In Italia risultano più morti che in Cina per il coronavirus
Sono in tutto 3.405, più di ogni altro paese al mondo, mentre i nuovi contagi rilevati oggi sono stati 5.322: e ci sono 2.499 persone in terapia intensiva
Secondo i dati diffusi giovedì dalla Protezione Civile, le persone che in Italia sono risultate positive al test per il coronavirus (SARS-CoV-2) dall’inizio dell’epidemia sono in tutto 41.035 (5.322 in più rispetto a ieri, quando però mancavano i dati della Campania e di Parma): i nuovi decessi sono stati 427, portando il totale a 3.405. Sono più di qualunque altro paese al mondo, almeno per quanto riguarda i dati accertati e comunicati ufficialmente, superiori anche rispetto alla Cina che ne ha registrati 3.245. Ci sono elementi comunque per supporre che perlomeno per quanto riguarda l’Italia il dato sia un’approssimazione per difetto.
Il dato sui contagi totali comprende anche le persone “guarite” (4.440, 415 in più rispetto a ieri). Le persone che risultano attualmente positive sono 33.190, 4.480 in più rispetto a ieri. Le persone in isolamento domiciliare sono 14.935, mentre quelle nei reparti di terapia intensiva sono 2.499: ieri erano 2.257. Alcuni di questi dati vanno presi con molta cautela: le diverse scelte e politiche regionali non permettono di avere un quadro chiaro di quante siano davvero le persone contagiate in Italia; la situazione difficile degli ospedali in Lombardia non permette di sapere davvero quanti siano i morti a causa del coronavirus.
La regione più colpita dal contagio rimane la Lombardia, con quasi 20mila casi accertati e 2.168 deceduti. Conta anche il maggior numero di ricoverati in terapia intensiva, 1.006 contro i 260 dell’Emilia-Romagna, i 257 del Piemonte e i 209 del Veneto. Il direttore della Protezione Civile Angelo Borrelli ha detto giovedì che dalla Lombardia sono stati trasportati in ospedali di altre regioni altri 59 pazienti, 22 malati di COVID-19 e 37 pazienti ordinari.
Oggi è circolata in Italia e all’estero una dichiarazione attribuita al presidente del Consiglio Giuseppe Conte secondo la quale sarebbe «inevitabile» la proroga delle misure restrittive sugli spostamenti e sulle attività commerciali in vigore dalla scorsa settimana, e al momento in scadenza per l’intero territorio nazionale rispettivamente il 3 aprile e il 25 marzo.
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Questa ipotesi è considerata ampiamente probabile, ma la dichiarazione di Conte arriva da un virgolettato del Corriere della Sera nel quale il presidente del Consiglio diceva comunque che «al momento non è ragionevole dire di più», aggiungendo che «è chiaro che i provvedimenti che abbiamo preso (…) non potranno che essere prorogati alla scadenza». La proroga quindi è probabile ma non ancora ufficiale.
Conte si è riferito anche alle scuole, e questa valutazione è stata poi confermata dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che ha detto: «Non è possibile dare un’altra data per l’apertura delle scuole, tutto dipende dall’evoluzione di questi giorni, dallo scenario epidemiologico. Riapriremo le scuole solo quando avremo la certezza di assoluta sicurezza».
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Un altro tema oggetto di estese discussioni è stato il possibile inasprimento delle misure che limitano gli spostamenti, in particolare per quanto riguarda il permesso di fare attività motoria solitaria all’aperto. Ieri il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora aveva detto che si stava “valutando” un divieto assoluto, per via delle tante segnalazioni di assembramenti dovuti a chi fa jogging o va in bicicletta, mentre in un’intervista a Repubblica la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha detto che «ognuno di noi deve saper utilizzare consapevolmente quegli spazi di movimento che ora sono consentiti, evitando però stili di vita superficiali e disinvolti che mettono a rischio anche la salute dei propri cari e quella dell’intera cittadinanza», confermando che il governo sta valutando se irrigidire le restrizioni.
A ieri risale poi una delle foto più rappresentative del momento di emergenza attraversato dall’Italia: quella che mostra una decina di camionette dell’esercito mentre trasporta le bare dei morti per COVID-19 da Bergamo ad altre città. L’unico forno crematorio locale non riesce infatti a gestire l’altissimo numero di deceduti, che per questo saranno cremati altrove e poi riportati a Bergamo per la sepoltura.