforme di streaming.
I film da produrre
Chi stava producendo nuovi film ha dovuto, nella maggior parte dei casi, sospenderne la produzione. Le necessarie limitazioni agli assembramenti e al contatto fisico non solo rendono difficile o impossibile andare al cinema; spesso rendono impossibile anche girare nuovi film o finire quelli di cui erano già iniziate le riprese. Per chi li produce, significa aver investito soldi senza sapere quando arriveranno i relativi ricavi; e significa anche che, banalmente, quando si potrà tornare a girare non ci sarà spazio per tutti. Se un attore si era accordato per girare un film questa primavera e uno quest’autunno, tra qualche mese si potrebbe trovare a poterne fare solo uno; e lo stesso discorso si potrebbe fare per molte altre professionalità del cinema. Qualcuno si troverà nella situazione di poter scegliere tra più offerte, qualcun altro potrebbe trovarsi disoccupato. «Gli addetti ai lavori», ha scritto Variety, «prevedono che alcuni film verranno semplicemente scartati».
I film da distribuire
Non possiamo sapere quando, dove e come i cinema riapriranno. Sarà difficile decidere quando riprogrammare un film distribuito in tutto il mondo, sapendo che i suoi incassi potrebbero dipendere dagli incassi americani tanto quanto da quelli cinesi o europei. E sarà difficile programmare un film distribuito solo in Italia senza sapere quando e come un grande blockbuster internazionale uscirà in Italia, oltre che nel resto del mondo: tendenzialmente, nessun film d’azione vorrebbe uscire nei cinema lo stesso giorno del nuovo film di James Bond.
Nel caso di film già pronti o comunque così grandi e importanti che sicuramente verranno prima o poi girati, ci sarà di certo un effetto domino. Per ogni importante film che avrebbe dovuto uscire oggi e invece uscirà a novembre ce ne sarà uno che anziché uscire a novembre uscirà nel 2021: due film di supereroi, entrambi nei cinema nella stessa settimana, si ruberebbero spettatori a vicenda. E per ogni saga o serie di film serve che passino alcuni mesi tra un film e l’altro, per promuovere e sfruttare al massimo sia uno che l’altro.
Chi distribuisce film si sta trovando nella situazione di dover rimandare uscite in molti casi già decise da mesi, in certi casi dopo che era già partita tutta la relativa macchina promozionale, con investimenti da diversi milioni di euro. Per i film più grandi in alcuni casi si è già scelta una nuova data d’uscita, a fine anno o addirittura già nel 2021. I film Marvel, per esempio, sono tutti collegati e pensati per uscire in un determinato ordine; se si sposta uno, si deve spostare anche il successivo e a catena tutti gli altri.
Per i film più piccoli rimandare l’uscita può voler dire, a volte, sapere che probabilmente quei film non usciranno più. Quando i cinema riapriranno e gli spettatori torneranno ad andarci, ci saranno infatti diversi film “in coda”: quelli già programmati per quel periodo e quelli rimasti in attesa per settimane o mesi. Non ci sarà spazio per tutti.
Inoltre, per le case di produzione medio-piccole il problema sarà trovare i soldi per finire i film iniziati e per girarne di nuovi, senza poter contare però sugli incassi di quelli finiti ma non ancora mandati nei cinema. Bisogna poi considerare che sono stati cancellati o rimandati anche festival cinematografici e altri eventi che, per chi produce film, servono a trovare qualcuno che li distribuisca. Il Festival di Cannes, rimandato a data da destinarsi, non è solo una cosa per giornalisti e fotografi.
I film rimandati
Ogni lista di uscite cinematografiche cancellate o rimandate rischia di diventare vecchia tra una settimana. Per ora, comunque, i film più importanti a essere stati posticipati sono: Fast and Furious 9 (da maggio all’aprile 2021), No Time to Die (da aprile a novembre), Mulan, A Quiet Place II. The New Mutants, Black Widow, Minions: Rise of Gru, Antebellum, Antlers, La vita straordinaria di David Copperfield e La donna alla finestra.
I film senza i cinema
Il blocco della distribuzione cinematografica sta evidentemente avendo un pesante impatto sui cinema e su chiunque ci lavori: sono ormai più di dieci giorni che gli incassi cinematografici italiani sono zero. E c’è anche chi si chiede se, come e quanto torneremo nei cinema.
Chi produce e distribuisce film, invece, sta sperimentando nuove strade per far arrivare i suoi film – quelli già pronti – agli spettatori. Una soluzione, non particolarmente gradita agli esercenti cinematografici, prevede di rendere disponibili in streaming i film che sarebbero dovuti andare nei cinema. La Universal Pictures ha già deciso di farlo e altri potrebbero fare qualcosa di simile. In teoria un’azienda come Disney, che ha il suo servizio di streaming, potrebbe distribuire i suoi nuovi film direttamente sulla piattaforma (magari senza includerli nell’abbonamento). Nel caso della Universal Pictures i film messi a disposizione online, per esempio su Amazon Prime Video, costeranno 20 dollari e il noleggio durerà 48 ore.
Le serie tv
Tutto quanto detto per le produzioni dei film vale anche per le serie tv e tutto quello che è scripted television: la televisione sceneggiata e non dal vivo.
Di alcune serie – tra le altre Westworld, Modern Family, Homeland e Killing Eve – si sa che le riprese delle stagioni programmate per quest’anno sono terminate, e andranno quindi in onda come previsto. Su altre ci sono più dubbi e di altre ancora, le cui riprese non erano iniziate o erano partite da poco, è quasi certo il rinvio. Netflix ha bloccato già da alcuni giorni tutte le sue produzioni nordamericane, compresa Stranger Things; HBO ha rimandato le riprese della puntata speciale di Friends, che era stata annunciata un mese fa e su cui la rete aveva investito diversi milioni di dollari. Anche Amazon ha sospeso la produzione della sua costosissima serie sul Signore degli Anelli.
Non c’è modo di avere numeri esatti ma, solo per le produzioni americane, si parla di diverse decine di serie sospese: solo la Warner Bros. ne ha bloccate più di 70, scrive il New York Times. Un altro modo per dirla è che ogni nuova stagione di quasi ogni serie Disney, HBO, Amazon, Netflix, Apple andata in onda quest’anno o negli ultimi mesi dell’anno scorso e le cui riprese erano in corso o in programma probabilmente è stata sospesa o rimandata. Lo stesso, ovviamente, vale per le serie girate in Italia o in ogni altro paese in simili condizioni.
Nel caso di serie tv popolari e sufficientemente grandi, nel peggiore dei casi le riprese di una nuova stagione saranno sospese e riprese più avanti, anche qui compatibilmente con i vari problemi di intasamento di calendari e disponibilità di luoghi e persone. È invece praticamente certo che decine di serie tv più piccole, di cui nessuno ha ancora visto nemmeno una stagione, saranno cancellate. Inoltre, sono stati rimandati gli “upfront”, gli eventi nei quali si presentano le serie per la stagione successiva. Tutte cose che porteranno a un notevole scombussolamento delle programmazioni televisive e, molto probabilmente, della raccolta pubblicitaria.
La televisione dal vivo
Ma la televisione non è solo scripted: c’è anche quella dal vivo, con un conduttore e un pubblico. Il pubblico è già sparito anche in Italia: basta accendere la tv e far passare giusto qualche canale per accorgersene. Da qualche giorno, però, stanno avendo problemi anche i programmi che per essere fatti – anche senza il pubblico – hanno bisogno di far spostare persone, che siano ospiti, musicisti o anche solo autori e cameramen. Negli Stati Uniti è stato sospeso lo storico Saturday Night Live e i famosi late-night show – i programmi serali di informazioni e intrattenimento, condotti tra gli altri da Stephen Colbert, Jimmy Kimmel, Trevor Noah e Jimmy Fallon – sono stati sospesi e stanno provando ad arrangiarsi per trovare nuove forme e formule per tenere in piedi la baracca, almeno in parte. Colbert, per esempio, ha fatto un intero segmento dalla sua vasca da bagno.
Anche in Italia svariati programmi sono stati sospesi o modificati e i palinsesti stravolti e anche qui c’è chi sta provando nuovi formati per i propri programmi: Alessandro Cattelan, per esempio, ha fatto una speciale “mini puntata” da casa – «non una diretta Instagram» – del suo programma EPCC. L’ha chiamata EPCC Alive e l’ha definita uno «spinoff».
L’intrattenimento da casa
A prescindere da tutto quello che succede a chi fa cinema, serie o tv, una delle principali e più ovvie conseguenze della situazione dovuta al coronavirus è che tante persone stanno a casa e che molte più persone hanno molto più tempo per vedere film, serie o tv. In diversi paesi del mondo – dalla Corea del Sud agli Stati Uniti, passando anche per l’Italia – i dati mostrano un rilevante incremento di spettatori (così come ci sono dati che mostrano un rilevantissimo incremento di ore passate ai videogiochi).
Anche senza specifici dati (seppur ce ne siano di indiretti) non ci vuole molto per immaginare che anche i servizi di streaming stiano avendo incrementi di traffico e, magari, di abbonati. È probabile che la maggior parte di quelli che stanno leggendo questo articolo abbia usato Netflix, Amazon Prime Video o Now TV più del solito, negli ultimi giorni; o che abbia addirittura sperimentato un nuovo servizio, approfittando di una prova gratuita.
I servizi che puntavano sullo sport o la televisione dal vivo – due contenuti per i quali è molto importante essere in diretta – si trovano in grande difficolta: prima di tutto a riempire ore e ore di programmazione e poi, nel caso di servizi a pagamento, a mantenere gli abbonati nonostante un’offerta notevolmente più povera. «Fino a un paio di settimane fa, l’investimento sugli eventi dal vivo sembrava giusto», ha detto al New York Times l’analista Craig Moffett, «ora molte aziende sembrano essere nel posto sbagliato al momento sbagliato». Le piattaforme di streaming, invece, sono in una posizione certamente migliore: «More Netflix, less ESPN», ha sintetizzato il New York Times.
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Tutti i servizi di streaming che ci sono o stanno per arrivare hanno centinaia, in certi casi migliaia di titoli; molti già online e altri già pronti per finirci presto. Netflix ha di sicuro da parte film e serie tv sufficienti per proporre ogni giorno, per almeno un po’ di mesi, qualcosa di nuovo. Come ha scritto IndieWire, poi, Disney – il cui servizio Disney+ sarà in Italia dal 24 marzo – potrà fare qualcosa di simile «aprendo il suo leggendario caveau di contenuti» (cioè tutto ciò di cui possiede i diritti, compresi i film della Marvel e di Star Wars).
Ma se – come è certamente possibile – l’attuale situazione dovesse durare più di qualche settimana, anche i servizi di streaming finiranno per avere problemi. «Per le aziende dei media, il vantaggio di avere più spettatori del solito [sui loro servizi di streaming] non durerà molto, perché la pandemia minaccia di mettere in discussione la struttura stessa dei loro business», ha scritto il New York Times. Un servizio come Netflix, che per quest’anno aveva deciso di investire circa 17 miliardi di dollari in contenuti originali, punta per sopravvivere a investire sempre più soldi per contenuti sempre nuovi, così da portare sempre più abbonati. Non è detto che, senza nuovi contenuti davvero rilevanti, gli abbonati cresceranno a lungo. Per di più, un’eventuale crisi finanziaria potrebbe portare molti spettatori a rinunciare all’abbonamento a uno o più servizi streaming (o di canali tv a pagamento).