Cos’è questa storia dei tamponi inviati negli Stati Uniti da Brescia
È stata raccontata con toni indignati dai giornali, ma non c'è nessuno scandalo: l'azienda che li produce ne ha già forniti oltre 1 milione all'Italia, dove il problema è la capacità dei laboratori
Le edizioni cartacee di oggi di Repubblica e del Corriere della Sera danno la notizia dell’esportazione dall’Italia verso gli Stati Uniti di mezzo milione di tamponi, utili per fare i prelievi di saliva dai pazienti per verificare se siano positivi al coronavirus. I due articoli riprendono un po’ meno enfaticamente quanto era già stato scritto dai siti dei rispettivi giornali nelle precedenti 24 ore con toni maggiormente scandalizzati e titoli che alludevano al fatto che il trasferimento fosse stato svolto in gran segreto, nascondendo all’opinione pubblica il passaggio di quel materiale a un altro paese, mentre il nostro è nel pieno di un’emergenza sanitaria.
Come ha chiarito l’azienda produttrice nel trasferimento, le cose stanno molto diversamente, anche perché in Italia non c’è un problema di disponibilità dei tamponi, ma semmai di capacità dei laboratori di analizzare così tanti campioni in poco tempo.
Un primo articolo sulla vicenda era stato pubblicato online dal Corriere nella serata di mercoledì 18 marzo con il titolo “Coronavirus, 500mila test portati lunedì notte dall’Italia agli Stati Uniti”, con informazioni inizialmente vaghe e segnalando come fonte principale Defense One, un sito di notizie che si occupa principalmente di esercito e sicurezza nazionale statunitensi.
L’articolo parlava di Copan, un’azienda di Brescia che aveva fornito i tamponi, trasportati poi da un aereo militare dalla base di Aviano (Pordenone) verso gli Stati Uniti. Il testo era stato modificato nel pomeriggio di giovedì 19 marzo per aggiungere alcune dichiarazioni dell’azienda coinvolta (la versione originale non è più reperibile ed è stata rimossa dalla cache di Google). L’articolo modificato è stato poi pubblicato sul quotidiano di oggi con il titolo: “Agli USA tamponi e kit italiani con un volo militare”. (Venerdì Martina Pennisi del Corriere ha pubblicato su Twitter una spiegazione delle scelte del giornale sulla prima pubblicazione e seguente modifica dell’articolo.)
Nella serata del 19 marzo, la notizia era stata ripresa anche dal sito di Repubblica con un articolo dai toni piuttosto polemici accompagnato dal titolo “Coronavirus, mezzo milione di tamponi da un’azienda di Brescia agli Stati Uniti” e con il sottotitolo: “Prodotti nell’area focolaio dell’epidemia in Italia, sarebbero bastati per le esigenze di tutto il Nord. I kit diagnostici sono stati invece venduti agli USA e trasferiti con un aereo militare a Memphis. Qualcuno nel nostro Paese lo sapeva?”.
L’articolo non citava mai Defense One, sebbene contenesse dichiarazioni rese a quel sito da alcuni esponenti della difesa statunitense, e riportava diverse insinuazioni circa l’operazione commerciale e il presunto danno che avrebbe arrecato all’Italia il trasferimento di quei tamponi da parte della Copan:
La realtà però è ancora più amara. I tamponi erano pronti a Brescia, nel cuore dell’epidemia, dove medici e infermieri lottano per bloccare il morbo prima che travolga Milano, dove ogni giorno migliaia di persone rischiano il contagio. Ma nessuno ha fermato la partenza dei test. Il nostro governo ne era informato? Qualcuno era a conoscenza della spedizione?
La quantità di 500mila tamponi veniva definita con considerazioni di questo genere: “Una scorta impressionante: nel nostro Paese dall’inizio dell’epidemia ne sono stati fatti poco più di 100mila”. Al di là del tono indignato, dall’articolo emergevano diverse imprecisioni e una scarsa conoscenza dei sistemi per effettuare i test.
In Italia dall’inizio dell’epidemia i test svolti sono stati oltre 182mila, quasi il doppio rispetto al dato fornito dall’articolo. Se ne sarebbero potuti fare di più, come hanno segnalato diversi osservatori, ma la quantità non è dipesa dalla disponibilità o meno dei tamponi, piuttosto dalla capacità dei laboratori che poi li analizzano e dalla scelta di effettuare i prelievi solo dai pazienti con sintomi evidenti che facciano sospettare la COVID-19.
In seguito alla pubblicazione dell’articolo sul sito di Repubblica, Copan ha diffuso un severo comunicato per smentire diverse circostanze e chiarire la propria posizione, spiegando per esempio che l’azienda produce milioni di tamponi, più che sufficienti per tutti i clienti:
Nelle ultime settimane abbiamo consegnato agli ospedali italiani oltre 1 milione di tamponi; dall’inizio dell’epidemia, ad oggi, 19 marzo 2020, in Italia sono stati effettuati circa 200.000 test. È evidente che in Italia i tamponi non scarseggiano, tanto che non sono soggetti ad alcuna restrizione all’export, diversamente da altri articoli per uso medicale. Copan da decenni esporta negli Stati Uniti mediante distributori, che servono sia il settore pubblico sia il privato. A causa della scarsità di aerei-merci e dell’acuirsi della crisi Coronavirus, il governo USA ha recentemente organizzato un ponte aereo con un cargo militare per trasportare urgentemente i nostri tamponi.
La stessa Copan ha inoltre spiegato che nei prossimi giorni saranno effettuate altre consegne verso gli Stati Uniti, aggiungendo che “la quantità inviata non è certo ‘impressionante’ rispetto alla popolazione” statunitense. L’azienda ha spiegato che l’accordo commerciale è stato effettuato tramite i classici canali e non di nascosto. Il comunicato si conclude con una riserva da parte dell’azienda di “agire nelle sedi giudiziarie competenti per tutelare la propria immagine”.
Nelle ore seguenti, Repubblica ha modificato il proprio articolo online dando conto della versione dell’azienda. Il testo è stato comunque pubblicato anche su una pagina del quotidiano odierno con il titolo “Mezzo milione di tamponi da Brescia agli Usa” con il sottotitolo: “I test che tutte le regioni invocano trasferiti in America con un jet militare. Non informato il governo. L’azienda: ‘Tutto regolare, non c’è carenza’”.