È giusto sorvegliare gli spostamenti delle persone contro il coronavirus?
La Lombardia ha iniziato a farlo, usando dati anonimi forniti dagli operatori telefonici, ma ci sono dubbi sull'utilità dell'iniziativa e preoccupazioni per la privacy
Da alcuni giorni la regione Lombardia utilizza un sistema per analizzare gli spostamenti della popolazione durante l’epidemia da coronavirus, attraverso una collaborazione con i principali operatori di telefonia mobile. Stando alle informazioni fornite dalla regione, i dati sono raccolti in forma aggregata e anonima e consentono di farsi un’idea sulle distanze percorse da chi si muove con un cellulare in tasca, in modo da verificare il rispetto delle restrizioni sugli spostamenti decise dal governo per contenere il coronavirus. Seppure su scala più piccola, e per ora con sistemi più limitati, l’iniziativa lombarda ricorda le soluzioni di sorveglianza adottate in Corea del Sud e in Cina contro il coronavirus, che hanno sollevato molte perplessità da parte degli esperti sulla tutela dei dati personali.
Lombardia
L’assessore per la Ricerca, Innovazione, Università, Export e Internazionalizzazione della Lombardia, Fabrizio Sala, ha spiegato martedì in un collegamento video che dai dati cellulari risulta ancora un numero eccessivo di spostamenti in regione, invitando nuovamente la popolazione a rimanere il più possibile a casa.
Il dato viene rilevato grazie ai ripetitori della rete cellulare: quando ci si sposta con uno smartphone in tasca, questo cerca costantemente i ripetitori più vicini a cui collegarsi per mantenere il segnale. Ogni ripetitore copre una “cella”, una porzione di territorio, quindi quando un cellulare passa da una cella a un’altra si può calcolare con una buona approssimazione il suo spostamento. Le celle si incrociano e sovrappongono, quindi analizzando queste sovrapposizioni si possono ottenere informazioni ancora più dettagliate sulla posizione di ogni cellulare.
Sala ha spiegato che la regione ha ottenuto i dati dagli operatori telefonici e ha poi effettuato alcune analisi, mettendo per esempio a confronto le giornate antecedenti la scoperta dei primi casi da coronavirus nel lodigiano con quelli degli ultimi giorni, con le restrizioni del governo. Mediamente gli spostamenti sulle lunghe distanze all’interno della Lombardia si sono ridotti del 60 per cento, un risultato che secondo Sala non è ancora sufficiente per consentire un buon contenimento dei contagi.
Il calo più significativo si è registrato nelle giornate subito dopo l’emanazione del decreto con le misure del governo, poi gli spostamenti sono tornati ad aumentare, fatta eccezione per il fine settimana dove si è assistito a una riduzione più significativa. Sala ha parlato di spostamenti di almeno 300-500 metri, quindi secondo il suo giudizio superiori a quelli che dovrebbero fare in media le persone per le uscite essenziali almeno in città, per esempio per fare la spesa o portare fuori il cane.
La regione non ha però fornito molte altre informazioni, né sull’effettiva estensione temporale delle rilevazioni giornaliere né sulle distanze più consistenti coperte durante gli spostamenti. È bene ricordare che ci sono numerosi lavori che non possono essere eseguiti da casa e che rendono quindi necessario lo spostamento di molte persone, che devono raggiungere il posto di lavoro.
Le compagnie telefoniche forniscono spesso dati di questo genere, in forma aggregata, ad altre società che li impiegano per statistiche e applicazioni di vario tipo. Diverse app per la navigazione satellitare, per esempio, sfruttano questi dati per fare previsioni sul traffico nei vari momenti della giornata, fornendo di conseguenza tragitti alternativi su strade meno trafficate. È più raro che queste informazioni siano utilizzate dalle istituzioni e in molti hanno sollevato dubbi e preoccupazioni circa la tutela della privacy degli utenti, anche nel timore che ci possano essere ulteriori iniziative più invasive come avvenuto all’estero.
Corea del Sud
Sul tema del tracciamento degli spostamenti per contenere l’epidemia da coronavirus, la Corea del Sud è sicuramente il paese che ha investito più risorse e sperimentato soluzioni. Il governo sudcoreano da settimane utilizza dati raccolti dalle reti cellulari, dai sistemi GPS, dalle transazioni effettuate con carta di credito e dalle telecamere di videosorveglianza per tracciare la popolazione. Le informazioni sono poi mostrate in forma anonima su un sito web dedicato e inviate anche tramite SMS a chi potrebbe avere incrociato un infetto, in modo da ridurre la catena dei contagi.
A inizio marzo, la Corea del Sud aveva registrato in pochi giorni un aumento consistente di casi positivi alla COVID-19, la malattia causata dal coronavirus, e aveva messo in atto diverse politiche per tenere sotto controllo la situazione, per esempio con un uso estensivo dei test per rilevare la presenza del virus. Dopo essere stato per alcuni giorni il paese con più casi positivi dopo la Cina, la Corea del Sud è rapidamente scesa nella classifica, diventando con 8mila casi il quinto paese, superato da Spagna (quasi 12mila), Iran (oltre 16mila) e Italia (più di 31mila).
La riduzione dei contagi è stata attribuita soprattutto all’impiego estensivo dei test per identificare rapidamente i casi positivi, isolandoli dal resto della popolazione, mentre non è ancora chiaro se i sistemi di sorveglianza abbiano avuto un ruolo rilevante. Il governo sudcoreano ritiene comunque che in una situazione di emergenza come l’attuale sia lecito sorvegliare il più possibile gli spostamenti. “È vero che l’interesse pubblico tende a essere più enfatizzato dei diritti umani dei singoli in una situazione con malattie infettive” ha ammesso Jeong Eun-kyeong, direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie della Corea del Sud. Jeong ha anche detto che si sta lavorando per trovare il giusto “equilibrio” tra la sorveglianza sanitaria e la tutela della privacy.
I dati sugli spostamenti resi pubblici dal governo sono anonimi, ma comunque piuttosto dettagliati, al punto da rendere possibile l’identificazione dei luoghi in cui è stato un proprio conoscente o familiare. Il Washington Post ha pubblicato alcuni esempi dei messaggi che si possono ricevere sugli infetti in circolazione. Nella città di Daejon, per esempio, più di un milione di smartphone ha ricevuto un messaggio con l’avviso su una persona risultata positiva che era stata al: “Magic Coin Karaoke a Jayang-dong intorno alla mezzanotte del 20 febbraio”. Un altro messaggio, diffuso a Cheonan, ha invece avvisato i residenti su un infetto che aveva fatto visita all’”Imperial Foot Massage alle 13:46 del 24 febbraio”.
Il dettaglio su orari e luoghi rende possibile l’identificazione delle singole persone, almeno ai loro conoscenti più stretti, e potrebbe quindi portare a situazioni di emarginazione sociale o ancora più pericolose. Una donna, che ha chiesto di rimanere anonima, ha spiegato al Washington Post di avere smesso di frequentare un bar per omosessuali nella sua città: “Se inconsapevolmente contraessi il virus, quell’informazione sarebbe diffusa in tutto il paese. È spaventoso quanto l’idea che qualcuno sveli il tuo orientamento sessuale in pubblico.”
Inizialmente i dati sugli spostamenti e i loro orari erano forniti dal governo in database di non semplice consultazione, cosa che offriva qualche tutela in più per la privacy. Nelle ultime settimane, singoli informatici e aziende produttrici di app hanno invece iniziato ad attingere a quei dati, incrociandoli tra loro per creare applicazioni più semplici da consultare, ma con informazioni molto più dettagliate sulle attività del prossimo. Un sito che si chiama Coronamap ha attirato in pochi giorni più di 14 milioni di visitatori.
Nel 2015 il governo della Corea del Sud aveva ricevuto numerose critiche per non avere fornito tempestivamente informazioni sulla diffusione della MERS, altra malattia infettiva causata da un coronavirus che aveva provocato un numero preoccupante di contagi. Memori di quell’esperienza, le autorità sudcoreane hanno realizzato diverse soluzioni per tracciare i contagi, fare più test possibile e fornire informazioni dettagliate alla cittadinanza, non solo sui malati, ma anche sui contagiati in circolazione.
Cina
Altri paesi hanno adottato misure simili a quelle della Corea del Sud, su scale e con intensità diverse. In Cina il governo ha sfruttato i propri sistemi di sorveglianza di massa per tenere traccia dei contagiati e dei potenziali nuovi contagi. I sistemi impiegati violano il diritto alla privacy dei cittadini per i nostri standard, ma sono utilizzati senza particolari problemi in un paese con un assetto non democratico e nel quale la popolazione è abituata a fare i conti con le continue ingerenze da parte dell’autorità.
Oltre alla videosorveglianza, alcune delle app più popolari in Cina come WeChat e AliPay sono state impiegate per diffondere informazioni sul coronavirus e per indicare agli utenti se mettersi o meno in quarantena per precauzione. Secondo diversi analisti, queste app forniscono inoltre dati e statistiche al governo, nell’ambito dei suoi programmi di sorveglianza, che prima dell’epidemia avevano scopi diversi e legati al controllo della popolazione.
Efficacia e privacy
Ricercatori ed esperti sostengono che sia ancora presto per dire se il controllo tramite rete cellulare, l’impiego di app e di dati GPS siano efficaci e utili per contenere un’epidemia, mentre l’isolamento degli infetti, un alto numero di test per trovare precocemente i positivi e le buone pratiche igieniche (come lavarsi spesso le mani) si stanno rivelando certamente utili. La sorveglianza di massa ha inoltre un costo sociale dal punto di vista della tutela dei cittadini ancora difficile da calcolare, rispetto ai benefici tutti da dimostrare che potrebbe portare nel contenimento del coronavirus.
Associazioni e attivisti per la tutela della privacy ricordano che potrebbero essere adottate soluzioni intermedie e meno invasive, per esempio per fare in modo che i dati sugli spostamenti non siano gestiti in forma centralizzata, quindi in possesso di un unico soggetto, ma in una rete condivisa. In questo modo le informazioni potrebbero essere gestite sui singoli smartphone, riducendo anche il rischio di perdite o furti di dati sensibili.
Il regolamento per la protezione dei dati nell’Unione Europea (GDPR) offre diverse tutele e protezioni per ogni cittadino, ma prevede comunque alcune eccezioni per casi di emergenza e di utilità pubblica. L’impiego di dati aggregati sulle reti cellulari che sta conducendo la Regione Lombardia non sembra violare le regole, ma iniziative di ulteriore controllo ipotizzate negli ultimi giorni potrebbero invece porre diversi problemi per la privacy.
Non è inoltre chiaro come le istituzioni intendano utilizzare i dati che stanno raccogliendo in futuro, quando l’epidemia sarà terminata. Governi e singoli gestori di siti e applicazioni potranno avere a disposizione un’enorme mole di informazioni sugli spostamenti della popolazione, che potrebbero essere poi impiegate per scopi diversi da quelli per cui erano state raccolte.
Sul tema della sorveglianza tramite cellulari e coronavirus, Antonello Soro, il Garante per la protezione dei dati personali, ha detto che: “Non esistono preclusioni assolute nei confronti di determinate misure in quanto tali. Vanno studiate, però, molto attentamente le modalità più opportune e proporzionate alle esigenze di prevenzione, senza cedere alla tentazione della scorciatoia tecnologica solo perché apparentemente più comoda, ma valutando attentamente benefici e costi, anche in termini di sacrifici imposti alle nostre libertà”.