Per l’Africa è diverso?
I contagi da coronavirus sono ancora pochi, ma non si sa bene perché: potrebbe essere una carenza di test, il poco afflusso di turisti o l'età media più bassa
Secondo i dati diffusi oggi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in tutta l’Africa i casi accertati di contagio da coronavirus sono 633 in 33 paesi e i morti sono 17. Per il momento sono numeri contenuti e spesso isolati, soprattutto in confronto alla situazione del continente asiatico, europeo e del Nord America, ma il motivo di questa anomalia non è chiaro e una delle ipotesi più plausibili è che molti positivi non siano ancora stati scoperti.
La diffusione del contagio in Africa è una delle complicazioni della pandemia che l’OMS teme di più, sia per via della fragilità dei sistemi sanitari africani, sia per via del fatto che si tratta di paesi in cui sono già diffuse altre malattie gravi come ebola, malaria, tubercolosi e HIV. L’Africa è inoltre un continente con molte zone urbane ad alta densità, dove sarà difficile far rispettare misure come l’isolamento e il mantenimento delle distanze di sicurezza.
L’Egitto è il primo paese africano per contagi con 126 casi accertati, seguito dal Sudafrica, dove negli ultimi due giorni i casi sono raddoppiati arrivando a 116. In tutti gli altri paesi africani per ora i numeri sono ancora più contenuti, con una concentrazione maggiore nella regione del nord Africa dove, oltre all’Egitto, ci sono decine di casi anche in Algeria (72), Marocco (29) e Tunisia (20).
Da oggi, in Egitto i voli internazionali sono sospesi ed è bloccato l’ingresso di nuovi gruppi turistici. Due giorni fa, il Sudafrica ha dichiarato il coronavirus “disastro nazionale” per poter sbloccare fondi e imporre misure restrittive straordinarie come chiudere i confini ai viaggiatori provenienti da paesi a rischio e imporre alle persone entrate nel paese nell’ultimo mese di sottoporsi ai tamponi. Ha chiesto inoltre ai cittadini di rimandare i viaggi non importanti, ha chiuso le scuole e vietato eventi con più di 100 persone.
633 confirmed #COVID19 cases in #Africa in 33 countries and 17 deaths. In past 24 hrs, The Gambia, Mauritius & Zambia have announced first cases. @WHO is supporting countries with surveillance, diagnostics & treatment. https://t.co/V0fkK8dYTg pic.twitter.com/5EP26IT3Yh
— WHO African Region (@WHOAFRO) March 19, 2020
Nonostante la Cina sia uno dei principali partner commerciali dei paesi africani (soprattutto Egitto, Algeria e Sudafrica), si stima che la maggior parte dei casi siano legati a persone provenienti dall’Europa. Il primo risale al 27 febbraio ed era un italiano in viaggio in Nigeria. Nel frattempo però alcuni contagi si sono verificati anche localmente, per esempio in Burkina Faso i primi infettati sono stati una coppia di pastori di una chiesa locale, marito e moglie, appena tornati dalla Francia, che hanno contagiato al loro ritorno almeno un’altra ventina di persone.
Altri 27 paesi della zona subsahariana (che ha più di un miliardo di abitanti) registrano per ora pochi casi ciascuno.
Molti si stanno interrogando sui motivi per cui l’Africa sia così indietro rispetto agli altri paesi nel numero di contagi registrati. La ragione più probabile è che ci siano molti infettati che, non avendo manifestato sintomi o non essendo andati in ospedale, non sono semplicemente mai stati rilevati. Uno dei provvedimenti recenti dell’OMS è stato attrezzare nuovi laboratori al test per il coronavirus: inizialmente ce n’erano infatti solo due, uno in Sudafrica e uno in Senegal, mentre oggi ce ne sono una quarantina. Al momento l’OMS dice che gli stati attrezzati per l’analisi dei tamponi hanno a disposizione tra i 100 e i 200 kit ciascuno. Per avere un’idea, in Italia al 15 marzo erano stati effettuati 125mila tamponi in totale.
Un’altra ipotesi è che nelle regioni dove il clima è più caldo il virus si diffonda meno facilmente, anche se l’impatto delle temperature sulla contagiosità del virus non è ancora chiaro. Un’altra ipotesi ancora è che le misure preventive implementate da alcuni stati africani abbiano effettivamente funzionato. Alcuni paesi hanno infatti cominciato a fine febbraio a mettere in quarantena le persone provenienti da paesi a rischio e altri hanno impiegato da subito personale per i controlli della temperatura negli aeroporti.
A questo si aggiunge una considerazione generale sulle relazioni e gli scambi tra il continente africano e il resto del mondo: l’Africa è coinvolta nel 5 per cento dei flussi turistici internazionali e solo nel 4 per cento dei flussi turistici dalla Cina. Nel 2017 solo il 16 per cento degli imprenditori cinesi che sono espatriati per motivi di lavoro sono andati in Africa e di questi circa un quarto solo in Algeria. Non stupisce quindi che i primi casi in Africa siano arrivati più tardi rispetto al resto del mondo più “connesso”.
Va considerato anche che i dati che abbiamo sulla malattia causata dal nuovo coronavirus ci dicono che i sintomi sono più evidenti e i rischi di salute sono più alti per la fascia anziana della popolazione. Nella maggior parte dei paesi africani la popolazione giovane è molto più numerosa di quella in età avanzata. Per fare un confronto con alcuni paesi dove il virus si è diffuso di più, in Cina l’età media è 37 anni, in Italia 45 e in Spagna 43. In Nigeria e in Congo, solo per citare alcuni tra i paesi africani più popolosi, l’età media della popolazione è attorno ai 18 anni.
Negli ultimi giorni, anche i governi africani degli stati con pochi casi dichiarati hanno introdotto restrizioni per evitare la diffusione dei contagi, primi fra tutti il blocco degli aerei provenienti dalle zone a rischio, la misurazione delle temperature negli aeroporti e le quarantene obbligatorie per persone con sintomi. Il Senegal (36 casi) ha vietato gli eventi pubblici, anche religiosi. Il Burkina Faso (26 casi) ha chiuso le scuole e le università e vietato gli eventi pubblici eccetto quelli religiosi. In Kenya (7 casi) sono chiuse scuole e università.
L’Etiopia (6 casi) ha chiuso tutte le scuole e introdotto nuovi mezzi di trasporto governativi per limitare l’affollamento sui mezzi pubblici. Il Camerun (10 casi) ha chiuso scuole e ristoranti e vietato assembramenti di più di 50 persone. Il Ghana (7 casi) è uno dei paesi che hanno preso le misure più severe, imponendo a tutti i viaggiatori che entrano nel paese 14 giorni di quarantena e vietando l’ingresso a tutti i provenienti da paesi con più di 200 casi, eccetto i cittadini ghanesi. La Mauritania (2 casi) ha chiuso gli aeroporti, le scuole, le università e i mercati. L’Uganda, dove al momento non ci sono casi accertati, ha vietato eventi, chiuso i luoghi di assembramenti come locali, discoteche e ristoranti, e chiuderà scuole e università da domani.
Anche con i tempestivi provvedimenti dei governi, comunque, la vita quotidiana continua normalmente per gran parte della popolazione. Secondo un’indagine di Reuters, molti cittadini si chiedono perché rispettare misure restrittive come le distanze di sicurezza quando i casi nel loro paese sono così contenuti. I più difficili da vietare sono gli eventi religiosi, visto il grande investimento dei credenti nella speranza che le preghiere e la fede religiosa possano contribuire a prevenire le conseguenze più gravi di un contagio diffuso.
Nonostante il sistema sanitario abbia scarse risorse, in Africa esistono comunque diverse istituzioni che si occupano di salute pubblica nate per fronteggiare l’epidemia di ebola del 2013 e che verranno impiegate nel contenimento dei contagi da coronavirus. Al 2013 risale anche la nascita dell’Africa Centres for Disease Control and Prevention, un organo che coordina i paesi nella lotta contro la diffusione delle malattie e che in queste settimane sta lavorando con i governi degli stati colpiti dal contagio per attivare nuovi laboratori, sistemi di sorveglianza e altri provvedimenti per limitare la diffusione del virus.